Una domanda su "outsourcing"

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Dario90
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Una domanda su "outsourcing"

Intervento di Dario90 »

Sulla lista ho notato che sulla lista di traducenti manca la parola 'delocalizzazione' per 'outsourcing.' Perché? Io ho visto questa parola parecchie volte in rete. Sono semplicemente curioso.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Il GRADIT rimanda(va) da outsourcing a deverticalizzazione nella versione cartacea; in quella elettronica, invece, deverticalizzazione è solo dato come sinonimo.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Infarinato
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Re: Una domanda su "outsourcing"

Intervento di Infarinato »

Dario90 ha scritto:Sulla lista ho notato che sulla lista di traducenti manca la parola 'delocalizzazione' per 'outsourcing.' Perché?
Perché a rigore outsource significa «subappaltare il lavoro ad altri», e quindi outsourcing è esternalizzazione (o anche deverticalizzazione, ma mi sembra un traducente meno trasparente), non delocalizzazione. ;)

Delocalizzare può essere un modo di esternalizzare, ma concettualmente sono due cose distinte.
Brazilian dude
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Intervento di Brazilian dude »

In portoghese diciamo terceirização e in spagnolo tercerización, evidentemente da terceiro/tercero, terzo.
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Decimo
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Intervento di Decimo »

Per i curiosi: dell’innecessario terzizzazione una manciata di occorrenze in Rete c’è, perlopiú in traduzioni dal portoghese.
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
Brazilian dude
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Intervento di Brazilian dude »

Ma sarebbe più probabile che un lusofono non molto competente lo traducesse come terziarizzazione invece della forma che lei indica.
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

Decimo ha scritto:Per i curiosi: dell’innecessario terzizzazione una manciata di occorrenze in Rete c’è, perlopiú in traduzioni dal portoghese.
Brazilian dude ha scritto:Ma sarebbe più probabile che un lusofono non molto competente lo traducesse come terziarizzazione invece della forma che lei indica.
In realtà, terziarizzare è registrato dal GRADIT anche nell’accezione che qui c’interessa (sott. mia):
terziarizzare /tertsjarid'dzare/ (ter-zia-riz-za-re) v.tr. [TS] econ. [1973; der. di terziario con -izzare] 1 convertire un’attività del settore primario o secondario in una del settore terziario 2 trasferire funzioni e servizi di un’azienda a una struttura esterna.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

E il problema è sempre quello: chi usa questi termini italiani? Il gusto dell’anglicismo riempicomevvuoi (per occultare la chiarezza del pensiero e sfoggiare pseudocultura) è la caratteristica dell’odierna Italia. :(
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Io ho l'impressione che l'italiano sia considerato "comico" e "buffo" rispetto all'inglese, percepito come "serio" e "professionale". Mi è accaduto più di una volta che, di fronte al mio invito a usare termini italiani per evitare il ridicolo dell'itanglese, il mio interlocutore storcesse il naso dicendo «Ma no, che brutto».

Dove starebbe la bruttezza? Allora è proprio come dice Marco: l'uso dell'inglese ha uno scopo esclusivo, serve a creare una lingua da "iniziati", rendendo poco perspicuo ai profani il significato di ciò che si sta dicendo. Ma questo è tutto il contrario dell'obiettivo di una lingua, che è facilitare la comunicazione.

Scusatemi lo sfogo e il fuori tema.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

La sua impressione, caro Ferdinand, è purtroppo una realtà verificabile in ogni luogo e momento.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Freelancer
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:E il problema è sempre quello: chi usa questi termini italiani?
Decine e decine di migliaia di persone ed enti, se dobbiamo credere ai risultati di Google...
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Credo, caro Roberto, che i risultati della ricerca appena condotta sui siti del Corriere della Sera (CS) e della Repubblica (R) siano eloquenti abbastanza:

deverticalizzazione: CS 5, R 0
esternalizzazione: C 148, R 150
terziarizzazione: CS 535, R 158
outsourcing: CS 1570, R 2640

Non trova?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Freelancer
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Intervento di Freelancer »

No. L'uso della lingua non si esaurisce in questi due quotidiani.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Certo che l’uso della lingua non si esaurisce in questi due quotidiani, ma sono considerati dai linguisti come quelli dalla lingua piú sorvegliata (rispetto ad altri). Se nell’uso controllato di questi due quotidiani vediamo la preponderanza del forestierismo sulle possibili altre soluzioni nostrali, c’è da scommettere che nell’uso meno scelto (si esclude il parlato, ché questi termini non si adopererebbero se non in conversazioni settoriali) il primeggiare dell’anglicismo sia ancora maggiore.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Avatara utente
Freelancer
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Iscritto in data: lun, 11 apr 2005 4:37

Intervento di Freelancer »

Direi il contrario. È noto che molti giornalisti amano gli anglicismi, mentre un utente che parla una lingua meno scelta userà più facilmente il termine italiano se ne ha l'occasione. Conosce la storiella sugli elefanti e i giornalisti raccontata da Bertrand Russel?
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