Decimo ha scritto:Per <g> iniziale tutti esempi di origine latina...
Appunto! Ché —eccezion fatta per gli esiti di [j] e [dj] iniziali [tardo]latini—
sono la maggioranza, e hanno quindi fornito l’
ovvio grafema per trascrivere il [dZ] iniziale (e posconsonantico,
e.g. in
ergere, che fra l’altro trova un
comodo riscontro [
grafico] nelle forme con [g], creando
serie [
graficamente]
omogenee quale
ergo,
ergi, etc.), cioè <g(i)>.
Decimo ha scritto:…ma perché non dovremmo aspettarci lo stesso per una parola come gioia?
Perché, come Lei senz’altro non ignora, deriva dal[l’antico] francese
joie con [dZ-] (non ancora passato a [Z-]), il quale, per quanto appena detto (cioè, per l’esempio grafico delle voci con chiaro corrispondente latino) verrà trascritto con <gi> (…che è la stessa ragione per la quale vengono trascritti con <g(i)> anche gli esiti [tutti italiani] di [j-] e [dj-]).
Decimo ha scritto:Infarinato ha scritto:…è altrettanto ovvio che lo scrivente non senta la necessità d’usare una grafia diversa per rappresentarlo (…e per la stessa ragione usa [anche] <g> per rappresentare lo [Z] intervocalico dei latinismi)
Non mi pare poi cosí ovvio, essendoci un preciso e noto [e forse non unico] precedente: <sc>.
Caro Decimo, non pretendo di convincerla: le posso solo dire che i linguisti storici sembrano concordi su questo punto. Per dirla col Castellani (sostituisco per comodità la grafia fonetica diacritica col
SAMPA),
[l]a sibilante palatale sonora, nei testi volgari del Dugento, è resa in modo vario: con si, con sc(i), con sg(i), con g(i). La notazione sg(i) è certo piú logica di sc(i) (che però ha riscontri latini, sia pure con altro valore), ma non di g(i), dato che [Z], probabilmente fin da tempi molto antichi, non è piú un fonotipo-fonema, ma un fonotipo scaduto a variante di posizione del fonema [dZ] (cfr. i miei Nuovi testi fiorentini, Firenze 1952, pp. 31–33)
(A. Castellani, «Lingua parlata e lingua scritta nella Toscana medievale» [relazione presentata al XIV Congresso internazionale di linguistica e filologia romanza, Napoli, 15–20 aprile 1974], in: —,
Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (
1946–1976), vol. I, Roma, «Salerno Editrice», 1980, pp. 39–40, sott. mie).
Concludo con un’osservazione, che può forse essere d’aiuto (anche in rapporto alla resa grafica dei prestiti [antichi] comincianti per [dZ] [come appunto
joie] o degli esiti di [j-] e [dj-] tardolatini di cui sopra): in fiorentino/toscano [antico e moderno]
il tassofono non marcato del fonema /dZ/ è, appunto,
[dZ], e questo perché, sebbene, considerando anche la situazione all’interno di frase (e non solo di parola), la posizione intervocalica sia senz’altro assai ricorrente, [dZ] ricorre, oltre che in posizione posconsonantica, anche in posizione iniziale, cioè
pospausale. Questo è un fatto fondamentale, ché, quando un locutore toscano [che non sia anche un linguista

] s’interroga sulla pronuncia d’un
g dolce iniziale, pensa alla parola in isolamento, e la pronuncia è necessariamente con [dZ]. Anzi, può addirittura non accorgersi dell’esistenza del tassofono [Z]… ma qui rivengo a un
discorso già fatto, e faccio punto.