
Sulla norma ortografica
Moderatore: Cruscanti
Insomma, lei non segue proprio nessuna logica, se non quella di 1 + 1 = 3.
Vorrei poi sapere quale manoscritto autografo di Dante lei abbia consultato, anche se la norma attuale è diversa e chi se ne discosta appare agli occhi di tutti come stravagante.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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A parte la bizzarria dell'eventuale interpretazione alternativa, dopo un articolo potrebbe starci soltanto un sostantivo, sia esso con o senza accento.Scilens ha scritto:Non avevo ancora risposto a PersoOnLine:
“del bel paese là dove 'l sì suona” Dante qui mette l'accento su si (nome) per evitare l'ambiguità, non avendo le virgolette, altrimenti la frase si sarebbe potuta intendere come “del bel paese dove quello si suona”, poco comprensibile.
Mi associo, comunque, alla domanda di Marco, perché ho cercato in un testo integrale della Divina Commedia, e quei (pochi) sì affermativi trovati sono tutti accentati.
- Ferdinand Bardamu
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Purtroppo non possediamo manoscritti autografi di Dante, perciò «Dante» non può aver messo nessun accento. Peraltro, i manoscritti antichi non presentano i segni diacritici moderni: l’accento è assente, cosí come l’apostrofo.Scilens ha scritto:Non avevo ancora risposto a PersoOnLine:
“del bel paese là dove 'l sì suona” Dante qui mette l'accento su si (nome)
Marco ha riportato un illuminante passo del compianto professor Nencioni: se davvero volessimo raddrizzare le storture della grafia, dovremmo favorire una maggiore corrispondenza con la pronuncia, non togliere diacritici.Scilens ha scritto:In definitiva considerare l'accento sul si affermativo come se fosse una regola ferrea non ha nessuna vera giustificazione.
Però se per Voi quell'accento arbitrario e superfluo fosse davvero così irrinunciabile potrei metterlo, pur malvolentieri, su questo foro.
Ci sono diverse ragioni per mettere l’accento a sí: è un avverbio dotato di accento proprio, al contrario dell’(altrimenti) omografo clitico; possiamo pensare frasi ambigue, in assenza d’accento grafico (sí fa ~ si fa); le regole ortografiche sincronicamente valide richiedono il segnaccento. Se lei contesta l’ultima ragione, dovrebbe però concordare almeno su una delle altre.
Personalmente, favorirei l’eliminazione dell’h etimologico in ho, hai, hanno, in favore di ò, ài, ànno, per eliminare un’eccezione; metterei l’accento grafico su tutte le parole sdrucciole, come accade in ispagnolo; ma, riguardo ai segnaccenti convenzionali, non vedo motivo di scostarsi dalla norma.
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Caro PersOnLine, il fatto è che porsi una tale domanda non ha alcun senso. Il Boccaccio (in qualità di copista della Commedia) scriveva si senz’accento (7º rigo della pagina manoscritta collegata), ma, come ha già detto Marco, allora la «norma» scrittoria era tutt’altra: si scrivevano certi sintagmi tutt’attaccati e se ne separavano altri che ora si scrivono univerbati, si notava [contrariamente a oggi, ancorché saltuariamente] il raddoppiamento fonosintattico e —cosa che qui piú c’interessa— nel tardo XIII secolo e per tutto il XIV [di regola] gli accenti mancavano completamente (cfr. Arrigo Castellani, Sulla formazione del sistema paragrafematico moderno, «Studi linguistici italiani» XXI [1995], 3–47, ora in: Id., Nuovi saggi di linguistica e filologia italiana e romanza [1976-2004], «Salerno Editrice», Roma 2010, pp. 41–81 [si cita da quest’edizione], p. 57).PersOnLine ha scritto:Mi associo, comunque, alla domanda di Marco, perché ho cercato in un testo integrale della Divina Commedia, e quei (pochi) sì affermativi trovati sono tutti accentati.
Oggigiorno il sí affermazione (che peraltro è etimologicamente la stessa cosa del sí «cosí»

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Per le somiglianze strutturali, per l'italiano sceglierei il sistema catalano, che accenta anche le piane con /ɛ, ɔ/. L'unica notevole differenza è che (almeno in teoria) il catalano prescrive l'ïato in casi come in valencià ([valensi'a] in valenzano, [balənsi'a] secondo la norma barcellonese); non so se questo potrebbe avere una qualche conseguenza sul numero di accenti grafici utilizzati.Brazilian dude ha scritto:Anche in portoghese e in catalano.
Invalidiamo i referendum?Infarinato ha scritto:Oggigiorno il sí affermazione (che peraltro è etimologicamente la stessa cosa del sí «cosí») richiede l’accento [grave o acuto], e chi non segue questa elementare norma ortografica viola non solo, per dirla col Nencioni, «un costume grafico che assicura la costanza dell’aspetto visivo della lingua [italiana]», ma anche —a proposito d’«insulti»— il codice di buona condotta di questa piazza. E parole non ci appulcro.

- Infarinato
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Per il [tutto] maiuscolo c’è sempre stata una certa [peraltro mai adeguatamente motivata] tolleranza, che esiste anche in francese.Carnby ha scritto:Invalidiamo i referendum?
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Per esempio meta (mucchio di letame), mèta (traguardo), metà (un mezzo). Anche senza trovare coppie minime o subminime, non c'è predicibilità del timbro esatto di e, o e quindi l'accento grave andrebbe segnato anche sulle piane.Brazilian dude ha scritto:Non mi viene in mente nessuna parola piana accentata - graficamente, suppongo - che soddisfaccia questi criteri. Mi potrebbe fare qualche esempio?
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Secondo me, una regola deve essere il più possibile semplice, univoca e soprattutto definita.Scilens ha scritto:Quando l'accento serve ad evitare un fraintendimento è “obbligatorio” metterlo, ma quando la frase è chiara, come “si, ho capito” diventa superfluo: (...) In definitiva considerare l'accento sul si affermativo come se fosse una regola ferrea non ha nessuna vera giustificazione.
Una regola che comprenda una serie di eccezioni (vuole l'accento tranne davanti a ccc e dopo bbb, nonché ddd etc. etc.) dà la possibilità di fare molti più errori di una regola "liscia", senza possibili varianti.
Una regola che si affidi poi a una valutazione soggettiva, diventa una non-regola.
Il "dare adito a dubbi" o meno può essere legato anche a valutazioni personali. Chi conosce di meno la lingua può ad esempio non pensare a possibili dubbi, e quindi saltare l'accento, o considerare dubbia un'espressione che per chi conosce bene i costrutti grammaticali è invece inequivocabile. Col risultato di avere alla fine accenti sparsi a caso, qualche volta sì qualche volta no.
Una regola deve avere una definizione precisa, non può essere una cosa che utilizzo "a spanne", e il rischio secondo me è appunto di ottenere un utilizzo impreciso e "casuale" dell'accento su "si" affermazione.
O tutte le volte privo (ma allora ci sono i casi dubbi) o tutte le volte con accento.
La cosa che piú m’ha colpito in chi ha suscitato questa digressione è il fatto stesso di rimettere in discussione la convenzione stabilita e universalmente condivisa. Si può, certo, ragionare sulla minore o maggiore convenienza del codice ortografico, ma nessuno lo può modificare, è patrimonio comune, punto di riferimento preciso rispecchiato da tutte le opere di consultazione, e violabile soltanto pena la perdita di credibilità. Far uso d’un sistema proprio equivale a ratificare la propria esclusione, sociale e culturale, perché proprio l’ortografia è, nella coscienza collettiva, il biglietto da visita (lasciamo perdere biglietto di visita) del singolo.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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