Diffidare "di" o "da"?
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Diffidare "di" o "da"?
Diffidare significa non fidarsi, dubitare, sospettare e si costruisce con la preposizione "di": diffidate delle imitazioni (non 'dalle', come quasi sempre si sente o si legge). Adoperato transitivamente sta per intimare di fare o no una cosa e si fa seguire dalla preposizione "a", non "da": il bandito fu diffidato (gli fu intimato di) a presentarsi in caserma; lo studente fu diffidato a non fumare. Non dal fumare. Sono in errore?
Per il primo significato s’usa sempre la preposizione ‘di’, certo; per il secondo, invece, i dizionari danno la reggenza con ‘dal’: Ho diffidato il segretario dal prendere iniziative. Il Gabrielli invece indica ‘a’, confortato dall’esempio di Pratolini citato dal Battaglia:
L’esempio piú antico è di Baldini, che usa ‘di’:E adesso che il circolo l’aveva diffidata a frequentare le sale, come un punto d’onore, elle si era iscritta al Fascio.
In questo significato, dunque, visto che i dizionari piú attendibili riportano il costrutto diffidare qualcuno dal fare qualcosa, direi che oggi è corretta la preposizione ‘da’ articolata, accanto al costrutto tradizionale (dato anche dal Tommaseo-Bellini) diffidare qualcuno a fare qualcosa.La stessa forza... che diffidava i combattenti di farsi vedere a braccetto delle belle ragazze, che proibiva di sedersi al caffè dalle due alle sei.
Abbiamo già parlato di diffidare anche nel forum della Crusca.
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Federico ha scritto:Abbiamo già parlato di diffidare anche nel forum della Crusca.

Oh, ho scritto l'indirizzo del filone precedente: questo l'indirizzo corretto.Infarinato ha scritto:Federico ha scritto:Abbiamo già parlato di diffidare anche nel forum della Crusca.
Ecco quel che risponde Bice Mortara Garavelli. Mi sfugge forse qualcosa, ma non vedo dove sia esplicitata la risposta sulla scelta della preposizione (e ho l’impressione che l’autore del quesito debba essere rimasto a bocca semiasciutta
).
I dizionari dell’uso, in questo significato di diffidare, danno solo la preposizione da (ho controllato in tutti quelli che possiedo), tranne il Gabrielli bivolume – e quello in rete –, che indica solo a. La soluzione è chiaramente esposta nel Dir (Dizionario italiano ragionato, Firenze, G. D’Anna, 1988):
diffidare [...] Come tr. In giur. Privare della fiducia, e perciò Obbligare con un’ordinanza a compiere un’azione o ad astenersi dal compierla (nel primo caso con la prep. a, nel secondo con la prep. da): Lo diffidarono a mettersi in regola entro una settimana. L’hanno diffidato dal tornare nella nostra città.
Stranamente il Treccani menziona il doppio costrutto ma senza distinzione semantica:
2. tr. Invitare qualcuno ad astenersi da un determinato comportamento o a compiere una determinata attività, sia oralmente, sia, in senso proprio, mediante esplicita diffida scritta: vi diffidiamo dal mettere (oppure, con altra costruzione, a non mettere) in vendita i vostri prodotti in confezioni uguali alle nostre. Infliggere una diffida di polizia: era stato diffidato perché vagabondo abituale.
Sembrerebbe logico e raccomandabile seguire la distinzione del Dir, ma se nessuno la rispetta...


diffidare [...] Come tr. In giur. Privare della fiducia, e perciò Obbligare con un’ordinanza a compiere un’azione o ad astenersi dal compierla (nel primo caso con la prep. a, nel secondo con la prep. da): Lo diffidarono a mettersi in regola entro una settimana. L’hanno diffidato dal tornare nella nostra città.
Stranamente il Treccani menziona il doppio costrutto ma senza distinzione semantica:
2. tr. Invitare qualcuno ad astenersi da un determinato comportamento o a compiere una determinata attività, sia oralmente, sia, in senso proprio, mediante esplicita diffida scritta: vi diffidiamo dal mettere (oppure, con altra costruzione, a non mettere) in vendita i vostri prodotti in confezioni uguali alle nostre. Infliggere una diffida di polizia: era stato diffidato perché vagabondo abituale.
Sembrerebbe logico e raccomandabile seguire la distinzione del Dir, ma se nessuno la rispetta...

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Perché hanno riportato la domanda tronca. La domanda completa era «Francesco Mosca è disorientato dall’uso specialistico del verbo diffidare e chiede se si debba intendere come ‘intimare a non fare’ o ‘intimare a fare’ in espressioni del tipo "La diffido ad adempiere alle obbligazioni contratte".»Marco1971 ha scritto:Ecco quel che risponde Bice Mortara Garavelli. Mi sfugge forse qualcosa, ma non vedo dove sia esplicitata la risposta sulla scelta della preposizione (e ho l’impressione che l’autore del quesito debba essere rimasto a bocca semiasciutta).
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Ah, ecco, ora è tutto chiaro. Grazie, Roberto, di questa precisazione. In effetti, il titolo sul sito della Crusca è forviante, mi sarei aspettato quel che dice il Dir (riportato sopra).
P.S. Ma «ad adempiere» non mi garba punto.
P.S. Ma «ad adempiere» non mi garba punto.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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[FT] Infinito sostantivato
In realtà, ripensandoci (e come non mancherà —spero— di correggermi [e illuminarci] Ladim), la cosa è meno scontata di quel che sembra: cfr., e.g., Serianni, §§XI.406–411.Infarinato ha scritto:… diffidare da regge un complemento [costituito da infinito sostantivato, e quindi debitamente articolato].
Re: [FT] Infinito sostantivato
Questione non proprio agevole.
L’infinito può presentare una pari distribuzione del nome, e se parliamo di distribuzione stiamo ragionando per sintassi [nella sua accezione più formale] – in ho bisogno di mangiare l’infinito è nominalizzato, e sintatticamente, distributivamente va di comune accordo con un qualsiasi altro nome. E tuttavia è in questione un processo verbale, e il ‘processo’ è altra cosa rispetto alla semplice [chiamiamola così] ‘designazione’ [o all’entificazione].
Un’altra distinzione coinvolge la modalità verbale. I modi finiti predicano qualcosa di un soggetto; l’infinito non predica nulla di niente e indica soltanto un’azione, attivando un certo valore autoreferenziale. In quest’ultimo caso (ragionando per assoluto), il verbo nominalizza [non un ente ma] un processo. A questo si oppone la coreferenza del soggetto della subordinazione implicita (in cui è comunque attivo il valore predicativo del verbo).
Quali di questi argomenti?
Per le due preposizioni, una per la finalità (a), l’altra per l’allontanamento (da): ciascuna attiva la semantica opportuna. Per la nominalizzazione dell’infinito: a me pare che cada a proposito nel secondo caso, e che anzi si possa individuare una reggenza tipica – l’articolo determinativo [di là dalle sue implicazioni nominalizzanti] appartiene al semema argomentante del verbo: è un comportamento che ritroviamo, ad esempio, anche in guardarsi (guardarsi dall’oziare). L’infinito, di fatti, non predica alcunché, ma indica un processo autoreferenziale, isolato e determinato, senza coreferenza soggettuale immediata etc.
ho bisogno di mangiare [coreferenza soggettuale: +predicazione, -nominalizzazione=«ho bisogno che io mangi»]/ ho bisogno del mangiare [autoreferenzialità: -predicazione, +nominalizzazione=«ho bisogno di una pagnotta»]
ti diffido dal mettere / *ti diffido da mettere
guardarsi dall’oziare / *guardarsi da oziare
Poi i discorsi si fanno ancora meno scontati… Eppure in a mettere vi scorgo una certa coreferenza, un processo ad ogni modo predicativo etc.
[Non ho con me il Serianni. Né altro]
L’infinito può presentare una pari distribuzione del nome, e se parliamo di distribuzione stiamo ragionando per sintassi [nella sua accezione più formale] – in ho bisogno di mangiare l’infinito è nominalizzato, e sintatticamente, distributivamente va di comune accordo con un qualsiasi altro nome. E tuttavia è in questione un processo verbale, e il ‘processo’ è altra cosa rispetto alla semplice [chiamiamola così] ‘designazione’ [o all’entificazione].
Un’altra distinzione coinvolge la modalità verbale. I modi finiti predicano qualcosa di un soggetto; l’infinito non predica nulla di niente e indica soltanto un’azione, attivando un certo valore autoreferenziale. In quest’ultimo caso (ragionando per assoluto), il verbo nominalizza [non un ente ma] un processo. A questo si oppone la coreferenza del soggetto della subordinazione implicita (in cui è comunque attivo il valore predicativo del verbo).
Quali di questi argomenti?
Per le due preposizioni, una per la finalità (a), l’altra per l’allontanamento (da): ciascuna attiva la semantica opportuna. Per la nominalizzazione dell’infinito: a me pare che cada a proposito nel secondo caso, e che anzi si possa individuare una reggenza tipica – l’articolo determinativo [di là dalle sue implicazioni nominalizzanti] appartiene al semema argomentante del verbo: è un comportamento che ritroviamo, ad esempio, anche in guardarsi (guardarsi dall’oziare). L’infinito, di fatti, non predica alcunché, ma indica un processo autoreferenziale, isolato e determinato, senza coreferenza soggettuale immediata etc.
ho bisogno di mangiare [coreferenza soggettuale: +predicazione, -nominalizzazione=«ho bisogno che io mangi»]/ ho bisogno del mangiare [autoreferenzialità: -predicazione, +nominalizzazione=«ho bisogno di una pagnotta»]
ti diffido dal mettere / *ti diffido da mettere
guardarsi dall’oziare / *guardarsi da oziare
Poi i discorsi si fanno ancora meno scontati… Eppure in a mettere vi scorgo una certa coreferenza, un processo ad ogni modo predicativo etc.
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Re: [FT] Infinito sostantivato
Grazie, caro Ladim: gentilissimo e puntualissimo come sempre.
Chiedo venia: purtroppo, i paragrafi in questione sono troppo lunghi per riportali per intero. In sostanza, si discute la natura «ancipite» dell’infinito e di come non sia sempre agevole determinarne il carattere sostantivale…Ladim ha scritto:[Non ho con me il Serianni. Né altro]
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