
«Warez»
Moderatore: Cruscanti
«Warez»
Programmi piratati > propi.
A parte gli scherzi, tempo fa avevo proposto una terminologia in cui a -ware corrispondeva -ario (strumentario, programmario, spiario, gratuitario, ecc.). Se si accogliesse questa proposta, warez si potrebbe rendere con ari.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Segnala il plurale. Immagino che si sia ricorso a z piuttosto che a s perché i nomi in -ware non sono numerabili in inglese (cioè sono uncountable).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Come gentilmente lo stesso Marco mi ha fatto notare, m'accorgo che il commento sulla questione centrale m'è rimasto "in tastiera".
Dopo una perplessità iniziale, mi son convinto della validità di "ari", che adesso mi soddisfà appieno.
Resta però da "ufficializzare" il suffisso "-ario", affinché sia giustificato.
Dopo una perplessità iniziale, mi son convinto della validità di "ari", che adesso mi soddisfà appieno.
Resta però da "ufficializzare" il suffisso "-ario", affinché sia giustificato.
Per me, con ari si perde la sfumatura di pirata. In fondo quella «z» attribuisce proprio questo significato, da quanto mi par di capire qui.
- marcocurreli
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Sinceramente non sento alcuna necessità di tradurlo, nè tantomento di usarlo. Potremmo tranquillamente continuare a chiamarli programmi piratati.
Dopo tutto, anche qui in Italia si son coniati pseudo-neologismi, gergali, di carattere ironico e lievemente dispreggiativo, che nessuno tradurrebbe mai in un'altra lingua, come ad es. winzoz.
Dopo tutto, anche qui in Italia si son coniati pseudo-neologismi, gergali, di carattere ironico e lievemente dispreggiativo, che nessuno tradurrebbe mai in un'altra lingua, come ad es. winzoz.
Veda qui, 3 b. 

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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