Cosidetto e cosifatto
Moderatore: Cruscanti
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Cosidetto e cosifatto
Ho preso questa tabella dal sito “Scrivere per il ‘Sole 24 Ore’ ”
Corrette Preferite
all’erta allerta
cosidetto, cosifatto cosiddetto, cosifatto
caso mai casomai
ciò nonostante Ciononostante
efficienza efficienza
soprattutto soprattutto
sufficienza sufficienza
the tè
tutt’al più tuttalpiù
zabaglione zabaione
Mi piacerebbe che qualcuno spiegasse per quale motivo sono da ritenere corrette le grafie “cosidetto”, “cosifatto”, “the”, “zabaglione”. Ma non finisce qui. Alcune parole 'corrette' sono identiche a quelle da... “preferire”. Come la mettiamo? Grazie.
Si veda QUI
Corrette Preferite
all’erta allerta
cosidetto, cosifatto cosiddetto, cosifatto
caso mai casomai
ciò nonostante Ciononostante
efficienza efficienza
soprattutto soprattutto
sufficienza sufficienza
the tè
tutt’al più tuttalpiù
zabaglione zabaione
Mi piacerebbe che qualcuno spiegasse per quale motivo sono da ritenere corrette le grafie “cosidetto”, “cosifatto”, “the”, “zabaglione”. Ma non finisce qui. Alcune parole 'corrette' sono identiche a quelle da... “preferire”. Come la mettiamo? Grazie.
Si veda QUI
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
La massima parte di quanto consigliato è o inesatto o addirittura sbagliato. Ma: nothing surprises me any more.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Qualche chicca (dal sito sopraccitato da Fausto Raso):
Sotto, sopra, oltre e lungo non vogliono la preposizione a, ma l’articolo determinativo.
Esempi: sotto il ponte, oltre la strada.
...e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne... (Leopardi, Le ricordanze, 17-18)
Non dire: «Il giorno che arrivò», ma: «Il giorno in cui arrivò».
Quale di queste tre forme concorrenti Cosa fare..., Che cosa fare..., Che fare... è corretta? La prima è colloquiale ma non sbagliata; la seconda corretta e la terza accettabile.
Sicuramente sbagliò Manzoni, allora, quando scrisse:
Chi non ha visto don Abbondio, il giorno che si sparsero tutte in una volta le notizie della calata dell’esercito, del suo avvicinarsi, e de’ suoi portamenti, non sa bene cosa sia impiccio e spavento. (Promessi sposi, cap. 29)
Forse è solo ‘accettabile’ il dantesco
L’altrui bene
A te che fia, se ’l tuo metti in oblio? (Purg., X.89-90)
«Secondo noi, secondo l’oratore» ecc. Ma non: «Secondo i casi». In tale espressione si dice: «A seconda dei casi, a seconda delle circostanze».
Bisogna modificare queste osservazioni secondo i casi e circostanze che ciascuno può facilmente pensare. (Leopardi, Zibaldone, 10 luglio 1821, p. 1309)
FUTURO
Va utilizzato sempre quando un’azione è proiettata nel tempo.
Esempio: a fine mese scadrà... (e non, a fine mese scade...)
Da quando in qua il presente non può esprimere il futuro, come cosa certa? Di questo, credo, s’è discusso in queste medesime stanze... Ecco come si appiattisce la lingua...
Beh, mi fermo qui, almeno per ora, ché basta e avanza.
Sotto, sopra, oltre e lungo non vogliono la preposizione a, ma l’articolo determinativo.
Esempi: sotto il ponte, oltre la strada.
...e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne... (Leopardi, Le ricordanze, 17-18)
Non dire: «Il giorno che arrivò», ma: «Il giorno in cui arrivò».
Quale di queste tre forme concorrenti Cosa fare..., Che cosa fare..., Che fare... è corretta? La prima è colloquiale ma non sbagliata; la seconda corretta e la terza accettabile.
Sicuramente sbagliò Manzoni, allora, quando scrisse:
Chi non ha visto don Abbondio, il giorno che si sparsero tutte in una volta le notizie della calata dell’esercito, del suo avvicinarsi, e de’ suoi portamenti, non sa bene cosa sia impiccio e spavento. (Promessi sposi, cap. 29)
Forse è solo ‘accettabile’ il dantesco
L’altrui bene
A te che fia, se ’l tuo metti in oblio? (Purg., X.89-90)
«Secondo noi, secondo l’oratore» ecc. Ma non: «Secondo i casi». In tale espressione si dice: «A seconda dei casi, a seconda delle circostanze».
Bisogna modificare queste osservazioni secondo i casi e circostanze che ciascuno può facilmente pensare. (Leopardi, Zibaldone, 10 luglio 1821, p. 1309)
FUTURO
Va utilizzato sempre quando un’azione è proiettata nel tempo.
Esempio: a fine mese scadrà... (e non, a fine mese scade...)
Da quando in qua il presente non può esprimere il futuro, come cosa certa? Di questo, credo, s’è discusso in queste medesime stanze... Ecco come si appiattisce la lingua...
Beh, mi fermo qui, almeno per ora, ché basta e avanza.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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A proposito di zabaglione
Probabilmente chi ha compilato i "consigli linguistici" del sito "Il Sole 24 ore" ha consultato il De Mauro in rete che registra zabaglione una variante di zabaione; il Disc in linea non lemmatizza zabaglione; il Gabrielli in rete riporta "non bene zabaglione"; il Dop alla voce zabaglione rimanda a zabaione; Sapere it. e Garzanti linguistica non attestano zabaglione; il Sandron è categorico: errato zabaglione.
Probabilmente chi ha compilato i "consigli linguistici" del sito "Il Sole 24 ore" ha consultato il De Mauro in rete che registra zabaglione una variante di zabaione; il Disc in linea non lemmatizza zabaglione; il Gabrielli in rete riporta "non bene zabaglione"; il Dop alla voce zabaglione rimanda a zabaione; Sapere it. e Garzanti linguistica non attestano zabaglione; il Sandron è categorico: errato zabaglione.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
La pagina (anonima) è stata chiaramente compilata in modo trascurato, come dimostrano le voci ripetute uguali nelle colonne "corretti" e "preferiti".Marco1971 ha scritto:La massima parte di quanto consigliato è o inesatto o addirittura sbagliato. Ma: nothing surprises me any more.
Non starei a fasciarmi troppo la testa, chi vuole mandi una segnalazione al sito del quotidiano e finiamola lì, senza le solite geremiadi retoriche sul destino del nostro povero paese e della nostra sì bella lingua.
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La pagina "anonima" è stata copiata e incollata. Se ha la bontà di collegarsi al sito sopra segnalato vedrà che le voci ripetute uguali nelle colonne "corrette" e "preferite" sono conformi all'originale.Bue ha scritto:La pagina (anonima) è stata chiaramente compilata in modo trascurato, come dimostrano le voci ripetute uguali nelle colonne "corretti" e "preferiti".
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
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Non ci farei tanto caso. Si tratta, in fin dei conti, di un normario. A parte gli inevitabili errori, i normari in genere sono caratterizzati, come commenta Luca Serianni dopo avere esaminato quelli di varie agenzie di stampa e giornali, dal "frequente ricorso al logicismo grammaticale o all'etimologia con funzione veridittiva: è sbagliato parlare di più alternative, perché l'alternativa è sempre una sola, o di pugno chiuso ("c'è un pugno che non sia chiuso?")" (come afferma un Vademecum dell'ANSA) nonché, aggiungo io, dall'ignoranza degli esempi che la lingua ci offre.Marco1971 ha scritto:La massima parte di quanto consigliato è o inesatto o addirittura sbagliato. Ma: nothing surprises me any more.
Lo "sbagliato" pugno chiuso, che compare anche in questo normario del Sole 24 Ore, era già oggetto di interrogazioni 50 anni fa:
In La lingua italiana d'oggi, 1958, Bruno Migliorini ha scritto:Scrive un lettore, lamentandosi che si veda scritto tanto spesso pugno chiuso: espressione che, a suo parere, presenta "un errore, o per lo meno un pleonasmo inutile": basterebbe pugno. E dopo aver citato vari esempi recenti, si domanda se l'uso non sia cominciato nel 1945, quando le didascalie dei giornali commentavano le fotografie di dimostranti "che salutavano col pugno chiuso".
No, bisogna risalire molto, ma molto più indietro; nientemeno che a Dante, il quale nel quarto cerchio dell'Inferno (canto VII) fa che Virgilio gli spieghi la pena di quelli che hanno male usato dei loro averi: "Questi (cioè gli avari) resurgeranno dal sepulcro - col pugno chiuso, e questi (cioè i prodighi) coi crin mozzi". E più tardi il Boiardo parlando di uno degli innumerevoli duelli di Orlando, dice che egli ripone la spada "né con altra arme che col pugno chiuso" si dispone a conquistare la dama.
Basterebbero queste testimonianze a dimostrare che l'espressione si può adoperare legittimamente; ma possiamo ancora domandarci se è vero che cozza contro la logica, come pensa il nostro lettore.
Sta di fatto che pugno vuol dire "mano chiusa" e quindi l'espressione pugno chiuso appare eccessiva. Ma nella lingua la fantasia predomina spesso sulla logica: e le cose vanno viste non nell'immota limpidità delle definizioni, ma nella dinamica degli atti umani. E infatti si dice chiudere il pugno (o chiudere i pugni) perché il semplice chiudere la mano sarebbe debole e impreciso (si chiude la mano anche, per esempio, per afferrare un oggetto); e il pugno può essere più o meno chiuso, o magari semichiuso.
Piuttosto che un pleonasmo, dunque, chiuso costituisce una sottolineatura. E non capricciosa, come mostra la stessa sua antichità e persistenza.
Sí, e nulla di male se è fatto bene e segue le raccomandazioni unanimemente condivise dagli esperti. Ma qui siamo di fronte a un monte di inesattezze...Freelancer ha scritto:Non ci farei tanto caso. Si tratta, in fin dei conti, di un normario...
Un esempio solo (oltre a quelli sopra menzionati): il Sole 24 Ore raccomanda di usare gli opera omnia, mentre i dizionari (mi riferisco in particolare a DOP e Gabrielli) dicono s.f. pl. o sing. (in it.) e quindi l’opera omnia o le opera omnia.
Grazie, Roberto, per la bellissima citazione di Migliorini.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
I monosillabi non vogliono accento, tranne i seguenti:
dí (come giorno o imperativo del verbo dire)
Anche questo mi pare un errore grossolano!
di’ (imperativo del verbo dire) è un troncamento e vuole l’apostrofo, non l’accento; l’accento grafico deve essere usato per dí nome: “notte e dí”; senza accento di prep.: “città di Milano”.
dí (come giorno o imperativo del verbo dire)
Anche questo mi pare un errore grossolano!
di’ (imperativo del verbo dire) è un troncamento e vuole l’apostrofo, non l’accento; l’accento grafico deve essere usato per dí nome: “notte e dí”; senza accento di prep.: “città di Milano”.
Ultima modifica di Gianluca in data dom, 21 ago 2011 12:36, modificato 3 volte in totale.
- Infarinato
- Amministratore
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- Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 10:40
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L’imperativo di dire ammette anche l’accento…Gianluca ha scritto:di’ (imperativo del verbo dire) è un troncamento e vuole l’apostrofo, non l’accento…

Tuttavia è ammessa anche la grafia dí per l’imperativo di dire (si veda il DOP).
P.S. Infarinato mi ha preceduto.
P.S. Infarinato mi ha preceduto.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Pardon! Scusate la mia ignoranza: errare humanum est... 
di’ o dí imperativo di ‘dire’; dí ‘giorno’, ma per altri (cfr. SERIANNI 1989: I 242) solo di’ vale per l’imperativo di ‘dire’ (dal latino DIC) distinto in tal modo dalla preposizione di e dal sostantivo dí
Ehm... Rientro fra quelli!


di’ o dí imperativo di ‘dire’; dí ‘giorno’, ma per altri (cfr. SERIANNI 1989: I 242) solo di’ vale per l’imperativo di ‘dire’ (dal latino DIC) distinto in tal modo dalla preposizione di e dal sostantivo dí
Ehm... Rientro fra quelli!


Ultima modifica di Gianluca in data dom, 21 ago 2011 12:36, modificato 4 volte in totale.
Chi c’è in linea
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