«Dopo che»: indicativo o congiuntivo?

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Bauer
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«Dopo che»: indicativo o congiuntivo?

Intervento di Bauer »

La frase incriminata è: "Quell'albero è stato tagliato dopo che il sottoscritto avesse fatto una passeggiata e avesse fatto colazione."

Quel congiuntivo ha senso?

Grazie :)
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Salve Bauer. La frase è sbagliata: dopo che si costruisce normalmente con l’indicativo: Quell’albero è stato tagliato dopo che il sottoscritto aveva fatto una passeggiata e aveva fatto colazione.

Dopo che può reggere il congiuntivo solo quando ci si riferisce a fatti non (ancora) avvenuti, visti come eventualità, come nel seguente esempio di Tozzi:

Non fu una cattiveria, perché dopo che fosse morta, Pallino avrebbe potuto trovarsi molto male. (Altre novelle, «La vera morte»)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Bauer
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Intervento di Bauer »

Mi è stato risposto a riguardo che l'imperfetto del congiuntivo viene usato, tra l'altro, nelle secondarie introdotte dalle congiunzioni: senza che, prima che, dopo che, nonostante, malgrado, a meno che, a condizione che, affinché.

Preso dallo Zingarelli, mi han detto.

Alla luce di ciò, è corretto usare quella forma o no?

Grazie ancora.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Tutte quelle congiunzioni vogliono il congiuntivo, tranne dopo che (che prende il congiuntivo soltanto nel caso sopra esposto). Si fidi: parlo il vero. ;)

P.S. Non mi stanco di ripeterlo: si dice al riguardo. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Aggiungo – qualora rimanessero degli increduli :D – questa citazione della GGIC (Grande Grammatica Italiana di Consultazione, vol. II, p. 726, sott. mia):

Il rapporto di anteriorità della subordinata rispetto alla principale si esprime con dopo che e l’indicativo o dopo e l’infinito:

(25 a.) Dopo che Serena conobbe Mario, non ebbe piú pace.
(25 b.) Dopo aver conosciuto Mario, Serena non ebbe piú pace.


A me però non pare molto felice l’esempio (25 a.), mi suona meglio Dopo che Serena ebbe conosciuto Mario, non ebbe piú pace... :roll:
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

Marco1971 ha scritto:A me però non pare molto felice l’esempio (25 a.), mi suona meglio Dopo che Serena ebbe conosciuto Mario, non ebbe piú pace... :roll:
Sí, questa sarebbe la forma da usarsi (e che adopera anche il sottoscritto) in «italiano classico». :D
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Infarinato ha scritto:
Marco1971 ha scritto:A me però non pare molto felice l’esempio (25 a.), mi suona meglio Dopo che Serena ebbe conosciuto Mario, non ebbe piú pace... :roll:
Sí, questa sarebbe la forma da usarsi (e che adopera anche il sottoscritto) in «italiano classico». :D
Noi siamo classicisti. 8)

Già che ci siamo, completo il quadro: è possibile anche il condizionale composto, che esprime il futuro del passato; a differenza del congiuntivo trapassato, col quale l’evento è percepito nella sua ipoteticità, col condizionale composto si considera l’evento nel suo concretarsi nel futuro, senza connotazione ipotetica. Un esempio di Giovanni Verga:

Tre mesi dopo rividi Angiolini al Caffè di Sicilia. Gli domandai di Brusio: era ritornato in Siracusa, sua patria; gli rammentai la promessa, ed egli mi narrò le parti principali di quella storia di cui noi avevamo assistito alla triste catastrofe; però pei dettagli mi promise di comunicarmeli minuziosi e precisi, dopo che avrebbe consultato certe lettere che aveva ricevuto da Brusio e dalla contessa. (Una peccatrice, Proemio)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Verga ha scritto:...ed egli mi narrò le parti principali di quella storia di cui noi avevamo assistito alla triste catastrofe...
Qui, Verga o non Verga, c’è un errore; egli doveva scrivere: di quella storia alla triste catastrofe della quale noi avevamo assistito. Se n’era parlato da qualche parte, tempo fa.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
CarloB
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Intervento di CarloB »

Non ho capito bene perché non:

dopo che avesse consultato.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

È una questione di prospettiva e di sfumature semantiche: dopo che avesse consultato fa apparire la consultazione come evento meno sicuro; con dopo che avrebbe consultato non c’è dubbio, sarà fatto (almeno nella coscienza del locutore). Lo stesso accade con altre congiunzioni, come finché.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ecco due esempi per illustrar meglio la sfumatura:

Posi dunque giú la penna e mi ricoricai col fermo proposito di rimaner desto finché non fosse ora di andare al quartiere, giacché aveva letto sull’Ordine del giorno che toccava al Sottotenente Quattr’Asterischi d’esser d’ispezione a’ viveri la dimane. Ma non seppi resistere al sonno, ed eccomi ingolfato senz’accorgermene in altre visioni. (Imbriani, Merope IV, Cap. 5)

Qui il congiuntivo esprime l’attesa d’un momento il cui avverarsi è avvertito come lontano, forse non gradito forse temuto forse angosciante – e ha la meglio il sonno sul fermo proposito.

La Camilla voleva a forza mandarla a prendere e costringerla a non allontanarsi piú con tanta loro inquietudine: ma Giuliano li ammoní, che a contrariarla sarebbe stato peggior consiglio, e che bisognava lasciarla fare a suo grado, massime che la poveretta non parlava piú di voler raggiungere sua madre, e sembrava rassegnata a vivere finché il Signore l’avrebbe chiamata. (Nievo, Novelliere campagnolo, «La pazza del Segrino»)

In questo brano il condizionale composto indica oggettivamente, senza patemi d’animo, un fatto ineludibile: non c’è dubbio che un giorno il Signore a Sé la chiamerà.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bartolo
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Intervento di bartolo »

marco1971 ha scritto:(25 b.) Dopo aver conosciuto Mario, Serena non ebbe piú pace.

A me però non pare molto felice l’esempio (25 a.), mi suona meglio Dopo che Serena ebbe conosciuto Mario, non ebbe piú pace...
Perché? :?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Perché i due eventi (il conoscere e il non aver piú pace) non sono concomitanti: prima si conosce e dopo non si ha piú pace. C’è, appunto, un rapporto di anteriorità. Similmente, abbiamo posteriorità in Quando avrai finito i compiti, potrai uscire. Sarebbe italiano impreciso (da evitare nello scritto formale) ?Quando finirai i compiti, potrai uscire.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bartolo
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Intervento di bartolo »

Marco1971 ha scritto:Perché i due eventi (il conoscere e il non aver piú pace) non sono concomitanti: prima si conosce e dopo non si ha piú pace.
Scusi, Marco, mi aiuti a capire: in che cosa l'uso della temporale implicita coll'infinito passato tradirebbe la consecutio corretta?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

La frase (25 b) è perfetta. Parlavamo della (25 a) con il costrutto esplicito. O forse non capisco quale sia il suo dubbio... :roll:
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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