Lo sconvolgimento che ha condotto dal latino all’italiano non è mai stato avvertito come tale dai contemporanei. Anche perché il latino volgare parlato e il latino medievale scritto erano sentiti come due varianti diamesiche. Non possiamo quindi sapere come sarà visto in futuro il nostro presente e se qualche altro fattore di differenziazione linguistica andrà ad aggiungersi o a sostituire quelli attualmente identificati.Infarinato ha scritto: Non mi sono spiegato. Intendevo dire che, perché vi siano sconvolgimenti di una portata paragonabile a quella che ha condotto dal latino [volgare] all’italiano (e alle altre lingue romanze), bisogna che venga a mancare la necessità o, quantomeno, la possibilità di comunicare (da parte della comunità [o delle comunità] che svilupperà [risp. svilupperanno] la «lingua figlia» [risp. le «lingue figlie»]) col resto delle comunità appartenenti all’area in cui si parla[va] la «lingua madre».
Nell’odierno mondo «civilizzato» le prontamente soddisfatte necessità comunicative impediscono alle varie lingue in esso parlate di evolvere «piú di tanto».
Certo i paragoni vanno presi cum grano salis, per usare un’espressione che le è cara, e la rivoluzione italiana, che a mio parere può spiegare in parte la diversità del caso italiano da quello francese e spagnolo, è derivata più da una caduta di barriere politiche isolanti, mi riferisco all’unità d’Italia, che dall’elevamento di nuove barriere. Ovviamente questa rivoluzione trascende di gran lunga il marginale caso dei forestierismi ma può forse spiegare in parte la differenza tra la reazione italiana ai forestierismi e quella dei nostri cugini francesi e vicini spagnoli.
La relativa debolezza dell’italiano parlato, dovuta alla sua recente diffusione nella maggior parte della popolazione, unita all’elevamento delle condizioni della massa (alfabetizzazione e condizioni sociali) ha influito sulla maggiore disponibilità, rispetto all’Ottocento, all’accoglienza dei forestierismi.
A questi fattori va aggiunta la maggiore debolezza politica culturale e tecnologica del nostro paese rispetto, ad esempio, alla Francia, che ha contribuito a rendere più debole la nostra reazione all’indiscutibile primato, negli stessi campi, del mondo anglofono americano favorendo l’accoglimento, per il prestigio della loro provenienza, degli anglicismi.
Lasciando da parte gl’italiani, lei ce li vede francesi, spagnoli e tedeschi, per non nominare altre nazioni europee in cui è forte il sentimento nazionale, che decidono di adottare come prima lingua (è quello che è avvenuto per l’italiano nei confronti dei dialetti) l’inglese?Infarinato ha scritto:E questa potrebbe essere un giorno l’Unione Europea, in cui, senz’alcuna imposizione formale, l’inglese, già affermatasi come lingua franca, potrebbe infine diventare, per ragioni squisitamente «pratiche», l’unica lingua di fatto parlata…bubu7 ha scritto:Il paragone non mi sembra pertinente.Infarinato ha scritto:Piú probabile, invece, è che l’italiano diventi una lingua di sostrato e, come tale, finisca per estinguersi a vantaggio della lingua di superstrato, quale potrebbe essere (e in minima parte già è) l’inglese…A parte gli scherzi, il paragone mi sembra forzato. Perché si abbiano gli strati che lei nomina ci dev’essere una formazione politica e giuridica che li determina.
Non mi sembra una situazione che si realizzerà a breve termine.
Ma se questo dovesse accadere, se cioè tutte le nazioni europee dovessero finire per trovarsi in questo stato d’animo, io accoglierei con gioia l’adozione di un'unica lingua, qualunque essa fosse. E non per questo mi sentirei sminuito bensì arricchito, come lo sono attualmente nel parlare, e amare, l’italiano affiancato alla mia (indebolita) lingua madre che è un dialetto meridionale. In quel caso, l'italiano si troverebbe in una situazione simile a quella in cui si trovano oggi i dialetti e certamente finirebbe per indebolirsi e, probabilmente, sparire. Ma davvero questo sarebbe una iattura e non invece un traguardo a cui tendere?
Diverso da quello linguistico è l'aspetto culturale.
Il fatto di aspirare ad essere cittadino del mondo e di sentirmi, sebbene purtroppo ancora solo in parte, cittadino europeo, non offusca la mia coscienza d’italiano e delle mie radici locali.