Non solo gui... ma anche gostare, grisi e... gatto (lat. cattus). Le sue ipotesi sono abbastanza realistiche, tant'è che nelle zone dov'è più debole la gorgia si tende a sonorizzare (versiliese ài gabído per hai capíto, fior. ài haɸíϑo, carrarino (di tipo settentrionale) è kavíd (cfr. Devoto–Giacomelli, I dialetti delle regioni d'Italia, Bompiani) [trascrizioni aggiornate/corrette da me].SinoItaliano ha scritto:Invece ho sentito diversi fiorentini pronunciare «qui» come /gwi/.
Che sia una traccia della sonorizzazione centro-meridionale rimasta a Firenze, che la gorgia non è riuscita a eliminare?
Oppure attualmente si tende alla sonorizzazione per reazione alla gorgia (e quindi un fenomeno diametralmente opposto a quello trecentesco)?
L'esito tosco-italiano delle occlusive sorde latine
Moderatore: Cruscanti
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E a Roma si dice ciavatta
Ma è avvertita come molto rustica...
Una volta mi recai allo Sheraton per recuperare una ciabatta elettrica che mia madre si era dimenticata a una festa.
Mi sforzai di pronunciare bene la 'b' e chiesi se avevano visto una 'ciabatta' dimenticata.
Subito dopo l'impiegato telefonò ai colleghi e disse: "Pronto, che per caso avete visto una ciavatta... una ciabatta... lasciata ieri?"
Credo che a Roma ciavatta sia l'unica parola in cui la b s'indebolisce in v, nelle altre parole la b raddoppia sempre.
Ma è avvertita come molto rustica...
Una volta mi recai allo Sheraton per recuperare una ciabatta elettrica che mia madre si era dimenticata a una festa.
Mi sforzai di pronunciare bene la 'b' e chiesi se avevano visto una 'ciabatta' dimenticata.
Subito dopo l'impiegato telefonò ai colleghi e disse: "Pronto, che per caso avete visto una ciavatta... una ciabatta... lasciata ieri?"
Credo che a Roma ciavatta sia l'unica parola in cui la b s'indebolisce in v, nelle altre parole la b raddoppia sempre.
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Beh, /v/ è l'esito normale di /b/ intervocalica latina nei dialetti centromeridionali, le parole con /b/ o /bb/ sono latinismi o prestiti posteriori a quel passaggio. Per ciabatta questo non è possibile perché viene dal persiano cabat, forse attraverso una parola turca (çabata) che però non riesco a trovare sui dizionarî di quella lingua. Il DEI di Carlo Battisti e Giovanni Alessio riporta ciavatta come voce antiquata, centromeridionale e veneziana (zavata).SinoItaliano ha scritto:Credo che a Roma ciavatta sia l'unica parola in cui la b s'indebolisce in v, nelle altre parole la b raddoppia sempre.
Del resto, in passato, anche in Toscana si diceva libbro (parola dotta, se fosse stata di tradizione ininterrotta si avrebbe avuto liro o livro in toscano) e robba (parola di origine germanica). Al giorno d'oggi sarebbe avvertita come «straniera».
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Altre persone, inclusi turchi, non sono state in grado di trovare la parola turca che avrebbe dato origine a ciabatta. Una discussione in inglese qui.
Per ciabatta il DELI dice che è di etimo incerto ma di probabile origine orientale; il GRADIT si limita a etimo incerto; riporto quel che trovo nel Battaglia:
Di etimo incerto: forse di provenienza spagnola, dove appare la forma del lat. mediev. zapatones (sec. X-XI) e del volgare zapato (sec. XII); cfr. portogh. sapato, catal. e provenz. sabata, fr. savate. Anche nel turco settentrionale si registra la forma čabata, a cui corrisponde una voce affine in lingua persiana, senza che se ne possa stabilire una precisa relazione.
Di etimo incerto: forse di provenienza spagnola, dove appare la forma del lat. mediev. zapatones (sec. X-XI) e del volgare zapato (sec. XII); cfr. portogh. sapato, catal. e provenz. sabata, fr. savate. Anche nel turco settentrionale si registra la forma čabata, a cui corrisponde una voce affine in lingua persiana, senza che se ne possa stabilire una precisa relazione.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- u merlu rucà
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Il passaggio -b- > -v- è molto antico e il fenomeno era sicuramente esaurito quando il (presunto) turco čabata sarebbe potuto entrare nel lessico italiano/dialettale. Il turco potrebbe spiegare la forma italiana standara (il prestito è avvenuto dopo l'esaurimento del fenomeno) ma non le forme presenti in molti dialetti: savata, ciavatta ecc. e nel francese (savate). Difficile anche una derivazione dalle forme iberiche zapato/sapato (che deriverebbero secondo il DRAE dal turco zabata), più o meno per gli stessi motivi. Tra parentesi, considerate le attestazioni del latino medievale, mi sembra molto strano che le forme iberiche derivino dal turco. Io avrei un'altra possibile spiegazione ma non è questa la sede.
Vorrei chiedere a Marco qual è la prima attestazione di ciabatta in italiano secondo i sacri testi.
Vorrei chiedere a Marco qual è la prima attestazione di ciabatta in italiano secondo i sacri testi.
La prima attestazione è di Sacchetti (1332-1400) secondo il Battaglia, ciò che conferma la BIZ[a].
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- SinoItaliano
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Mi sono espresso male, intendevo dire che in romanesco (e in molti accenti regionali centro-meridionali) «le b raddoppiano sempre» non rispetto all'etimologia, ma rispetto all'italiano standard. Nel senso che dove in italiano c'è una b scempia, nel Centro-Sud è sempre pronunciata doppia.Carnby ha scritto:Beh, /v/ è l'esito normale di /b/ intervocalica latina nei dialetti centromeridionali, le parole con /b/ o /bb/ sono latinismi o prestiti posteriori a quel passaggio.SinoItaliano ha scritto:Credo che a Roma ciavatta sia l'unica parola in cui la b s'indebolisce in v, nelle altre parole la b raddoppia sempre.
Libro è una parola dotta? Prima della sua introduzione, come venivano chiamati i libri?Carnby ha scritto:Del resto, in passato, anche in Toscana si diceva libbro (parola dotta, se fosse stata di tradizione ininterrotta si avrebbe avuto liro o livro in toscano) e robba (parola di origine germanica). Al giorno d'oggi sarebbe avvertita come «straniera».
Però in francese si chiama livre e in portoghese livro. Forse in queste lingue è stata introdotta prima che in italiano? Oppure loro l'avevano già per tradizione ininterrotta? Oppure in queste due lingue il passaggio b->v si è esaurito piú tardi?
E come mai in Toscana la b geminata è diventata scempia, mentre nel resto del Centro-Sud si è mantenuta doppia?
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
- Infarinato
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Veramente, l’esito popolare toscano è proprio [bbr] (si pensi a ebbro, fabbro, labbro, libbra; lira risente dell’influsso galloromanzo).Carnby ha scritto:Del resto, in passato, anche in Toscana si diceva libbro (parola dotta, se fosse stata di tradizione ininterrotta si avrebbe avuto liro o livro in toscano) e robba (parola di origine germanica).
Dal popolo non venivano chiamati. Dopotutto, il concetto d’«insieme di fogli scritti rilegati» non era certo uno dei piú comuni fra i popolani dell’Alto Medioevo.SinoItaliano ha scritto:Libro è una parola dotta? Prima della sua introduzione, come venivano chiamati i libri?
Non è «diventata scempia», si è mantenuta tale: è nel resto dell’Italia centromeridionale che la scempia [di tradizione dotta] non ha mai attecchito, scontrandosi non solo con l’esito popolare [bb] di -BĔ/Ĭ- e di -BR-, ma anche con quello [non toscano] del semplice -B- intervocalico.SinoItaliano ha scritto:E come mai in Toscana la b geminata è diventata scempia, mentre nel resto del Centro-Sud si è mantenuta doppia?
Il perché del fatto che in Toscana la doppia non si sia invece estesa [se non in singoli lessemi particolarmente «espressivi»] al caso intervocalico è forse da ricercarsi nel tipo univoco di risposta che il fiorentino prima, e i vernacoli toscani fiorentinizzati poi, hanno dato al «problema» delle occlusive e delle affricate posvocaliche —non dimentichiamoci infatti che scempio posvocalico partecipa, seppur marginalmente, alla «gorgia»: si veda qui, in particolare le pp. 2 e 4–6.
Non nego la figuraccia che ho fatto, ma riporto comunque questo brano, che completa un po' il discorso.Infarinato ha scritto:Veramente, l’esito popolare toscano è proprio [bbr] (si pensi a ebbro, fabbro, labbro, libbra; lira risente dell’influsso galloromanzo).
Gerhard Rohlfs ha scritto:Nel nesso br la b in Toscana si allunga in bb: cfr. fabbro, labbro, febbraio, fabbrica, ebbro, libbra, febbraio, mentre libro e ventilabro sono forme latineggianti. Con lo sviluppo normale suddetto sono in contrasto anche l'antico senese liro 'libro', il toscano lira e il toscano popolare (Pistoia, Livorno, Pisa) feraio ovvero ferraio 'febbraio'.
G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti I, § 261.
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