L'accentazione della I e della U
Moderatore: Cruscanti
L'accentazione della I e della U
Salve a tutti, volevo avere qualche consiglio riguardo l'accentazione della I e della U. Ho infatti scoperto che queste due lettere essendo chiuse di natura dovrebbero portare solo l'accento acuto (cosí, piú etc...) Quale accento mi consigliate d'usare?
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Re: L'accentazione della I e della U
Quello che le pare: basta essere coerenti (e farlo con cognizione di causa
).

Re: L'accentazione della I e della U
Non pensavo ci fosse tutta questa libertà di scelta.
Da oggi per questo tipo di accentazione seguirò il Carducci fautore dell'acuto sulla I e sulla U. La ringrazio comunque per il collegamento che mi ha postato.

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Se non ricordo male, anche Luciano Canepàri consiglia l'accento acuto sulle vocali "i" e "u"; queste hanno, infatti, un unico "suono".
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Riporto quello che ha scritto Luciano Canepàri (MaPI, pp. 15-16):
[...] Quindi, l'accento acuto «ˊ» indica vocale (piú) chiusa, quello grave «ˋ» vocale (piú) aperta; e l'uso piú raffinato aderisce alla realtà fonetica, preferendo í, ú, é, ó (chiuse), è, ò, à (aperte), sebbene sia piú frequente trovare é, ó, ì, ù, è, ò, à, soprattutto a causa delle limitazioni delle tastiere tradizionali. Oggi, á è antiquato, oltre che non fonetico. D'altra parte, ĭ, ĕ, ă, ŏ, ŭ, diffusi dalla scuola, sono semplicemente assurdi e antifonemici.
[...] Quindi, l'accento acuto «ˊ» indica vocale (piú) chiusa, quello grave «ˋ» vocale (piú) aperta; e l'uso piú raffinato aderisce alla realtà fonetica, preferendo í, ú, é, ó (chiuse), è, ò, à (aperte), sebbene sia piú frequente trovare é, ó, ì, ù, è, ò, à, soprattutto a causa delle limitazioni delle tastiere tradizionali. Oggi, á è antiquato, oltre che non fonetico. D'altra parte, ĭ, ĕ, ă, ŏ, ŭ, diffusi dalla scuola, sono semplicemente assurdi e antifonemici.
Ultima modifica di Luca86 in data dom, 18 lug 2010 22:37, modificato 3 volte in totale.
È tutto nel saggio del nostro Infarinato (appena collegato), sicché non è punto necessario, né educato, citarne i contenuti ignorandolo.
Invito pertanto a leggere con piú attenzione le risposte degli utenti già intervenuti, prima di rispondere e ripetere le medesime cose.
P.S. Mi stupisce che Fausto non abbia piuttosto riportato la posizione di qualche purista a lui caro, come —non so— Gabrielli o Satta. (Almeno si sarebbe detto qualcosa di «nuovo».)
Invito pertanto a leggere con piú attenzione le risposte degli utenti già intervenuti, prima di rispondere e ripetere le medesime cose.
P.S. Mi stupisce che Fausto non abbia piuttosto riportato la posizione di qualche purista a lui caro, come —non so— Gabrielli o Satta. (Almeno si sarebbe detto qualcosa di «nuovo».)
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
Ammetto di essere stato precipitoso nel rispondere senza leggere il documento segnalato da Infarinato, ma l'ho fatto in buona fede. Non mi pare affatto di essere stato «ineducato», perché ho solo risposto a Fausto Raso riportando un passo del MaPI.Decimo ha scritto:È tutto nel saggio del nostro Infarinato (appena collegato), sicché non è punto necessario —né educato— riportarne i contenuti e le citazioni ignorandolo.
Invito pertanto a leggere con piú attenzione le risposte degli utenti già intervenuti, prima di rispondere e ripetere le medesime cose.
Mi scuso se sono sembrato scortese e prego Infarinato di eliminare il mio intervento, qualora lo ritenesse opportuno.
Le chiedo scusa, caro Luca; ammetto di essere stato un po’ troppo «imperioso»: spero possiamo chiuderla qui.
Cambio discorso, e mi riallineo al tema del filone: cercando in rete la norma UNI 6015:1967, poiché intendevo leggerla per intero, mi sono qui imbattuto in un’interessante novità: la norma è stata ritirata per essere sostituita con la norma UNI 6015:2009. Purtroppo non so dove sbattere la testa per trovarle e confrontarle, ché pare costino.
Cambio discorso, e mi riallineo al tema del filone: cercando in rete la norma UNI 6015:1967, poiché intendevo leggerla per intero, mi sono qui imbattuto in un’interessante novità: la norma è stata ritirata per essere sostituita con la norma UNI 6015:2009. Purtroppo non so dove sbattere la testa per trovarle e confrontarle, ché pare costino.

V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
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Nella sostanza, la norma del 2009 è identica a quella del ’67 (compreso l’invero sagace refuso *té al §4.2). Semplicemente, «[r]ispetto all’edizione precedente la norma è stata allineata ai criteri attuali di stesura e presentazione».Decimo ha scritto:…cercando in rete la norma UNI 6015:1967, poiché intendevo leggerla per intero, mi sono qui imbattuto in un’interessante novità: la norma è stata ritirata per essere sostituita con la norma UNI 6015:2009. Purtroppo non so dove sbattere la testa per trovarle e confrontarle, ché pare costino.
Insomma, UNIndecenza (© Luciano Canepari).

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Rettifico: hanno corretto il refuso té del §3.1, ma ne hanno introdotto un altro scrivendo té per sé nell’ultima lista di parole al §4.2!Infarinato ha scritto:Nella sostanza, la norma del 2009 è identica a quella del ’67 (compreso l’invero sagace refuso *té al §4.2).

Di piú: nella loro «furia rinnovatrice ed epesegetica» hanno finito col compromettere la coerenza formale della norma del ’67, le cui raccomandazioni potevano anche essere [parzialmente] opinabili, ma erano perlomeno esposte in maniera chiara e non contraddittoria.
Il capolavoro si compie nel «nuovo §2.2», ora sdoppiato in 2.2 e 2.3. Il 2.2 originario era conciso, ma ineccepibile. Inoltre, non era in contraddizione col 4.1 (identico al nuovo 4.1). La nuova edizione invece recita:
Il secondo esempio è forviante ché é [come «parola ortografica»] non esiste [in italiano]: meglio indicare i soli diacritici come nella prima edizione, oppure cambiare esempio (e.g., né). Ma la perla è costituita dall’essere 2.2 e 2.3 in palese contraddizione col 4.1, ché i e u non sono vocali dal «suono aperto»!2.2 Segnaccento grave
Segno che indica un suono aperto.
Nota Per esempio, è.
2.3 Segnaccento acuto
Segno che indica un suono chiuso.
Nota Per esempio, é.
UNIndecenza al quadrato.

Se il campione di esempi è rimasto invariato dalla versione del ’67 a quella riveduta del 2009, c’è da chiedersi perché mai, al §4.2, canapè, gilè, lacchè e tè non siano catalogati tra i francesismi adattati.Infarinato ha scritto:Rettifico: hanno corretto il refuso té del §3.1…
Inoltre, credo sia forviante citare tra i derivati di fé il sostantivo autodafé, essendo quest’ultimo propriamente un forestierismo —un lusitanismo, per esser precisi. (È però vero che andrebbero comprese le ragioni della scelta di un criterio empirico, sennonché la suddetta norma ha un costo non indifferente, pertanto una maggiore completezza non le avrebbe certo nociuto.)
P.S. Non riuscivano proprio a trovare esempi migliori di chiù e coccodè?

V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
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