Riapro questo filone (e rompo il giuramento) perché questa “regola” dovrebbe essere... infallibile.
Una regola empirica ci può aiutare. Non prendono la “i” i vocaboli il cui primo componente è una parola vera e propria: BENEficenza, ONORIficenza; hanno la “i”, invece, le parole il cui primo componente è un semplice prefisso: SUFFIcienza, EFFIcienza; DEFIcienza. Seguono la medesima regola i derivati: BENEficente, DEFIciente, ecc.
E a proposito di beneficenza, mi sono venuti alla mente i due verbi composti con “bene”: beneficare e beneficiare. Non si confondano. Il primo significa “dare un beneficio” (Giovanni benefica Pietro); il secondo “ricevere un beneficio” (Giovanni beneficia del lavoro di Pietro).
"Cente" e "ciente"
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Mi scusi, caro Fausto, ma con che criterio determina qual è il «primo elemento»?Fausto Raso ha scritto: Una regola empirica ci può aiutare. Non prendono la “i” i vocaboli il cui primo componente è una parola vera e propria: BENEficenza, ONORIficenza; hanno la “i”, invece, le parole il cui primo componente è un semplice prefisso: SUFFIcienza, EFFIcienza; DEFIcienza. Seguono la medesima regola i derivati: BENEficente, DEFIciente, ecc.
Mi spiego: [lo so che stiamo parlando di regole «empiriche» ma] perché in in beneficenza il primo elemento dovrebbe essere ciò che precede -ficenza, mentre in sufficienza dovrebbe essere quello che precede il semplice -cienza??
Se vogliamo che la regola resti empirica, dobbiamo considerare sempre e soltanto ciò che precede -c(i)enza, e *benefi, *onorifi non sono «parole vere e proprie».
Mi sa che, com’è stato detto e stradetto, l’unico criterio rimane quello etimologico (che, ahinoi, non è «empirico»)…

P.S. E se mi ribatte che il primo elemento dev’essere ciò che precede l’intero -fic(i)enza/-fic(i)ente, la prevengo súbito con proficiente (pro = «giovamento, vantaggio») —colpo un po’ basso, lo so.

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La sua osservazione, cortese Infarinato, è giustissima. Si tratta di una regola empirica, per l'appunto, però può essere di aiuto.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
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