Forse potrebbe incuriosirla questo filone.zeneize ha scritto:Appena potrò mi documenterò a riguardo.
Ancora su calchi e adattamenti
Moderatore: Cruscanti
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Se lei forma un giudizio di correttezza sincronica sulla sola base della frequenza d’uso, disconoscendo tutti gli altri parametri da tener presenti, mal si spiega la sua presenza nel Sacerrimo Delubro dell’Idioma Gentil. Se non tiene alla buona lingua e non ha il desiderio di perfezionare la sua conoscenza dell’italiano, ripeto – e mi scusi –, appare strano che si sia iscritto a Cruscate. Le sarei grato se volesse quindi spiegarsi al riguardo. Grazie.zeneize ha scritto:Grazie della segnalazione. Ma nessuno pensa che quando un "errore" si trova con la stessa frequenza di una forma corretta (o comunque è un errore diffuso) sia il caso di accettarlo nel novero delle espressioni della lingua?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- Ferdinand Bardamu
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Caro Marco, proprio per questo motivo mi sono iscritto: per confrontare le mie idee con quelle di coloro che in qualche modo (si risparmi la sfilza di documenti, citazioni ed elucubrazioni sul termine, ché non sarei in grado di documentarmi appieno) possono definirsi i "puristi" della lingua italiana, se non, in qualche caso, i "toscanisti" convinti, che non hanno neppure tutti i torti, dal momento che il nostro nazionale idioma è pur figlio del fiorentino.Marco1971 ha scritto:Se non tiene alla buona lingua e non ha il desiderio di perfezionare la sua conoscenza dell’italiano, ripeto – e mi scusi –, appare strano che si sia iscritto a Cruscate. Le sarei grato se volesse quindi spiegarsi al riguardo. Grazie.
Sarà forse in disaccordo con me, caro Marco, se dicessi che per quel che mi riguarda l'italiano standard non esiste, dal momento che, pur volendo limare fino in fondo, ciascuno rimarrà influenzato dal sostrato "dialettale" nella sintassi, nella morfologia e massimamente nella fonetica della "lingua italiana" che adopera. Se invece vogliamo ridurre la favella del Bel Paese al solo modo toscano, ecco che parleremmo un dialetto come un altro, e ognuno potrebbe reclamare di voler parlare il suo, diritto sacrosanto a livello locale, follia a livello di intercomprensione tra connazionali.
Mi scuso se ancora una volta vi tormento con le mie ovvietà, ma purtroppo non tutti sono frequentatori di lunga data come voi. Mi piace approfondire l'argomento e valutare le diverse correnti di pensiero. Se invece mi sono introdotto in un circolo di dotti a numero chiuso, me ne dispiaccio e me ne tiro fuori, se lo desiderate. Di certo mi reputerò sempre libero di esprimere la mia opinone anche laddove siano tutti contrari, perché credo ancora nel dialogo civile.
Buona giornata
Ecco la conferma di quanto dicevo. Se comanda la fonosintassi toscana, come si spiega il fatto che la dizione ufficiale non contempli la gorgia e il "trascinamento"? Io che pronuncio l'italiano da genovese (cioè male, con tutte le influenze che mi provengono dal "dialetto" che pure adopero) e che conosco tuttavia la corretta dizione, pronuncerei correttamente /ga'ra:dZe/ (e pronuncio invece nella realtà /ga'ra:Z/)... Concorderete che a questo punto si farebbe prima a "italianizzare" in "garaggio".Carnby ha scritto:Qui in Toscana lo facciamo tutti; bisogna notare che /dZ/ intervocalica passa a [Z] e quindi la differenza col francese è minima: [ga'ra:Ze, ga'ra:Zi].
Se mi permette, poi, declinare perfino il plurale "garagi" è, torno a dire, ridicolo. Mi chiedo dunque perché non si scriva "compiutero", "bisnesso", "manicure" pronunciandoli secondo le regole (tosco-)italiane.
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- Ferdinand Bardamu
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Mi perdoni, caro zeneize, per questo intervento pro domo eorum, ma non credo che né l'intervento di Freelancer né quello di Marco fossero improntati a alterigia o snobbismo.
L'hanno semplicemente invitata a informarsi e a leggere gli apprezzati studi di esperti (senza virgolette), che hanno già trattato approfonditamente e egregiamente l'argomento dei forestierismi nell'italiano.
Non si vuole qui operare una velata censura delle opinioni, anzi: l'intento è quello di superare il gioco delle opinioni in libertà, molto simile al chiacchiericcio che contraddistingue molte altre piazze virtuali, per evitare le ovvietà e le ingenuità di chi crede di avere la soluzione a problemi già affrontati da luminari e, del resto, troppo complessi per essere risolti da un intervento in un fòro di lingua.
Insomma, lei è, naturalmente, libero di avere un suo parere e di esprimerlo (qui nessuno le ha negato questa facoltà); ma, altrettanto naturalmente, gli utenti di questo fòro sono liberi di criticare i suoi pareri e di fornirle consigli. Sta a lei, poi, decidere se seguirli oppure no.
L'hanno semplicemente invitata a informarsi e a leggere gli apprezzati studi di esperti (senza virgolette), che hanno già trattato approfonditamente e egregiamente l'argomento dei forestierismi nell'italiano.
Non si vuole qui operare una velata censura delle opinioni, anzi: l'intento è quello di superare il gioco delle opinioni in libertà, molto simile al chiacchiericcio che contraddistingue molte altre piazze virtuali, per evitare le ovvietà e le ingenuità di chi crede di avere la soluzione a problemi già affrontati da luminari e, del resto, troppo complessi per essere risolti da un intervento in un fòro di lingua.
Insomma, lei è, naturalmente, libero di avere un suo parere e di esprimerlo (qui nessuno le ha negato questa facoltà); ma, altrettanto naturalmente, gli utenti di questo fòro sono liberi di criticare i suoi pareri e di fornirle consigli. Sta a lei, poi, decidere se seguirli oppure no.
Forse sono io a travisare, ma finora mi sembra che lei non abbia confrontato le sue idee con quelle degli altri, ma le abbia continuamente confutate, e questo senza documentarsi prima e in tono talvolta un po’ troppo arrogante per i miei gusti (perdoni la schiettezza).zeneize ha scritto:Caro Marco, proprio per questo motivo mi sono iscritto: per confrontare le mie idee con quelle di coloro che in qualche modo [...] possono definirsi i "puristi" della lingua italiana...
E le grammatiche che lingua descrivono? Una lingua inesistente? L’italiano normale o stàndaro (standard sarebbe da evitare in quanto inutile e monco vocabolo) esiste almeno nello scritto delle persone di cultura medio-alta. Che poi ci sia un colore locale nella pronuncia è cosa normalissima, accade in tutte le lingue! Il codice normalizzato, però, è universalmente riconosciuto come l’italiano senz’aggettivi (espressione, se non erro, di Piero Fiorelli).zeneize ha scritto:Sarà forse in disaccordo con me, caro Marco, se dicessi che per quel che mi riguarda l'italiano standard non esiste, dal momento che, pur volendo limare fino in fondo, ciascuno rimarrà influenzato dal sostrato "dialettale" nella sintassi, nella morfologia e massimamente nella fonetica della "lingua italiana" che adopera.
Non siamo un circolo a numero chiuso e accogliamo tutte le persone che amano l’italiano, qualunque sia il loro livello e la loro preparazione. Ci aspettiamo però un ingresso un po’ meno fragoroso: c’è sempre il modo per esprimersi sfumando le proprie affermazioni, soprattutto se non sono sostenute da fonti autorevoli. Tutto qui.zeneize ha scritto:Se invece mi sono introdotto in un circolo di dotti a numero chiuso, me ne dispiaccio e me ne tiro fuori, se lo desiderate. Di certo mi reputerò sempre libero di esprimere la mia opinone anche laddove siano tutti contrari, perché credo ancora nel dialogo civile.
Il concetto di «ridicolo» è assai soggettivo, labile e epidermico. Per manicure vedrà nel GRADIT (Grande Dizionario Italiano dell’Uso) che la seconda pronuncia data è /mani'kure/; per gli altri due, il problema non si pone, poiché sono doppioni, parole superflue che vogliono scalzare (o hanno in parte scalzato) calcolatore/elaboratore e affari. L’adattamento di computer sarebbe computiere (cfr Arrigo Castellani, Morbus anglicus e il DOP).zeneize ha scritto:Se mi permette, poi, declinare perfino il plurale "garagi" è, torno a dire, ridicolo. Mi chiedo dunque perché non si scriva "compiutero", "bisnesso", "manicure" pronunciandoli secondo le regole (tosco-)italiane.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Manicure è un falso francesismo (la parola francese è manucure) e va pronunciato /mani'kure/ (come si può leggere sul DOP).zeneize ha scritto:"manicure"
C'è un altro adattamento di standard che ha avuto successo nella fotografia (come si può notare qui): standarta, da cui si potrebbe far derivare l'aggettivo standarto.Marco1971 ha scritto:stàndaro
Nel DiPI di Canepàri si legge:
manicure mani'kyr. -'kure.
P.S. Dato che siamo in argomento, ne approfitto per dire —chiaramente, a chi lo ignorasse
Ultima modifica di Luca86 in data sab, 18 giu 2011 17:18, modificato 1 volta in totale.
È vero, anche se in francese: 1) è attestata anche la variante manicure e 2) indica anche le cure (questo senso è documentato dal 1967; si veda manucure²). A me la parola evoca, per com’è formata, piú la cura delle mani che non la persona, e non a caso ne abbiamo derivato manicurista, inequivocabile.Luca86 ha scritto:[...] la locuzione farsi la (o il) manicure è usata impropriamente —a meno che non s'intenda qualcos'altro—, giacché manicure indica la «persona che per professione cura le mani e le unghie altrui» e non «l'insieme delle operazioni mediante le quali si curano le mani e le unghie» (Sabatini-Coletti 2008 in linea).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
La pronuncia corretta, in francese, è /many'kyr/.Carnby ha scritto:...non quale sia la pronuncia più corretta.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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