
«Redarre»
Moderatore: Cruscanti
«Redarre»
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- Ferdinand Bardamu
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In quest'articolo, mi stupisce la disapprovazione strisciante verso la proscrizione di forme chiaramente scorrette. Gli altri interventi di Vera Gheno che ho letto sul sito della Crusca mi sembravano meno viziati da vistoso preconcetto.
Comunque, mi pare che l'autrice cada in contraddizione: se l'unico criterio è l'uso – e non la coerenza nella formazione delle parole – allora avrebbe dovuto, se proprio non si può sconsigliare redarre, almeno consigliare redigere. Piú di due milioni di risultati contro sessantamila dovrebbero bastare.
Comunque, mi pare che l'autrice cada in contraddizione: se l'unico criterio è l'uso – e non la coerenza nella formazione delle parole – allora avrebbe dovuto, se proprio non si può sconsigliare redarre, almeno consigliare redigere. Piú di due milioni di risultati contro sessantamila dovrebbero bastare.
- u merlu rucà
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- Ferdinand Bardamu
- Moderatore
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Lei dice il vero, merlu, ma il ricorso all'analogia, a mio avviso, dovrebbe limitarsi alla coniazione di parole di cui si sente l'esigenza. Per esempio, perplimere – per quanto non congruente con la base etimologica dell'aggettivo perplesso (lat. perplectĕre) – è formato per analogia con esprimere/espresso e risponde al bisogno di avere un verbo per il sentimento della perplessità. Cito dall'articolo della Crusca cui rimando sopra:
Probabilmente per questa sua funzionalità nel coprire un vuoto morfologico e semantico (che l’italiano eredita dal latino), sulla scia della trasmissione la parola ebbe una notevole e crescente fortuna, seppure in contesti informali e per lo più in accezione ironica[.]
Non mi pare che altrettanto accada per redarre, la cui formazione e diffusione è probabilmente dovuta al solito misto di ignoranza e snobbismo. L'analogia non dovrebbe giustificare questo fenomeno, altrimenti ci potremmo divertire a inventare impunemente forme analogiche per la maggior parte dei verbi irregolari: ci potremmo inventare un perfetto *temmi per temere per analogia con tenni/tenere; oppure *esarre per esigere, per rimanere in un tipo di analogia simile a quella di cui parliamo, cioè attrarre/attratto.
Insomma, se l'eccesso di prescrittivismo soffoca lo sviluppo della lingua, l'eccesso di descrittivismo l'annacqua e la snatura.
Probabilmente per questa sua funzionalità nel coprire un vuoto morfologico e semantico (che l’italiano eredita dal latino), sulla scia della trasmissione la parola ebbe una notevole e crescente fortuna, seppure in contesti informali e per lo più in accezione ironica[.]
Non mi pare che altrettanto accada per redarre, la cui formazione e diffusione è probabilmente dovuta al solito misto di ignoranza e snobbismo. L'analogia non dovrebbe giustificare questo fenomeno, altrimenti ci potremmo divertire a inventare impunemente forme analogiche per la maggior parte dei verbi irregolari: ci potremmo inventare un perfetto *temmi per temere per analogia con tenni/tenere; oppure *esarre per esigere, per rimanere in un tipo di analogia simile a quella di cui parliamo, cioè attrarre/attratto.
Insomma, se l'eccesso di prescrittivismo soffoca lo sviluppo della lingua, l'eccesso di descrittivismo l'annacqua e la snatura.
- Freelancer
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- Iscritto in data: lun, 11 apr 2005 4:37
Mi sembra che Ferdinand abbia colto nel segno. Siccome i descrittivisti affermano a ogni piè sospinto che è l'uso quello che da sempre conta, si può senz'altro affermare che redarre è sbagliato. Che poi magari tra 100 anni il 99% delle persone considererà redigere sbagliato come ad esempio adesso considera avere che fare sbagliato, è un altro discorso, che va per l'appunto rimandato a cent'anni dopo.Ferdinand Bardamu ha scritto:Comunque, mi pare che l'autrice cada in contraddizione: se l'unico criterio è l'uso – e non la coerenza nella formazione delle parole – allora avrebbe dovuto, se proprio non si può sconsigliare redarre, almeno consigliare redigere. Piú di due milioni di risultati contro sessantamila dovrebbero bastare.
Ultima modifica di Freelancer in data ven, 23 set 2011 22:18, modificato 1 volta in totale.
- u merlu rucà
- Moderatore «Dialetti»
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- Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41
L'accostamento analogico non è una legge, un obbligo, nasce spontaneamente all'interno dei parlanti, può abortire, può espandersi. Come si vede dagli esempi letterari citati, redarre non è solo ristretto ad una limitata cerchia di burocrati, ma addirittura fa capolino in autori di notevole spessore. Per ora redigere ha la supremazia, ma chissà cosa ci riserverà il futuro. Redarre è comprensibile, non suona strano o esotico, rispetta la fonetica italiana, insomma ha le carte in regola per un avvenire luminoso.
E perché dovremmo assecondare assurdità? Vogliamo sostituire verbi già esistenti da secoli? Che si siano permessi di usarlo autori di una certa fama secondo me dimostra una mancanza di buon senso, di buon gusto e di rispetto della lingua. Il discorso dell’analogia vale per altre cose, non per forme spurie (e non basta che rispettino la fonotassi). Sono dunque totalmente d’accordo con Ferdinand e Roberto.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- u merlu rucà
- Moderatore «Dialetti»
- Interventi: 1340
- Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41
Caro Marco, nel corso dell'evoluzione dal latino all'italiano sono stati sostituiti non solo verbi, ma anche aggettivi, sostantivi, avverbi, preposizioni sulla base dell'analogia. Personalmente io uso redigere, volevo solo sottolineare che redarre ha tutte le caratteristiche per arrivare al successo.
L’evoluzione dal latino volgare all’italiano ebbe corso in un’epoca in cui la maggior parte della popolazione, cioè dei parlanti, non andava a scuola. Mi sembra che duemila anni e passa dopo, in cui s’è instaurata la scuola dell’obbligo, dovrebbe farci pensare che non siamo piú animali, ma parte di una storia e persone civili eredi di un patrimonio.
Se questo passaggio non è avvenuto, allora accettiamo tutto e smettiamo persino d’insegnare italiano nelle scuole.
Se questo passaggio non è avvenuto, allora accettiamo tutto e smettiamo persino d’insegnare italiano nelle scuole.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- u merlu rucà
- Moderatore «Dialetti»
- Interventi: 1340
- Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41
L'italiano è stato per secoli una lingua solo letteraria o per un limitato numero di parlanti appartenenti alle classi colte, eppure ha subito un'evoluzione. Non credo che un docente universitario, al giorno d'oggi, parlerebbe o scriverebbe come Dante o Boccaccio. Possiamo arginare un fiume, ma prima o poi può arrivare un'inondazione che travolge tutto.
L’inondazione è arrivata e sta travolgendo tutto. Non per questo non bisogna reagire e opporsi, per quanto possibile, a ogni tipo di selvatichezza.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
«Perplimere»
Perplimere ora è registrato dal Treccani.Ferdinand Bardamu ha scritto: ven, 23 set 2011 15:35 Lei dice il vero, merlu, ma il ricorso all'analogia, a mio avviso, dovrebbe limitarsi alla coniazione di parole di cui si sente l'esigenza. Per esempio, perplimere – per quanto non congruente con la base etimologica dell'aggettivo perplesso (lat. perplectĕre) – è formato per analogia con esprimere/espresso e risponde al bisogno di avere un verbo per il sentimento della perplessità.
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Re: «Perplimere»
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