
«Mollíca sí, mòllica no»
Moderatore: Cruscanti
«Mollíca sí, mòllica no»
Un bell’articolo di Maria Luisa Altieri Biagi. 

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Non è la stessa cosa.Fausto Raso ha scritto:Si potrebbe aggiungere: leccornía sí, leccòrnia no.
In questo caso la pronuncia consigliabile, secondo il DiPI, è ormai leccòrnia. Leccornìa è invece la pronuncia tradizionale.
A questo proposito ricordava l'Altieri Biagi nel suo articolo:
Ricadi sempre nel vizio dell'etimologismo.una lingua viva non può essere forzatamente ancorata a un passato remoto...

Il fenomeno dello spostamento d'accento è frequente nella storia della nostra lingua; quando un nuovo accento prende il sopravvento questo diventa l'accento canonico della parola.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
Leccornía non pare cosí remoto: il GRADIT la dà ancora come prima pronuncia, e Devoto-Oli 2004-2005 e Sabatini-Coletti non menzionano affatto leccòrnia (non ho però le ultime edizioni). Non anticipiamo le evoluzioni prima che un uso sia definitivamente tramontato. 

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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No, leccornìa non è così remoto ma è, tra le due, la pronuncia meno diffusa tra le persone cólte delle regioni standardizzanti, visto che come tale viene segnalata dal DiPI, il nostro dizionario di pronuncia più attento a questi cambiamenti.Marco1971 ha scritto:Leccornía non pare cosí remoto...
Quindi, a differenza del caso di mollìca, potremmo dire: leccornìa sì, leccòrnia pure.

La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
Se si parla di uso e basta, son d’accordo. Ma non sarei cosí sicuro che tra le persone veramente cólte la pronuncia leccòrnia prevalga... Personalmente (pur sapendo di essere una creatura strana), l’avverto tuttora come una stonatura, mentre mi disturbano meno le ritrazioni vàluto o facòcero. C’è anche un motivo, forse, e d’ordine semantico: leccornía coll’accento sulla i conserverebbe anche la prelibatezza del bocconcino.bubu7 ha scritto:No, leccornìa non è così remoto ma è, tra le due, la pronuncia meno diffusa tra le persone cólte delle regioni standardizzanti...

Cosí suona meglio, sí. E vorrei aggiungere che, rispetto ai secoli passati, oggi le opere di consultazione e la stessa istruzione sono accessibili a tutti, sicché certi errori sono meno accettabili oggi. Piú si è istruiti, meno si tende a cedere a dizioni popolareggianti. E leccòrnia, checché ne dica lo stimato Canepàri, rimane per molte persone cólte (e non solo delle regioni standarizzanti), un dire poco cólto.bubu7 ha scritto:Quindi, a differenza del caso di mollìca, potremmo dire: leccornìa sì, leccòrnia pure.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Lo stesso per cui si sente dire íncavo, facòcero, mòllica: una tendenza dei parlari settentrionali. Ma forse Infarinato potrà darci maggiori lumi.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Oso rispondere io a nome di Infarinato. Serianni (Italiano I.189) giustifica il fenomeno parlando di baritonesi, «la tendenza a far risalire l'accento verso l'inizio della parola in voci non popolari o non usuali». Riporto qui di seguito una lista di termini organizzati per coppie, adattata da A. L. Lepschy e G. Lepschy, La lingua italiana, Milano, Bompiani, 1988, p. 87. In essa, il primo elemento è quello raccomandato, mentre il secondo, se contrassegnato da un (+), indica una forma più comune (non si tiene conto dell'apertura o chiusura delle vocali, tutte indicate con l'accento grave): adùla, àdula; bolscevìco, bolscèvico; cucùlo, cùculo; devìa, dèvia; edìle, èdile; edùco, èduco; evapòra, evàpora (+); infìdo, ìnfido; leccornìa, leccòrnia; lìtote, litòte; micròbi, mìcrobi (+); missìle, mìssile; molliìca, mòllica; pedùle, pèdule; rubrìca, rùbrica; salùbre, sàlubre (+); scandinàvo, scandìnavo (+); utensìle, utènsile (+); valùto, sopravvalùto, vàluto, sopravvàluto (+); zaffìro, zàffiro.Marco1971 ha scritto:Lo stesso per cui si sente dire íncavo, facòcero, mòllica: una tendenza dei parlari settentrionali. Ma forse Infarinato potrà darci maggiori lumi.
Grazie, Dario.
Ne approfitto per ricordare la distinzione tradizionale fra utensíle sostantivo e utènsile aggettivo (macchina/pantografo utènsile).

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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- Iscritto in data: mar, 19 set 2006 15:25
Ritengo inaccettabile il fatto che il De Mauro in rete non faccia distinzioni circa le varie accentazioni.Marco1971 ha scritto:Grazie, Dario.Ne approfitto per ricordare la distinzione tradizionale fra utensíle sostantivo e utènsile aggettivo (macchina/pantografo utènsile).

«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Il GRADIT (editio maior del De Mauro) le distinzioni le fa: per utensile sostantivo dà per prima (lege: «preferibile») la pronuncia piana, e per l’aggettivo dà solo la pronuncia sdrucciola, com’è normale.Fausto Raso ha scritto:Ritengo inaccettabile il fatto che il De Mauro in rete non faccia distinzioni circa le varie accentazioni.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Caro Marco, anche lo Zingarelli (dodicesima edizione) fa la stessa distinzione.Marco1971 ha scritto:Il GRADIT (editio maior del De Mauro) le distinzioni le fa: per utensile sostantivo dà per prima (lege: «preferibile») la pronuncia piana, e per l’aggettivo dà solo la pronuncia sdrucciola, com’è normale.

Penso che la facciano tutti i dizionari.Gianluca ha scritto:Caro Marco, anche lo Zingarelli (dodicesima edizione) fa la stessa distinzione.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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