Sentito al TG1 cinque minuti fa: upúpa! Ma scherziamo? Si dice úpupa! Che preparazione sul primo canale nazionale…
Non tutti avranno letto Montale, ma chi conosce gli Ossi di seppia ricorderà questa poesia, che riporto integralmente per riprendermi dal colpo (e segnando gli accenti).
Úpupa, ílare uccello calunniato
dai poeti, che ròti la tua cresta
sopra l’aereo stóllo del pollaio
e come un finto gallo giri al vento;
nunzio primaverile, úpupa, come
per te il tempo s’arresta,
non muore piú il Febbraio,
come tutto di fuori si protende
al muover del tuo capo,
alígero folletto, e tu lo ignori.
Povero uccello…!
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Io, in un immaginario museo degli orrori, la collocherei di fianco a cúculo che non riesco proprio a digere (benché nel DiPI del buon Canepàri sia data come prima pronuncia).
Ultima modifica di Luca86 in data gio, 09 dic 2010 3:19, modificato 3 volte in totale.
Però cúculo è almeno menzionato nel DOP come «meno bene». Per úpupa non c’è traccia di variante. Comunque, sembra che la poesia non serva a ricordare gli accenti…
Una piccola nota, se permette, caro Luca: a fianco di ma accanto a.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi) «Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Sí, e non l’ho detto prima, ma a me viene in mente «Uh! Pupa! Vuoi giocare con me?»
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
È vero, caro Luca, ma l’esempio dato è con un pronome: cammina a fianco a me. Nella versione ridotta, cioè nel De Felice-Duro (nonché nel GRADIT), troviamo a fianco di: stare a fianco di una persona, abitare a fianco della stazione. Poi, piú sotto, si trova di fianco a (preposizioni invertite ): abitare di fianco alla chiesa.
Non ho fatto ricerche nella letteratura, ma mi sembra questo l’uso moderno normale: a fianco di o di fianco a.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Si può leggere qui un’interpretazione di questa lirica.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
u merlu rucà ha scritto:Basterebbe chiamarlo galletto di marzo…
…o bubbola o galletto marz(u)olo.
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
Aereo stollo del pollaio è una bella immagine per posatoio, trespolo. Lo stollo è il palo che regge i pagliai e il posatoio/trespolo, bastone che unisce due lati del pollaio, può ben essere, poeticamente, interpretato come un aereo stollo. Ne abbiamo conferma da questa traduzione francese:
Huppe, joyeux oiseaux calomnié
par les poètes, qui roule ta crête
sur l'aérien perchoir du poulailler
et, feignant d'être un coq, tournes au vent;
(...)
Un’appassionante analisi di questa poesia, che spiega anche la scelta di aereo e di molte altre parole, si trova qui (documento Word, dovrebbe essere il quarto risultato partendo dall’alto ; si veda a p. 21 e seguenti).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.