
«Prendere l’aíre»
Moderatore: Cruscanti
«Prendere l’aíre»
Ieri sera parlavo per Skype con un amico di Pisa che s’era messo a discorrere ininterrottamente, e io gli ho detto, scherzosamente, T’ha’ preso l’aíre! Poi ci siamo chiesti se quest’espressione comunissima in Toscana, marcata letteraria dal Treccani, sia nota o perlomeno intesa nel resto d’Italia. Che mi dite? 

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- Sandro1991
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- Ferdinand Bardamu
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La conoscevo per via libresca e, per fare lo sbrasone
, l’ho pure usata un paio di volte nello scritto (mi è stata cassata per un più comune «prendere lo slancio»). Naturalmente, da non toscano, la percepisco come molto ricercata e non molto perspicua, soprattutto riguardo alla pronuncia: se non si riconoscono i componenti a e ire (verbo affatto sconosciuto al mio dialetto), si può pronunciare anche àire, che ha tutt’altro significato (Treccani in linea, s.v. àire).

- u merlu rucà
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Confermo che anche nel grossetano dare/prendere l'aire è molto diffuso, però più nell'accezione di dare/prendere uno slancio/una spinta. Neanch'io, come Andrea Russo, ho mai sentito adoperare aire in una situazione simile a quella descritta da Marco1971.
Vi confesso che, lì per lì, appena letto T'ha' preso l'aire, mi sono immaginato il suo amico che, con ancora le cuffie sul capo, prendeva la rincorsa stile centometrista per sfrecciare chissà dove.
Vi confesso che, lì per lì, appena letto T'ha' preso l'aire, mi sono immaginato il suo amico che, con ancora le cuffie sul capo, prendeva la rincorsa stile centometrista per sfrecciare chissà dove.

Ringrazio tutti per le risposte. 
Io ho sentito spesso (e uso) quest’espressione soprattutto in senso figurato, ad esempio (un ricordo che mi riaffiora) parlando di uno che di solito non esce mai la sera e tutt’a un tratto prende a uscire tutte le sere.

Io ho sentito spesso (e uso) quest’espressione soprattutto in senso figurato, ad esempio (un ricordo che mi riaffiora) parlando di uno che di solito non esce mai la sera e tutt’a un tratto prende a uscire tutte le sere.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Non so in provincia, ma a Firenze era (ed è tuttora?) corrente e spontaneo t’hai per tu hai, in particolare nella frase Icché t’ha’ fatto? (Se non fosse chiaro, preciso, per i non toscani, che significa Che cosa hai fatto?)Carnby ha scritto:È comunissima dalle mie parti, però si dice più comunemente (te) tu ha' preso l'aìre.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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- Interventi: 763
- Iscritto in data: dom, 23 ott 2011 22:37
In questo caso io direi, non so quanto a (s)proposito, ha preso il via (/irvìa/ o /ivvìa/). Ma ora guarderò di ricordarmi, e usare, questa bella espressione.Marco1971 ha scritto:Io ho sentito spesso (e uso) quest’espressione soprattutto in senso figurato, ad esempio (un ricordo che mi riaffiora) parlando di uno che di solito non esce mai la sera e tutt’a un tratto prende a uscire tutte le sere.
Ci sono alcune differenze tra Firenze città e il contado, per esempio:Marco1971 ha scritto:Non so in provincia, ma a Firenze era (ed è tuttora?) corrente e spontaneo t’hai per tu hai, in particolare nella frase Icché t’ha’ fatto? (Se non fosse chiaro, preciso, per i non toscani, che significa Che cosa hai fatto?)
- minor occorrenza (per quanto sempre possibile) dell'elisione di tu; fior. t'ara' diciott'anni; cont. tu a(v)ra' diciott'anni;
- minor occorrenza dell'assimilazione /nl/; fior. tiello, cont. tienlo;
- passaggio sistematico di /ns, ls, rs/ a /nts, lts, rts/; fior. penso, polso, orso, cont. penzo, polzo, orzo;
- minor frequenza dell'uso di la davanti ai nomi femminili (già debole nei dintorni di Montelupo);
- nell'area più esterna /*ʎɛ/ sostituisce del tutto /lɛ/; fior. l'è tutt'a rovescio, cont. gli è tutt'a rovescio;
- nell'area più esterna, dileguo del la pleonastico (più stabile nelle interrogative); fior. che la vole? la 'un c'è! cont. che vole? (la) 'un c'è!.

La ringrazio. Sí, la cosa m’interessa, sicché, se ha altre precisazioni da aggiungere, ben vengano (magari in un apposito filone [con rimando a questo] in Fonetica e fonologia). 

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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