L'italiano, lo spagnolo e gli anglicismi
Moderatore: Cruscanti
L'italiano, lo spagnolo e gli anglicismi
Qui il rimando all'articolo del portale Treccani del 12 giugno 2012. Leggetelo fino alla fine, le proposte fatte per l'italiano sono concrete, interessanti, ed è significativo che vengano dalla Treccani in linea (benché non sappia a che titolo).
Se fossimo capaci di maturare un minimo di orgoglio linguistico... possibile che lo spagnolo riesca a diventare un esempio per noi?
Se fossimo capaci di maturare un minimo di orgoglio linguistico... possibile che lo spagnolo riesca a diventare un esempio per noi?
Ultima modifica di Modna in data gio, 14 giu 2012 15:47, modificato 1 volta in totale.
- Ferdinand Bardamu
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Grazie dell'articolo, caro Modna.
Quanto servirebbe un simile «pronto soccorso» anche in Italia!Gabriel Valle ha scritto:Questo “pronto soccorso lingua” è alla portata di chiunque entri nel suo portale, ma si è rivelato particolarmente prezioso per i giornalisti del vasto mondo ispanico, che spesso vi si rivolgono, assillati da anglicismi elusivi. È cura dei consulenti produrne adattamenti o calchi nella lingua d’arrivo. Molte di queste forme ispanizzate esistono già, in un qualche punto della mappa ispanica, e vengono poi consigliate all’uso generale.
Allora non siamo solo noi quattro «parrucconi» a pensarla cosí…Gabriel Valle ha scritto:Gli osservatori esterni che, nel latte materno, si sono nutriti di una diversa lingua romanza, restano perplessi davanti all’anglicismo dilagante che esiste nella sorella italica.
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Grazie mille Modna per questo bell'articolo col quale non posso che essere d'accordo.
Ci sono molti punti che condivido pienamente; un aspetto che sottolineo spesso (anche in famiglia ma purtroppo non vengo considerato) è questo:
«Innumerevoli anglicismi non sono capiti dall’utente medio. Pare che i media non tengano presente che la maggior parte degli italiani non padroneggia l’inglese. I giornalisti danno per scontato che tutti abbiano dimestichezza con il loro gergo ibrido, e se non l’hanno dovrebbero averla. [...] Comunque i professionisti della comunicazione seminano confusione, ambiguità e disagio» (grassetto mio).
Purtroppo i giornalisti non lo capiscono.
Devo dire che questa storia del Prosalini mi garba parecchio (tra l'altro nome molto bello e creativo)! Si dovrebbe veramente sensibilizzare la popolazione a questi problemi: una volta che se n'è presa coscienza si possono mettere in atto vari interventi, tra cui, molto azzeccato secondo me, una campagna pubblicitaria.
Speriamo davvero che lo Stato prenda le adeguate misure, perché non è possibile che «una legge approvata dal Parlamento rechi, nel titolo breve, il nome di stalking», o che «nell’esame di maturità del 2009, una delle tracce del tema d’italiano si intitolasse: Social network, internet, new media».
Ah, non c'è modo di far girare il piú possibile quest'articolo? Io non ho un conto su Faccialibro, quindi non saprei. Ma basterebbe anche qualcosa di semplice, tipo metterlo in prima pagina nei maggiori quotidiani italiani per una settimana!
Ci sono molti punti che condivido pienamente; un aspetto che sottolineo spesso (anche in famiglia ma purtroppo non vengo considerato) è questo:
«Innumerevoli anglicismi non sono capiti dall’utente medio. Pare che i media non tengano presente che la maggior parte degli italiani non padroneggia l’inglese. I giornalisti danno per scontato che tutti abbiano dimestichezza con il loro gergo ibrido, e se non l’hanno dovrebbero averla. [...] Comunque i professionisti della comunicazione seminano confusione, ambiguità e disagio» (grassetto mio).
Purtroppo i giornalisti non lo capiscono.
Devo dire che questa storia del Prosalini mi garba parecchio (tra l'altro nome molto bello e creativo)! Si dovrebbe veramente sensibilizzare la popolazione a questi problemi: una volta che se n'è presa coscienza si possono mettere in atto vari interventi, tra cui, molto azzeccato secondo me, una campagna pubblicitaria.
Speriamo davvero che lo Stato prenda le adeguate misure, perché non è possibile che «una legge approvata dal Parlamento rechi, nel titolo breve, il nome di stalking», o che «nell’esame di maturità del 2009, una delle tracce del tema d’italiano si intitolasse: Social network, internet, new media».
Ah, non c'è modo di far girare il piú possibile quest'articolo? Io non ho un conto su Faccialibro, quindi non saprei. Ma basterebbe anche qualcosa di semplice, tipo metterlo in prima pagina nei maggiori quotidiani italiani per una settimana!
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Io mi ripeterò, anche a costo di apparir noioso: un dizionario ufficiale dei traducenti (soprattutto tecnici), l'obbligo per la PA di utilizzarli, e infine un caldo invito al mondo dell'informazione e ai pubblicitari di usare l'italiano (in fondo siamo di fatto in un regime di duopolio massinformativo); nel giro di una decina di anni si assisterebbe a un'inversione della tendenza. Ma dubito che una politica del genere verrà mai applicate, se al governo dei "professori(ni)" si parla di spending review.
- u merlu rucà
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Ogni volta che ci ho provato o mi han riso in faccia o mi dicono che non siamo più nel Ventennio: credimi, gli Italiani l'unica cosa che son capaci di accettare è l'ammaestramento (attualmente, per esempio, vengono ammaestrati dai media all'itanglese), quindi una bella politica sui media e pubblica amministrazione e nel giro di pochi anni rimparano a parlare italiano - magari non un buon italiano, ma sarebbe comunque una base da cui partire.Andrea Russo ha scritto:Si dovrebbe veramente sensibilizzare la popolazione a questi problemi…
Prego! Non appena ho finito di leggerlo ho pensato di mettervi tutti al corrente.
Pienamente d'accordo, caro Ferdinand: un bel dizionario panitalico dei dubbi, comprendente elvetismi ed espressioni dell'italofonia in generale, è necessario e benvenuto! Uno dei primi passi per maturare una coscienza italofona in Italia e nel resto del mondo.Ferdinand Bardamu ha scritto:Quanto servirebbe un simile «pronto soccorso» anche in Italia!
Assolutamente no, ma bisogna che chi la pensa così si dia davvero da fare per lavorare in squadra e fare pressione su politica e mèdia; la condivisione generica di intenti non porta a nulla.Ferdinand Bardamu ha scritto:Allora non siamo solo noi quattro «parrucconi» a pensarla cosí…
Quello non possiamo farlo, ma se ognuno di noi si prendesse l'impegno di inviare una e-posta ad almeno cinque suoi conoscenti (se vuole anche pregandoli di fare altrettanto), si potrebbe contribuire alla diffusione.Andrea Russo ha scritto:Ah, non c'è modo di far girare il piú possibile quest'articolo? Io non ho un conto su Faccialibro, quindi non saprei. Ma basterebbe anche qualcosa di semplice, tipo metterlo in prima pagina nei maggiori quotidiani italiani per una settimana!
Concordo. Anche a me pare che la maggioranza degli italiani non siano pro o contro, ma apaticamente indifferenti: accettano passivamente senza giudicare o valutare. In questo caso, a fronte di una seria politica linguistica che lavori su politica e mèdia, non si farebbero troppi problemi a usare traducenti italiani (la maggioranza, almeno), ci vorrebbe tempo ma è questione di abitudine e percezione collettiva e soggettiva.PersOnLine ha scritto:quindi una bella politica sui media e pubblica amministrazione e nel giro di pochi anni rimparano a parlare italiano - magari non un buon italiano, ma sarebbe comunque una base da cui partire.
Ultima modifica di Modna in data ven, 15 giu 2012 21:31, modificato 1 volta in totale.
- u merlu rucà
- Moderatore «Dialetti»
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È vero a livello istituzionale (accademie, dizionari), ma posso testimoniare, per il francese parlato, un tasso di anglicismi non indifferente, sebbene inferiore a quello italiano.
Ma appunto quel che conta sono dizionari e istituzioni.
Ma appunto quel che conta sono dizionari e istituzioni.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Concordo! Anche gli americani - parlo dei borghesi delle grandi città, comunque numerosi - usano un certo numero di parole straniere nel parlato (p.e. vino, bordello, fiasco, rouge, rendez-vous, e una crescente quantità di ispanismi), ma i canali ufficiali di informazione, i grandi dizionari e le istituzioni linguistiche (p.e.Linguistic Society of America) si guardano bene dall'usare forestierismi, al pari dei colleghi romanzi. Inoltre le questioni dell'ufficialità della lingua inglese e della sua coesistenza con lo spagnolo e altre lingue sono oggetto di aspri dibattiti (Language Policy e English Only Movement). Gli individui hanno, giustamente, piena libertà di parola: a istituzioni, mèdia e dizionari spetta il compito di dare il buon esempio linguistico.Marco 1971 ha scritto:Ma appunto quel che conta sono dizionari e istituzioni.
Per lo spagnolo iberico posso testimoniare che l'uso di anglicismi crudi, sebbene sia comparso negli ultimi anni (prima erano praticamente inesistenti), rimane a livelli bassissimi, anche grazie all'efficace azione di istituzioni e dizionari, che pare stiano ottenendo risultati crescenti anche negli altri paesi ispanofoni (Sud America, Stati Uniti e Filippine).
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Certamente, il fenomeno è differente! Era solo per sottolineare che, come ha detto Marco, ciò che conta sono le istituzioni e i dizionari (io aggiungo anche i mèdia). Le persone possono scegliere di usare o meno forestierismi (nell'esempio americano, italianismi e francesismi superflui), ma se i soggetti di cui sopra fanno correttamente il loro mestiere i parlanti avranno sempre un'alternativa "viva e usata" nella loro lingua, cosa che in italiano purtroppo non succede ancora.
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