È difficile non essere seri contemplando l’evoluzione degli ultimi tre decenni. Ed è altrettanto difficile non considerare la possibilità, certo estrema, della perdita delle desinenze verbali. Penso tuttavia che non sia da scartare come impossibile (si veda la storia della lingua inglese), soprattutto considerando il declino viepiú rapido della cultura e del livello d’istruzione di chi l’impartisce.Freelancer ha scritto:Via, siamo seri...
Una domanda su "outsourcing"
Moderatore: Cruscanti
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
In un confronto pacato come quello che si profilava, caro Roberto, v’è di solito un rapporto di fiducia fra gl’interlocutori: io, per me, non mi sarei mai sognato di confutarla con osservazioni speciose o domande di cattivo gusto retorico. Le risponderò soltanto perché non sono solito lasciarmi scoraggiare né irritare dall’uso di stratagemmi eristici.
Ora, vorrà forse chiedermi se ho registrato le conversazioni e i commenti di tutti gli studenti?
Coloro che ho delegati al rilevamento del dato ne hanno, sí, seguito i corsi universitari e, sí, hanno sentito dire immancabilmente, per tutto il corso, calcolatore. Per scrupolo, ho fatto un giro di telefonate ed ecco qui nome, cognome e corso di questi professori:Freelancer ha scritto:Lei segue i corsi universitari di questi professori e gli ha sentito dire immancabilmente calcolatore?
- Politecnico di Milano:
- Lorenzo Mezzalira, Fondamenti di Informatica
- Donatella Sciuto, Fondamenti di Informatica
- Mariagiovanna Sami, Architettura dei calcolatori
- Cristiana Bolchini, Architettura dei calcolatori e sistemi operativi
- Politecnico di Torino:
- Antonio Lioy, Fondamenti di Informatica
- Fulvio Corno, Fondamenti di Informatica
- Università di Catania (facoltà di Medicina):
- Salvatore Baglío, Sistemi elettrici e applicazioni
- Università di Pisa (facoltà di Ingegneria aerospaziale):
- Luigi Polito, Aerodinamica
- Daniele Fanteria, Metodi di progetto di strutture aeronautiche
Non ho capito dove vuol arrivare con codesta domanda. Il dato che ho riportato è un altro: i suddetti professori hanno impiegato in modo esclusivo calcolatore nei loro corsi, davanti a centinaia di studenti, e —lo ripeto— senza suscitare ilarità. Che poi in privato lo chiamino cocomero o cassetto non c’importa. (Né che lo chiamino computer, caro Roberto: siamo tutti ben consapevoli della diffusione irriversibile dell’anglicismo.)Freelancer ha scritto:Ha registrato le loro conversazioni private quando parlano del loro PC e gli ha sentito sempre dire calcolatore?
Ora, vorrà forse chiedermi se ho registrato le conversazioni e i commenti di tutti gli studenti?
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
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Grazie delle informazioni. Non era mia intenzione offenderla. Lei dovrebbe pubblicare questi risultati. Comunque non ho mai detto che se uno dicesse calcolatore susciterebbe ilarità. Semplicemente, che comunemente si dice computer. Se poi c'è chi vuole dire calcolatore, benissimo. Io sono a favore dell'uso di termini alternativi quando non esista possibilità di confusione. Qualsiasi discussione su calcolatore e computer in ogni caso la ritengo accademica. Purtroppo ogni tanto se ne riparla, mi sembra che in questo filone sia stato Marco a ricominciare, giusto? Invece su outsourcing si potrebbero dire varie altre cose, magari domani.
Ricominciare? Ho solo risposto a Giorgio1988 su *scrivere a computer: questo lo spunto. È doveroso ricordare che anche Franceso Sabatini ha denunciato il problema: si dice /kom'pjuter/ ma da come è scritto si leggerebbe /kom'puter/, e allora o si dice /kom'puter/ o si scrive compiuter. Entrambe le soluzioni mi paiono stravaganti. E questo termine è, semplicemente, inutile. Punto. 

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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E «che ce ne frega» della pronuncia? Sappiamo che in Italia si pronuncia come si vuole sia la lingua nazionale (il che è normale) sia le lingue straniere (il che è un po’ meno normale). Ma francamente, che si dica /'bazi/ al posto di /'bizi/ è alquanto irrilevante.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Sí, sí, mi fa piacere che tutti pronuncino nello stesso modo una parola straniera. Anche se tornerei a windsurf (che è lo stesso caso) e farei le stesse considerazioni del Castellani al riguardo, cioè la varietà di realizzazioni, l’incertezza, in qualche modo voluta, auspicata...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
E mi fa piacere anche (detto senza ironia) che si pronuncino parole italiane in modo diverso da quello stàndaro.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Non ne dubito. La mia nipote di diciotto anni, che passa molto tempo sulle reti sociali e simili, mi domandò una volta: Tio, você me add? (Zio, tu mi add?), il che mi stupì. Forse, non lo so, questo add è pronunciato dalla gioventù brasiliana come edi, con la e aperta, coniugazione che corrisponderebbe alla terza persona singolare dei verbi uscenti in er e ir, come si esistesse un verbo eder ou edir. O allora non l'ha coniugato? Se lei usa questa parola, almeno quando scrive, non so se la userebbe nel parlato, non sarà sicuramente l'unica.Per il verbo sí, senz’altro, perché non sarebbe possibile dire outsource (la morfologia verbale sarà l’ultima a cadere, ma ci arriveremo: io outsource, tu outsource, egli outsource, noi outsource, voi outsource, essi outsource).
- u merlu rucà
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