La difesa della Lingua come azione di politica interna
La Lingua Italiana è una di quelle caratteristiche che, accanto alla religione, all’etica, alla razza, ai costumi, contribuisce a costruire l’entità nazione, che in quanto tale è transeunte nel tempo e nello spazio, ovvero riunisce tutto il Popolo d’Italia che fu, che è, che sarà.
Pertanto la Lingua Patria assume nella nostra impostazione filosofico-politica un’importanza del tutto particolare rispetto alla concezione liberale, dove è funzionale ad altro e priva d’ogni valore intrinseco, ed alla concezione marxista-leninista, dove è sottomessa totalmente all’innovazione politico-ideologica in opposizione all’entità transeunte di Nazione.
Ecco così chiari i presupposti ideologici che stanno alla base della salvaguardia della purezza della lingua intrapresa con zelo e con successo durante il ventennio.
Salvaguardare la propria lingua significa essenzialmente:
1) preservarne la qualità
2) preservarne l’identità
3) preservarne la correttezza formale
Ognuno di detti tre punti prevede azioni incisive su aspetti diversi:
1) preservare la qualità di una lingua significa promuoverne la varietà lessicale e grammaticale, combattere l’appiattimento lessicale e salvaguardare tutti i sinonimi, le sfumature e le particolarità di cui il nostro idioma è tanto dotato.
Esempi pratici: salvaguardia dell’uso del congiuntivo; salvaguardia di tutta la miriade di termini esistenti per indicare un passaggio interno al terreno, ognuno con la sua sfumatura: grotta, caverna, spelonca, abituro, anfratto, galleria...
2) preservare l’identità significa salvaguardare la lingua da intromissioni dirette straniere, che sono ben da distinguere dagli influssi indiretti, invece corretti filologicamente ché la lingua è entità in evoluzione (che, si badi, significa arricchimento, non impoverimento).
Esempi pratici: da eliminare sono i termini stranieri presi tali e quali come hobby (it. Passatempo), computer (it. Elaboratore); corretti sono invece quei neologismi che vengono Italianizzati ed assorbiti: es. Il verbo “driblare” è corretto; scorretto è “dribbling” (it. Scarto, in mancanza di Italianizzazione specifica).
3) preservare la correttezza formale significa salvaguardare tutte quelle norme ortografiche, lessicali e appunto formali che caratterizzano la nostra lingua.
Esempi pratici: “ha” del verbo avere con l’h (à è ammesso ma arcaico); “doppia i” finale, possibilità offerte dalla lingua: i con accento circonflesso, j, ii, mentre sconsigliato è lasciare una semplice i; possibilità di utilizzare la j semivocalica (come faceva Pirandello).
Grazie all’opera compiuta dal Regime in collaborazione con la Regia Accademia della Crusca fu possibile introdurre termini come “pasticceria” (prima si usava il francese patisserie), “calcio” (prima era football), “tramezzino” (prima era sandwich), “caffè”, “caffetteria” o “mescita” (prima era soltanto bar).
Se fosse durato il Regime ora non saremmo invasi da anglicismi! Per ogni nuova invenzione si sarebbe trovato il termine adatto e corretto etimologicamente e filologicamente come fu pel telefono e pella televisione!
Tuttavia oggi la Crusca non collabora quasi più col governo, né ha quel potere morale ch’aveva un tempo. Tra l’altro, non è più così competente!
Comunque, ecco, come esempio, alcune delle più recenti proposte di Italianizzazione di alcuni termini informatici alloglotti oggi in voga:
Computer = elaboratore
Mouse = topolino
Monitor = visore
Cd = disco (compatto)
Floppy disk = dischetto
E-mail = posta (elettronica), riferita al sistema; lettera (elettronica), riferita al singolo documento inviato
Internet = (inter)rete
La difesa del Latino
Il Latino, Lingua Universale Romana, Lingua della Cultura e della Religione, Lingua Madre dell’Italiano, perfetta nella sua correttezza sintattica, merita la nostra più grande attenzione.
Il Fascismo difende la Romanità e con essa il Latino.
Il Latino non è una lingua morta, bensì è vivissima e immortale.
Essa è la più pura espressione verbale della forma mentis della nostra Stirpe Romana e ne rispecchia le virtù di sintesi, completezza, vastità lessicale e beltà.
Oltre al consueto uso Religioso del Latino, oggigiorno tantissimi sono i circoli sparsi nel mondo che sogliono seguire e favorire lo sviluppo del Latino moderno, rinnovandolo con i necessari neologismi atti ad indicare tutte le novità tecnologiche che l’uomo via via inventa.
Per i cultori del Latino moderno, ecco alcune notizie recenti di “Nuntii Latini”, vero e proprio notiziario in Lingua Latina:
1. Sulla vicenda della disponibilità di gas per l’Europa
Energia Europaeos sollicitat
27.01.2006
Anno vergente, cum rixa de gaso inter Moscuam et Kioviam orta multas Nationes Europaeas terruisset, ne de energia Russiae nimis dependerent, de novis electrificinis nuclearibus in Europa aedificandis cogitari coeptum est. José Manuel Barroso, Praeses Commissionis Europaeae, censuit nullam optionem energiae excludendam esse.
Franci, apud quos octoginta centesimae electricitatis vi nucleari producuntur, monuerunt electrificinas nucleares non tantum ex energia aliena independentiam augere sed etiam instrumenta esse, quibus contra mutationem climaticam pugnaretur.
2. Sull’aumento del prezzo della benzina
Usus vehiculorum publicorum auctus
16.02.2006
Incrementum pretii materiae combustibilis effecit, ut in dies plures europaei suo proprio autocineto uti desinerent et ad vehicula publica adhibenda transirent.
Praesertim consumptores Europae occidentalis, ut Francogalli, Germani et Helvetii, consuetudines suas ad rem autocineticam pertinentes propter pretium benzini auctum valde mutaverunt. In Finnia autem hic effectus minor esse videtur.
3. Sui rapporti Hamas-UE
Hamas et Unio Europaea
03.02.2006
Ministri negotiorum exterorum Unionis Europaeae ordinem hamas hortati sunt, ut vi desisteret et arma deponeret.
Iam in eo est, ut ille motus, recens victor electionum Palaestinensium, in regimen asciscatur.
Hamas, qui acerrime id agit, ut Israel omnino aboleatur, post annum bis millesimum circiter sexaginta impetus suicidiales in Israelianos fecit.
Constat unionem europaeam regionibus palaestinensibus anno praeterito quingentis milionibus Euronum opitulatam esse.
4. L’Iran e il nucleare
De re nucleari Iranianorum
03.02.2006
Inter Unionem Europaeam, Civitates Americae Unitas, Sinas et Russiam convenit, ut programma nucleare Iraniae ad Consilium Securitatis Nationum Unitarum deferretur.
Iraniani autem tale propositum illegale esse censent. Terrae occidentales metuunt, ne Iraniani iam in armis atomicis fabricandis occupati sint.
Risposte ad alcuni dubbj linguistici
1)Majuscole e minuscole
La regola generale della lingua italiana (al contrario di quella latina) dice che gli aggettivi non vanno mai majuscoli: dunque regola vorrebbe che quando i termini "italiani, francesi, tedeschi, britannici, romani, parigini, fascista, comunista, liberale, ecc. Ecc." sono posti al fianco di un sostantivo siano tutti scritti in minuscolo.ma...c'è un ma! Il majuscolo è sempre ammesso quando si voglia sottolineare la propria partecipazione ideale a un concetto che si ritiene importante: è per questo, ad esempio, che io se scrivo "Popolo Italiano", "Italia Fascista", ecc. Scrivo l'iniziale majuscola anche per l'aggettivo. Per i sostantivi è d'obbligo scrivere con l'iniziale majuscola i nomi, i cognomi, i titoli, i nomi geografici, le nazioni, i popoli, le cariche di alto rilievo politico, sociale, culturale, ecc.
Tanto per fare qualche esempio: Dio, Papa, Cardinale, Vescovo, Duce, Imperatore, Re, Presidente della Repubblica, Console, Governatore, Ambasciatore, Prefetto, Presidente del Consiglio, Ministro, Rettore, Senatore, Accademico, ecc.
Vale poi il suddetto concetto della partecipazione ideale, per cui io scrivo solitamente Patria, Popolo, Nazione, Fascismo, Regno, Impero, Stati, Cattolico, Chiesa, ecc. appunto con l'iniziale majuscola. Talora anche solo per sottolineare il proprio rispetto anche se non si condivide l'idea espressa da un termine: Islamismo, Ebraismo, ecc.
2) La "j"
La "j" rappresenta nella nostra lingua la variante ortografica della "i" semivocalica. Si ha i semivocalica quando è ad inizio parola e regge un'altra vocale di seguito (es. Jone, Jugoslavia, jato) o quando è circondata da due vocali (calamajo, majuscolo, carrajo).l'uso della "j" in dette circostanze non è obbligatorio, ma è ortograficamente e stilisticamente più corretto, come ben sapeva appunto pirandello; io sono sempre stato un seguace di questo uso ortografico!circa i finali di parola in doppia i (di solito plurali di sostantivi terminanti in "-io") citati da domenico, l'italiano prevede ben quattro possibilità ortografiche:- ii (si lascia scritta la doppia i): è corretto ma stilisticamente brutto (es. Olio, olii)- î (i con accento circonflesso): è il modo ortografico più corretto (es. Olio, olî);è indispensabile quando si vogliano distinguere parole che altrimenti apparirebbero eguali: es. Principî (plurale di principio; meno corretto è scrivere princìpi)-principi (plurale di principe)- j (i lunga):non è correttissimo e non è mai stato molto usato;può essere un vezzo stilistico;è utile in caso di plurali di parole con i semivocalica (es. Operajo, operaj)- i semplice:è ortograficamente scorretto perché fa sparire il segno distintivo del plurale maschile -i (es. Olio, oli);è utile per scritti sbrigativi, ma giammai in scritti più importanti
3) "Anti" e "ante"
L'"anti" di anticomunismo, amntimaterialismo, ecc. Deriva dalla preposizione greca "antì" che significa "contro".al contrario l'"anti" di anticamera, antiporto, antisala, ecc. Deriva proprio da quel latino "ante" da te citato che significa proprio "prima, davanti, precedente", che però talora, unito ad altre parole, si trasforma (anche in lingua latina) in anti-. Quindi "anticamera" vuol dire proprio "prima della camera".
4)Andare a capo
Prima regola nell'andare a capo è quella di non spezzare le sillabe. In parole con sillabe bilettere (consonante+vocale) la cosa è estremamente semplice.es.: parola paro= la pa=rola con sillabe con doppie consonanti si spezza la doppia.es.: sillabasil=labadi regola non vanno mai spezzati gli accostamenti di consonanti diverse (es. -mp- -sc- -gn- -gl-, ecc.), salvo che non si tratti di consonanti totalmente separate nella sillaba.es.: acqua ac= quaimparoimpa=roin caso di apostrofi non si lascia mai un apostrofo a fine riga; pertanto si scrivono le parole intere staccate come se non ci fosse apostrofo. (n.b.: alcuni grammatici non condividono questa regola)es.: dell'aquiladellaaquila
5) Il segno "V" per "U"
Anticamente i romani solevano scrivere col medesimo segno ambedue i suoni: v ed u erano scritti entrambi v.l'utilizzo grafico di v al posto di u è dunque un latinismo. Esso può essere usato nei casi in cui si voglia porre un particolare significato storico-antico del termine. (altro es. Dvce per Duce, ecc.).
6) Termini corretti e scorretti
I termini corretti sono leccornìa e edìle. Non c'è una regola generale, ma nella maggior parte dei casi le parole che finiscono in -ia portano l'accento sulla -i-, a meno che non si tratti di -ia monosillabico (es. -gia di forgia e -cia di guancia).da ricordare inoltre che vi son più parole piane che sdrucciole.
es. albagìa e non albàgia devìa e non dévia villanìa e non villània
es. di eccezione: lussuria, arteria, dalia
7)La punteggiatura
La punteggiatura è parte essenziale non solo della lingua scritta, ma anche della lingua parlata: in un discorso una pausa più o meno lunga tra una parola e l'altra o un'intonazione specifica hanno un'importanza eccezionale. Com'è noto l'Italiano possiede i seguenti tipi di punteggiatura:
. = punto: indica pausa lunga, interruzione netta tra periodi diversi. Non penso siano necessari esempi.
, = virgola: indica pausa breve atta a congiungere coordinate o subordinate, es. Oggi mi alzo, mangio in fretta e vado da mio zio, che vive in montagna, sostantivi elencati, es. Sul tavolo ho messo piatti, bicchieri, forchette e tovaglioli, a contenere incisi, es. L'anno prossimo partirò da londra, dove ho vissuto 3 anni, per recarmi a parigi, a spiegare frasi principali (in questo caso, ereditato dal tipico uso latino, ha la medesima funzione dei :)es. Ecco tutto ciò che ci serve, una pila e una zappa
; = punto e virgola:n indica pausa media ed è fondamentale per congiungere periodi, nomi o frasi che si ritiene sì collegate ma non al punto da usare la virgola es. A un certo punto si fermò; pensai fosse stanca
: = due punti: indicano spiegazione di un qualcosa che si è detto innanzi es. In verità ero stupefatto: luisa non si era mai comportata così
- = trattino: si usa raramente e indica un forte inciso quasi estraneo alla narrazione ci avventurammo insieme in una selva - che poi scoprimmo essere un bosco sconosciuto ai più e lontanissimo dalla città - dalla quale uscire fu assai difficoltoso. A volte è usato anche come la virgoletta.
" = virgoletta: si usa per i discorsi diretti es. disse: "arrivederci", ovvero per indicare termini che si ritengono curiosi, bizzarri o non del tutto corretti a un certo punto udii parlare di "marocchineria"
()= parentesi: si usano per circoscrivere un fortissimo inciso totalmente staccato dal resto della frase es.mio cugino invitò anche peppina, che ne fece di tutti i colori (tra l'altro mi è antipatica)
? = punto interrogativo: indica domanda
! = punto esclamativo: indica interiezione
8) Analoghi Italiani
La parola "record" utilizzata ad esempio in "velocità da record" può avere un corrispettivo italiano?
Certo! Il corrispondente è: primato.
9) Virgola prima della "e": giusto o sbagliato?
Diciamo che nessuno ha torto pieno!la virgola prima della "e" non è scorretta in senso assoluto, tuttavia per usarla bisogna essere consci del suo significato (che tra breve spiegherò).infatti prima di conoscere l'eccezione è indispensabile aver ben chiara la regola, sicché i maestri giustamente insegnano che "prima della congiunzione "e" non va la virgola".questa è una tipica regola semplificatrice, che è utile per dare una chiara indicazione agli allievi, dimodoché essi non indulgano nel piazzare qua e là virgole senza motivo.tuttavia il porre una virgola prima della "e" può avere un preciso uso e un preciso significato. La virgola, com'è noto, non ha solo la funzione di congiungere ma quella di porre una pausa breve. Poiché la "e" è la congiunzione per eccellenza, la virgola che in casi particolari gli si antepone non ha di regola funzione congiungente, ma di pausa. Essa va dunque inserita qualora si voglia dare una particolare intonazione al discorso: la pausa che si inserisce prima della "e" è perciò una scelta stilistica, non grammaticale, esattamente come nell'esempio riportato, dove sono congiunte tre frasi di grande intensità emotiva:"'gli dissi che non doveva importunarmi, che non aveva il diritto di farlo, e che se mi avesse cercata ancora..."in questo caso il porre la virgola prima dell'"e" ha una chiara importanza stilistica, poiché fa "singhiozzare la frase" esattamente come potrebbe singhiozzare la persona che la dice.tale uso nei romanzi, dove abitualmente è assai importante lo stile, è dunque logico.non bisogna invece abbondare di ciò in saggistica e nelle recensioni (e anche nei temi scolastici!! ), poiché potrebbe spezzare troppo il filo del discorso. Dunque, concludendo con un motto: uso parco e consapevole!
10) Come rivolgersi alle persone
Un aspetto assai importante della lingua italiana è il capitolo del "come rivolgersi alle persone".questo aspetto fondamentale delle lingue, che è indice primario della socialità delle popolazioni, è, nell'attuale società egoistica e mercantilistica, ovviamente trascurato.in effetti principio fondamentale della scuola dovrebbe essere che, prima di saper fare 2+2 è indispensabile saper trattare correttamente con chi si incontra. Tanto per fare un esempio banale: prima si impari che passeggiando per la strada bisogna far passar prima un anziano, poi si impareranno tutti i logaritmi che si vuole. Tornando al discorso lingua, l'italiano è dal punto di vista dei rapporti personali estremamente dotato, più di tante altre lingue:l'italiano è dotato di ben tre pronomi personali con cui rivolgersi agli interlocutori. In gradazione crescente di rispetto:
1) il "tu"
2) il "voi"
3) il "lei"
altre lingue sono molto più povere.ad esempio in inglese si dà a tutti del "voi" (=you): pur esistendo il "tu" (=thou) esso è caduto in disuso sin dalla fine del '700.in portoghese del brasile si dà invece a tutti del "lei" (=voce)).in arabo si dà a tutti del "tu", diverso però a seconda del genere(trascriz. Del maschile: anta; trascriz. Del femminile: anti), cambiando in caso di necessità di rispetto, l'aggettivazione e la sostantivazione.ritengo fortemente sbagliata la campagna "staraciana" che si fece alla fine degli anni '30 a favore del "voi" in sostituzione del "lei" per due motivi semplicissimi:
1) una lingua più ricca è meglio è
2) il "voi" e il "lei" non coincidono e non sono a rigore interscambiabili
e veniamo ora al significato intrinseco dei tre pronomi:
Tu, plur. Voi
il "tu" è il pronome dell'intima conoscenza, dell'amicizia, della familiarità, del rapporto consolidato; insomma ha un preciso significato di intima unione. L'attuale malcostume di dare del "tu" al primo che passa è segno di profonda ineducazione sociale, corrispondente a decadimento morale della società. La totale perdita del significato reale di questo pronome porta incredibilmente ad eguagliare il rapporto che si ha con un genitore o con uno sposo a quello che si ha col benzinaio che ci fa il pieno o con l'addetto della banca che ci dà i soldi: la cosa, che deve essere vista in un contesto più generale di tante piccole particolarità, è uno dei tanti sintomi di incrinamento dei rapporti sociali e civili tra gli uomini, del trionfo della società del formicaio, dove le formiche, tutte uguali e tutte singole, interscambiano rapporti impersonali tra loro senza distinzione. Grave errore è considerare la semplice comunanza d'età una giusta ragione per il "tu": l'età è solo uno, e spesso neanche il più importante, delle caratteristiche che "fanno grado" nei rapporti personali. In certi casi è corretto dare del "lei" a un bambino di 2 anni, come in altri casi è corretto dare del "tu" a un vecchio di 90 anni.
Voi, plur. invariato
il "voi" sta originariamente a mezzo tra il "tu" e il "lei". 'E un pronome di rispetto molto fine, che può essere utilizzato nei confronti di persone che si conoscono e si rispettano per ciò che sono o rappresentano. In particolare il "voi" è tipico del mezzogiorno d'Italia, nonché, in molte zone, tipico pronome da rivolgersi alla servitù. Il suo scarso uso l'ha fatto assurgere nella mentalità comune a un grado di rispetto più elevato da quello che aveva in origine.
Lei, plur. Loro
il "lei" è il massimo grado di rispetto: con questo pronome, contrariamente ai due precedenti, ci si rivolge in modo indiretto (terza persona) all'interlocutore poiché non si ha l'ardire di "toccarlo con la parola".esso deve essere pertanto usato, oltre che genericamente con tutti finché non si decida di passare ad altro pronome, con le persone che più si rispettano, si apprezzano; persone cui si è o che ci sono devote; persone di differente grado.
Altro accorgimento fondamentale di buona educazione linguistica: i pronomi non sono mai unilaterali (salvo rarissime eccezioni), cioè sono sempre reciproci: è scorrettissimo e umiliante dare/ricevere del "lei" quando al contrario si dà/riceve del "tu".
E veniamo ora ai principali titoli (con ev. abbreviazioni) con cui è corretto rivolgersi a determinate categorie di persone:
uomo generico: signore (sig.), camerata
donna sposata generica: signora (sig.ra)
donna nubile generica: signorina (sig.ina)
rampollo minorenne di famiglia distinta: signorino (sig.ino)
laureato: dottore (dr. o dott.)
Docente: professore (prof.)
Rettore: magnifico
accademico: accademico (acc.)
Architetto, avvocato e specialità varie: nome della specialità (avv., arch., ecc.) (preceduto in certi casi da signor)
artista generico: maestro (m.)
Titolato generico (gentilizio, nobiliare, cavalleresco, ecc.): titolo specifico (preceduto in certi casi da signor), eccellenza (s.e.), vossignoria (s.v.)
titolo nordico particolare: sua grazia (s.g.)
sacerdote: padre (p.), reverendo (r.)
Frate: fratello (fra')
suora: sorella, madre
abate: monsignore (mons.)
(arci)vescovo: eccellenza (s.e.)
cardinale: eminenza (s.em.)
Papa: santità (s.s.)
principe di sangue reale: altezza reale (s.a.r.)
re e imperatore: maestà (s.m.)
titolato regnante: altezza serenissima (s.a.s.)
presidente di stati, repubbliche, camere legislative, associazioni, ecc.: signor presidente (sig.pres.), eccellenza (s.e.)
duce, primo ministro e ministro: eccellenza (s.e.)
senatore: senatore (sen.)
Deputato: onorevole (on.)
Titoli militari: titolo e abbreviazione corrispondente (es. Gen.)
Se si ha a che fare con una persona con più titoli differenti l'ordine corretto è questo: titolo politico+titolo militare+titolo cavalleresco+titolo nobiliare+titolo accademico (es. Sen. Amm. Duca dott. Tal dei tali).
11) "qq"
L'unica parola con "qq" ammessa per convenzione storica è "soqquadro"; il termine va scritto "acquartierare".
Dunque circa il "cq-qq", essendo semplicemente questioni grafiche di tipo estetico è chiaro che sfogliando documenti di vario genere si possa trovare di tutto; addirittura a livello di scelta di articoli si può trovare tutto e il contrario di tutto: per esempio un tempo, specie nel '700, era comunissimo trovare scritto "il zucchero" al posto di "lo zucchero", "il stupido" al posto di "lo stupido": ciò non significa che improvvisamente divenga tutto ammesso come regola generale!
12) Parentesi
Le parentesi quadre sono a rigore un simbolo matematico, non linguistico: parentesi tonde, trattini, virgole sono più che sufficienti per le diverse forme di inciso. La doppia parentesi tonda è da escludersi ancor più nettamente.es. Andrea (amico di giuseppe, quello del piano di sotto) ha avuto un incidente per rispondere alla seconda:esteticamente è preferibile isolare il trattino con due spazi: uno prima e uno dopo; ciò contrariamente alla maggior parte degli altri segni di interpunzione che vogliono lo spazio dopo e non prima; eccezione fa la parentesi che si apre, la quale vuole lo spazio prima e non dopo.es. Peppino (non il peppino che conosci tu) è un mio vecchio amico.es. Sei stato - gli disse - un amico
13) Varie
- Vanno scritti esattamente così: glielo, gliene, gliela, ecc.la cosa deriva da gli + e eufonica + particella pronominale:dunque tutto attaccato!
- "sic" in latino significa "così" (tra l'altro è l'antenato del nostro "sì"). In italiano, nelle citazioni, si suole porre questo termine latino tra parentesi a margine di una frase, di un termine o di un periodo palesemente errati, strani o che destano stupore, ma che così (sic) sono stati scritti o detti nelle circostanze che si citano.es.:osservando i vari documenti abbiamo visto che in uno il notajo aveva scritto che il contratto era inuttile (sic)a un certo punto il presidente disse di sperare che tutti gli automobilisti si schiantassero contro un albero(sic)
- Anticamente i romani solevano scrivere col medesimo segno ambedue i suoni: v ed u erano scritti entrambi v.l'utilizzo grafico di v al posto di u è dunque un latinismo. Esso può essere usato nei casi in cui si voglia porre un particolare significato storico-antico del termine. (altro es. Dvce per duce, ecc.).
- Sull'ecc.: il discorso è corretto e di tipo squisitamente stilistico. Personalmente approvo alcune (non tutte) italianizzazioni di certi termini latini: "eccetera" è una di queste. All'"etc." preferisco nettamente l'"ecc." come abbreviazione tipicamente italiana, tanto più che "et coetera" in latino è composto da due parole staccate, sicché a rigore "etc." sarebbe scorretto, (oltrettutto è abusato dagli stranieri).altri esempj di italianizzazioni possono essere "foro" per "forum" oppure "domineddie!" per "domine dive!".
- i tre punti si mettono quando non si mette l'"eccetera" e si fa intuire il lungo elenco! "ecc." con un sol punto è corretto in quanto è un'abbreviazione di una sola parola.circa le abbreviazioni, esse sono tipiche delle lingue neolatine e in particolare della nostra lingua (ad esempio in arabo non esistono). A voler essere pignoli, scrivendo a mano, abbreviando una parola bisognerebbe porre l'ultima lettera (o anche l'ultima sillaba) in alto e in piccolo dopo il punto a mo' di "esponente"; battendo a macchina la lettera resta normale.es.: ill.mo per illustrissimo)
- l'abuso di puntini è errato.
- circa i termini stranieri non ci sono regole essendo parole estranee alla lingua; circa le sigle o si sottintende il termine "società, "associazione", ecc. E allora la sigla diventa femminile: es. La (società) telecom;oppure si usa il maschile: es. Il wto.
14) Articoli
Gli articoli dinnanzi ai cognomi seguono le consuete regole che impongono di usare "lo" davanti a lettere e fonemi quali z, x, sc, ps, pn, gn, sp, sd e naturalmente st. Dunque si dice: "lo stanghellini".plurale (tutta la famiglia): "gli stanghellini"
"lo" si usa davanti a tutti i casi di "s impura" cioè seguita da consonante. Ad es. Lo sbaglio, lo sfortunato, lo smemorato, lo sregolato, ecc. Da notare, davanti a pn, il comune errore: il/i pnemuatici, quando la versione corretta è lo/gli pneumatico. Sono incerto poi in casi come davanti a ju-, je- ecc. Es: si dovrebbe dire lo juventino, lo jettatore, giusto?
Esattissimo come dice anche circa j semivocalica+vocale!
Oggigiorno si usano indistintamente come varianti fonetiche di uno stesso concetto (scelta eufonica: es. "tra fratelli" e non "fra fratelli"; "fra traditori" e non "tra traditori"). Tuttavia originariamente esiste una differenza tra le due, nel senso che "tra" sarebbe meno separatore di "fra". Infatti etimologicamente le due preposizioni derivano dal latino:"infra": (es. Italiano: infrauniversitario, all'interno di diverse università)"intra": (es. Italiano: intrauniversitario, all'interno di una stessa università)anche in italiano è dunque possibile sottolineare queste sfumature.
15) Ausiliari
In particolare regola vuole che i verbi intransitivi abbiano l'ausiliare "essere"; quelli transitivi "avere". Circa "vivere": il modo più corretto è naturalmente "sono vissuto" in caso di intransitività (es. "sono vissuto a bari per tre anni"); "ho vissuto" in caso di transitività (es. "ho vissuto una vita felice").per via di questo uso transitivo è possibile dire "ho vissuto (sottinteso "un periodo", ecc.) A bari" senza commettere errore.
Il Fascismo a difesa della Lingua Italiana
Moderatore: Cruscanti
Il Fascismo a difesa della Lingua Italiana
Leggete questo scritto ed esprimete vostre considerazioni.
1. Potrebbe gentilmente indicare la fonte di questo scritto?
2. Potrebbe gentilmente evitare d’introdurre elementi non pertinenti? (Il nostro non è un foro sulla lingua latina.)
3. Su che cosa, esattamente, chiede un parere?
2. Potrebbe gentilmente evitare d’introdurre elementi non pertinenti? (Il nostro non è un foro sulla lingua latina.)
3. Su che cosa, esattamente, chiede un parere?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
1) Purtroppo no, giacchè l'autore della monografia ha dovuto, recentemente, cancellare tutti i suoi scritti dal forum in cui li ha inseriti;Marco1971 ha scritto:1. Potrebbe gentilmente indicare la fonte di questo scritto?
2. Potrebbe gentilmente evitare d’introdurre elementi non pertinenti? (Il nostro non è un foro sulla lingua latina.)
3. Su che cosa, esattamente, chiede un parere?
2) Non ho introdotto io la parte che riguarda la Lingua Latina, ma è compresa nella monografia che mi sono limitato a riportare nella sua integrità;
3) Chiedo un parere generale sullo scritto, magari qualcosa di più approfondito per quel concerne il rapporto Fascismo/Lingua Italiana;
- Infarinato
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Non è troppo pertinente nemmeno questo commento (originariamente in grassetto [eliminato]):Marco1971 ha scritto:Potrebbe gentilmente evitare d’introdurre elementi non pertinenti? (Il nostro non è un foro sulla lingua latina.)
Forse… ma avremmo perso anche molte delle nostre libertà fondamentali.Se fosse durato il Regime ora non saremmo invasi da anglicismi!

Mi aspettavo qualche intervento più esteso e qualche commento circa il paragrafo "Risposte ad alcuni dubbj linguistici", soprattutto per quel concerne i seguenti punti:
2) La "j"
La "j" rappresenta nella nostra lingua la variante ortografica della "i" semivocalica. Si ha i semivocalica quando è ad inizio parola e regge un'altra vocale di seguito (es. Jone, Jugoslavia, jato) o quando è circondata da due vocali (calamajo, majuscolo, carrajo).l'uso della "j" in dette circostanze non è obbligatorio, ma è ortograficamente e stilisticamente più corretto, come ben sapeva appunto pirandello; io sono sempre stato un seguace di questo uso ortografico!circa i finali di parola in doppia i (di solito plurali di sostantivi terminanti in "-io") citati da domenico, l'italiano prevede ben quattro possibilità ortografiche:- ii (si lascia scritta la doppia i): è corretto ma stilisticamente brutto (es. Olio, olii)- î (i con accento circonflesso): è il modo ortografico più corretto (es. Olio, olî);è indispensabile quando si vogliano distinguere parole che altrimenti apparirebbero eguali: es. Principî (plurale di principio; meno corretto è scrivere princìpi)-principi (plurale di principe)- j (i lunga):non è correttissimo e non è mai stato molto usato;può essere un vezzo stilistico;è utile in caso di plurali di parole con i semivocalica (es. Operajo, operaj)- i semplice:è ortograficamente scorretto perché fa sparire il segno distintivo del plurale maschile -i (es. Olio, oli);è utile per scritti sbrigativi, ma giammai in scritti più importanti
10) Come rivolgersi alle persone
Un aspetto assai importante della lingua italiana è il capitolo del "come rivolgersi alle persone".questo aspetto fondamentale delle lingue, che è indice primario della socialità delle popolazioni, è, nell'attuale società egoistica e mercantilistica, ovviamente trascurato.in effetti principio fondamentale della scuola dovrebbe essere che, prima di saper fare 2+2 è indispensabile saper trattare correttamente con chi si incontra. Tanto per fare un esempio banale: prima si impari che passeggiando per la strada bisogna far passar prima un anziano, poi si impareranno tutti i logaritmi che si vuole. Tornando al discorso lingua, l'italiano è dal punto di vista dei rapporti personali estremamente dotato, più di tante altre lingue:l'italiano è dotato di ben tre pronomi personali con cui rivolgersi agli interlocutori. In gradazione crescente di rispetto:
1) il "tu"
2) il "voi"
3) il "lei"
altre lingue sono molto più povere.ad esempio in inglese si dà a tutti del "voi" (=you): pur esistendo il "tu" (=thou) esso è caduto in disuso sin dalla fine del '700.in portoghese del brasile si dà invece a tutti del "lei" (=voce)).in arabo si dà a tutti del "tu", diverso però a seconda del genere(trascriz. Del maschile: anta; trascriz. Del femminile: anti), cambiando in caso di necessità di rispetto, l'aggettivazione e la sostantivazione.ritengo fortemente sbagliata la campagna "staraciana" che si fece alla fine degli anni '30 a favore del "voi" in sostituzione del "lei" per due motivi semplicissimi:
1) una lingua più ricca è meglio è
2) il "voi" e il "lei" non coincidono e non sono a rigore interscambiabili
e veniamo ora al significato intrinseco dei tre pronomi:
Tu, plur. Voi
il "tu" è il pronome dell'intima conoscenza, dell'amicizia, della familiarità, del rapporto consolidato; insomma ha un preciso significato di intima unione. L'attuale malcostume di dare del "tu" al primo che passa è segno di profonda ineducazione sociale, corrispondente a decadimento morale della società. La totale perdita del significato reale di questo pronome porta incredibilmente ad eguagliare il rapporto che si ha con un genitore o con uno sposo a quello che si ha col benzinaio che ci fa il pieno o con l'addetto della banca che ci dà i soldi: la cosa, che deve essere vista in un contesto più generale di tante piccole particolarità, è uno dei tanti sintomi di incrinamento dei rapporti sociali e civili tra gli uomini, del trionfo della società del formicaio, dove le formiche, tutte uguali e tutte singole, interscambiano rapporti impersonali tra loro senza distinzione. Grave errore è considerare la semplice comunanza d'età una giusta ragione per il "tu": l'età è solo uno, e spesso neanche il più importante, delle caratteristiche che "fanno grado" nei rapporti personali. In certi casi è corretto dare del "lei" a un bambino di 2 anni, come in altri casi è corretto dare del "tu" a un vecchio di 90 anni.
Voi, plur. invariato
il "voi" sta originariamente a mezzo tra il "tu" e il "lei". 'E un pronome di rispetto molto fine, che può essere utilizzato nei confronti di persone che si conoscono e si rispettano per ciò che sono o rappresentano. In particolare il "voi" è tipico del mezzogiorno d'Italia, nonché, in molte zone, tipico pronome da rivolgersi alla servitù. Il suo scarso uso l'ha fatto assurgere nella mentalità comune a un grado di rispetto più elevato da quello che aveva in origine.
Lei, plur. Loro
il "lei" è il massimo grado di rispetto: con questo pronome, contrariamente ai due precedenti, ci si rivolge in modo indiretto (terza persona) all'interlocutore poiché non si ha l'ardire di "toccarlo con la parola".esso deve essere pertanto usato, oltre che genericamente con tutti finché non si decida di passare ad altro pronome, con le persone che più si rispettano, si apprezzano; persone cui si è o che ci sono devote; persone di differente grado.
Altro accorgimento fondamentale di buona educazione linguistica: i pronomi non sono mai unilaterali (salvo rarissime eccezioni), cioè sono sempre reciproci: è scorrettissimo e umiliante dare/ricevere del "lei" quando al contrario si dà/riceve del "tu".
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E cosa le dovremmo rispondere, caro Antonius?ANTONIVS ha scritto:Mi aspettavo qualche intervento più esteso e qualche commento circa il paragrafo "Risposte ad alcuni dubbj linguistici"…
L’impostazione generale è biecamente grammaticistica (nonché decisamente superata). Le argomentazioni (quando ci sono e non sono del tutto infondate) sono troppo recise e di natura perlopiú estralinguistica.
Nello specifico: per i plurali dei sostantivi in -io con i atona già nel ’41 il Camilli (che pure auspicava un recupero della lettera j, già caduta quasi completamente in disuso ai suoi tempi, in altri contesti [Camilli-Fiorelli 1965: 170, n. 1]) raccomandava «-i per regola, e -î eccezionalmente quando in un dato caso si tema confusione», ma ammoniva súbito in nota: «quando si può distinguere per mezzo dell’accento, è meglio adoperar l’accento: cosí príncipi e princípi (non principî), oratóri e oratòri (non oratorî), ecc.» (Camilli-Fiorelli 1965: 175–6).
L’uso del voi, poi, come allocutivo di cortesia è da considerarsi oggigiorno esclusivamente un arcaismo o un meridionalismo (cfr. GRADIT e Serianni 1989, per dar solo i primi due riferimenti che mi vengono in mente).

Aggiungerei che invece di porre tanti quesiti alla rinfusa nella sezione Generale sarebbe preferibile aprire un filone per ognuno nelle sezioni appropriate. 

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Siete stanchi di veder sempre più spesso termini anglosassoni imporsi nell'uso comune degli italofoni? Anche voi proporreste una rilettura in chiave moderna e democratica delle politiche linguistiche del ventennio? Bene, credo troverete interessante partecipare alle discussioni del blog DEFAULTOPOLI! Fate una ricerca utilizzando Google, è il primo link! A presto!
In riferimento all'intervento precedente, tengo a precisare si tratti di un titolo apertamente provocatorio. Comunque, riguardo alle politiche linguistiche fasciste, concordo pienamente con quanti sostengono l'importanza di un ritorno, però democratico, alle stesse tenendo conto dell'attuale periodo storico e del rilevante peso economico-culturale dei paesi di lingua inglese. In sintesi, è importante conoscere la lingua inglese, ma è necessario evitare che contamini la nostra. Come fare? Al momento è un mistero. Cerco aiuto 

Abbiamo affrontato ripetutamente l’argomento in queste stanze, e, come avrà visto, abbiamo compilato una lista coi relativi traducenti italiani. Concretamente – e realisticamente – possiamo far poco per contrastare le forze disgregatrici in atto nell’italiano d’oggi. Come abbiamo detto e ridetto, il compito maggiore spetta alla scuola, che deve sensibilizzare i giovani all’importanza e alla bellezza del patrimonio linguistico nazionale, perché – come sottolineava di recente Nicoletta Maraschio, presidente dell’Accademia della Crusca – quel che manca è la consapevolezza linguistica. Ma sono anche convinto che nel nostro piccolo, qualcosa si può fare, cercando di convincere chi ci sta intorno che è necessaria una certa misura nell’adozione di prestiti integrali. Lei, per esempio, potrebbe mettere nel suo bloggo (;)) il rimando alla nostra lista.a.g. ha scritto:Come fare? Al momento è un mistero. Cerco aiuto

La invito anche a leggere le discussioni (credo ce ne siano due) intitolate Della necessità dell’adattamento.
Sia il benvenuto!

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
La Ringrazio, Marco1971. Andrò subito a leggere le discussioni che mi ha indicato. Ho seguito il suo consiglio, ho inserito nel mio bloggo
il rimando alla lista. Spero vada (andiate) a visitarlo, credo che i miei interventi siano decisamente in linea con le discussioni affrontate in questo spazio. Sono d'accordo con lei, si può fare davvero poco per impedire che la nostra lingua venga sempre di più imbarbarita, così come sono d'accordo con Nicoletta Maraschio circa la mancanza di consapevolezza linguistica. Sa, quello a cui penso sempre, quando tratto del problema-prestiti/calchi dell'italiano, è l'Académie française... non riesco davvero a credere che una lingua come la nostra non sia tutelata da leggi specifiche o, se non vogliamo parlare di leggi, da "consigli autorevoli riscontrabili nell'uso" a differenza di quanto avviene per il francese. La ringrazio nuovamente per la risposta, è stato davvero molto gentile!

Prego.
Ho già visitato il suo sito, e letto tutto. Sono io a ringraziarla, ho visto che ha messo il collegamento. 
Riguardo alla differenza tra Académie française e Real Academia Española da una parte – che davvero tutelano la lingua – e Accademia della Crusca dall’altra, non so che dire. Forse noi siamo troppo condizionati dalla nostra storia. Ma resta il fatto che, senza obbligare nessuno a adottarli, qualche dizionario potrebbe fornire delle raccomandazioni ufficiali (che dovrebbero emanare dalla Crusca): un dizionario francese dell’uso, diffusissimo (Le Petit Robert), le dà. Per esempio, alla fine dell’articolo software, c’è scritto: «Recomm. offic. logiciel*».
Perché non lo fanno i nostri lessicografi? Perché non c’è un organo ufficiale italiano preposto alla coniazione di neologismi; e forse perché, in fondo in fondo, i lessicografi sono del parere che non si debba modificare in modo alcuno il corso «naturale» della lingua, per qualche oscura ragione. Lasciamo morire i malati, allora, lasciamo al morbo il proprio corso indisturbato... Strana filosofia!
Se è interessato, il sito in cui sono pubblicati i termini ufficiali francesi è questo.


Riguardo alla differenza tra Académie française e Real Academia Española da una parte – che davvero tutelano la lingua – e Accademia della Crusca dall’altra, non so che dire. Forse noi siamo troppo condizionati dalla nostra storia. Ma resta il fatto che, senza obbligare nessuno a adottarli, qualche dizionario potrebbe fornire delle raccomandazioni ufficiali (che dovrebbero emanare dalla Crusca): un dizionario francese dell’uso, diffusissimo (Le Petit Robert), le dà. Per esempio, alla fine dell’articolo software, c’è scritto: «Recomm. offic. logiciel*».
Perché non lo fanno i nostri lessicografi? Perché non c’è un organo ufficiale italiano preposto alla coniazione di neologismi; e forse perché, in fondo in fondo, i lessicografi sono del parere che non si debba modificare in modo alcuno il corso «naturale» della lingua, per qualche oscura ragione. Lasciamo morire i malati, allora, lasciamo al morbo il proprio corso indisturbato... Strana filosofia!
Se è interessato, il sito in cui sono pubblicati i termini ufficiali francesi è questo.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ma certo, siamo troppo condizionati dalla nostra storia, è questa la causa reale del completo disinteresse da parte dei parlanti e da parte di chi dovrebbe vigilare sulla nostra lingua. Eppure, come avrà letto, se si riuscisse a consigliare un uso intelligente della lingua forse riusciremmo a colmare quel divario esistente tra le varie zone del nostro paese. La lingua rispecchia le idee... e noi, ahimè, parliamo tanti italiani diversi. Grazie ancora della risposta e del collegamento alla lista dei termini francesi. A presto
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