Perché «da» non cogemina fuor di Toscana?
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Ho provato a chiedere a una persona di tutt'altra provenienza (Marche), e mi ha detto che per lei esiste solo "adesso" (e che le fa strano quando io dico "ora"; ovviamente non si accorge di quando dico "adesso").
Comunque voglio provare a farci più attenzione: magari sono io a sentire particolarmente neutrale questa cosa, e invece il paese pende in una delle due direzioni.
Comunque voglio provare a farci più attenzione: magari sono io a sentire particolarmente neutrale questa cosa, e invece il paese pende in una delle due direzioni.
Da quale zona delle Marche proviene la persona che conosce Lei? Che dalle mie parti adesso prevalga su ora è pacifico, ma non cosí tanto da causare una reazione d'incredulità! Insomma, chi dice ora viene giudicato accostévole.valerio_vanni ha scritto:Ho provato a chiedere a una persona di tutt'altra provenienza (Marche), e mi ha detto che per lei esiste solo "adesso" (e che le fa strano quando io dico "ora"; ovviamente non si accorge di quando dico "adesso").

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Dalla valle del Cesano, zona linguistica detta "Di Pergola".
Non si tratta d'incredulità forte, se non avessi posto io la questione non ci sarebbero state reazioni. Semplicemente, a quanto ho capito, manca l'istinto di usare la parola "ora".
Io uso e sento entrambi, non saprei dire con che percentuali.
Non si tratta d'incredulità forte, se non avessi posto io la questione non ci sarebbero state reazioni. Semplicemente, a quanto ho capito, manca l'istinto di usare la parola "ora".
Io uso e sento entrambi, non saprei dire con che percentuali.
Questo è vero, sempre per ciò che concerne la mia zona.valerio_vanni ha scritto: Semplicemente, a quanto ho capito, manca l'istinto di usare la parola "ora".

"Adesso" è completamente estraneo al parlato della mia zona (tranne per i figli della tv).
Mi riaggancio al tema originario per chiedere a Ferdinand, senza che debba ammattire per rispondere, cosa prova che "da" debba esser fatto risalire a quell'originario "de ab" nominato da Rohlfs del quale nessuno "può più dubitare", perché non ho ancora trovato notizie soddisfacenti.
Da quel che ho capito pare che si tratti di una ricostruzione senza attestazione di passaggi intermedi, che per questo potrebbe essere di fantasia o di comodo.
Eppure se si confronta "andare a ccasa" con "partire da ccasa" potremmo trovare *ad casam e *de casa.
Propongo un'ipotesi che meriterebbe un approfondimento (o una smentita): il raddoppiamento di "da ccasa" potrebbe essersi formato per analogia con "a ccasa"?
Mi riaggancio al tema originario per chiedere a Ferdinand, senza che debba ammattire per rispondere, cosa prova che "da" debba esser fatto risalire a quell'originario "de ab" nominato da Rohlfs del quale nessuno "può più dubitare", perché non ho ancora trovato notizie soddisfacenti.
Da quel che ho capito pare che si tratti di una ricostruzione senza attestazione di passaggi intermedi, che per questo potrebbe essere di fantasia o di comodo.
Eppure se si confronta "andare a ccasa" con "partire da ccasa" potremmo trovare *ad casam e *de casa.
Propongo un'ipotesi che meriterebbe un approfondimento (o una smentita): il raddoppiamento di "da ccasa" potrebbe essersi formato per analogia con "a ccasa"?
Saluto gli amici, mi sono dimesso. Non posso tollerare le contraffazioni.
Cerco di spiegarmi meglio.
Se nel 723 abbiamo già la forma italiana "da" («olive, que novi […] da Gualistolo advinet») che è usata almeno fin dal secolo precedente («abea anathema da patre»), mi viene da credere che 'de ab' sia una ricostruzione a posteriori, un appiattimento temporale che considera le forme "dab" e "dad" di tre o cinque secoli successive (Ritmo Cassinese; sonetto 3 dell'Angiolieri), come se fossero contemporanee o quasi. O anche, ma mi sembra meno probabile, che questa ricostruzione fosse creduta vera già in antico. La successione "de ab" non esiste in latino e appare solo nell'VIII secolo («de ab odiernum diae») in un modo che sembra la "traduzione" del "da" italiano, più che un'evoluzione interna al latino.
Se nel 723 abbiamo già la forma italiana "da" («olive, que novi […] da Gualistolo advinet») che è usata almeno fin dal secolo precedente («abea anathema da patre»), mi viene da credere che 'de ab' sia una ricostruzione a posteriori, un appiattimento temporale che considera le forme "dab" e "dad" di tre o cinque secoli successive (Ritmo Cassinese; sonetto 3 dell'Angiolieri), come se fossero contemporanee o quasi. O anche, ma mi sembra meno probabile, che questa ricostruzione fosse creduta vera già in antico. La successione "de ab" non esiste in latino e appare solo nell'VIII secolo («de ab odiernum diae») in un modo che sembra la "traduzione" del "da" italiano, più che un'evoluzione interna al latino.
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- Ferdinand Bardamu
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Non ha alcun senso parlare di «traduzione latina» del da italiano, per un’attestazione di un periodo in cui le lingue romanze non avevano ancora ricevuto alcun riconoscimento ufficiale, per il quale bisognerà aspettare l’813 (concilio di Tours).
La lingua latina volgare abbondava di duplicazioni sinonimiche, come del resto anche il parlato di oggi. L’osservazione di come si comporta la lingua viva e le attestazioni del latino altomedievale ci aiutano a ricostruire l’etimo. Un esempio di un’altra parola creata a partire da due sinonimi è mentre, che è il latino DUM INTERIM (ant. domentre).
La lingua latina volgare abbondava di duplicazioni sinonimiche, come del resto anche il parlato di oggi. L’osservazione di come si comporta la lingua viva e le attestazioni del latino altomedievale ci aiutano a ricostruire l’etimo. Un esempio di un’altra parola creata a partire da due sinonimi è mentre, che è il latino DUM INTERIM (ant. domentre).
Allora diciamo pseudotraduzione che cercava d'esser latina di un "da" appartenente ad un volgare che non sarebbe più cambiato fino all'italiano, ma la sostanza non cambia poi di tanto.Ferdinand Bardamu ha scritto:Non ha alcun senso parlare di «traduzione latina» del da italiano,
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Ma, veramente, la formula d’Angieri citata (de ab odiernum diae) è del 676, quindi del VII, non dell’VIII secolo.Scilens ha scritto:Cerco di spiegarmi meglio.
Se nel 723 abbiamo già la forma italiana "da" («olive, que novi […] da Gualistolo advinet») che è usata almeno fin dal secolo precedente («abea anathema da patre»), mi viene da credere che 'de ab' sia una ricostruzione a posteriori… La successione "de ab" non esiste in latino e appare solo nell'VIII secolo («de ab odiernum diae») in un modo che sembra la "traduzione" del "da" italiano, più che un'evoluzione interna al latino.
Certamente de ab non esisteva in latino classico, ma è ampiamente attestata in latino tardo.
Comunque, forse, la prova piú evidente a sostegno della derivazione da < DĒ ĂB ci viene dal confronto col sardo dae, in sardo antico dave e dabe.
Se ne ha voglia, si può leggere l’ampia documentazione fornita dallo Svennung nell’articolo del ’51 citato dal Rohlfs: buona lettura, e a Lei l’onere della controprova!

La ringrazio per la risposta e per i riferimenti che sto scaricando e più tardi leggerò. Il mio scopo non è dimostrare qualcosa, ma solo di capire meglio questa cosa che non mi aveva convinto.
Quella frase che ho trascritto è attribuita al secolo VIII, ma se mi dice che è sbagliata potrebbe soffrire di un errore di stampa. Riporto il brano:
"La sequenza preposizionale de ab si attesta per la prima volta nel latino delle Formulae Andecavenses, tramandate da un manoscritto del sec. VIII (n. 4, p. 6 «de ab odiernum diae»)".
Ancora grazie!
Quella frase che ho trascritto è attribuita al secolo VIII, ma se mi dice che è sbagliata potrebbe soffrire di un errore di stampa. Riporto il brano:
"La sequenza preposizionale de ab si attesta per la prima volta nel latino delle Formulae Andecavenses, tramandate da un manoscritto del sec. VIII (n. 4, p. 6 «de ab odiernum diae»)".
Ancora grazie!
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Il manoscritto che ci è pervenuto è dell’VIII secolo; la formula in questione in esso contenuta è databile al 676 d.C.: cfr. Rohlfs §III.833 e l’articolo dello Svennung.Scilens ha scritto:Quella frase che ho trascritto è attribuita al secolo VIII, ma se mi dice che è sbagliata potrebbe soffrire di un errore di stampa.
Non basta una sbirciatina al primo articolo trovato in Rete per formarsi un’opinione compiuta s’una questione che ha impegnato per lungo tempo fior di linguisti.

Nel 2006 Lei diceva: "Del resto, a tutt’oggi non è nemmeno chiarissimo da dove derivi da: da *de ab o da *de ad, o (piú probabilmente) da entrambi. (In tutti e tre i casi, comunque, la cogeminazione è storicamente giustificata.)"
Mi sembra comprensibile che anch'io possa cercar lumi.
Per la datazione della Formula D'Angeri, invece che quella del libro di mezzo secolo fa, ho preso per buona quella più recente, dell'articolo della Giuliani.
"Da" sarebbe potuto tranquillamente provenire dal "de" latino se non ci fosse stato quel raddoppiamento che ha prodotto "daffare", "dapprima", "daccordo" e che di solito denuncia la caduta di 'qualcosa'. Oppure, pensavo, si sarebbe potuto sviluppare per analogia con le forme che derivano da "ad". Non mi convinceva che "de ab" potesse diventare 'da'.
Nemmeno l'articolo di Svennung non m'aveva ancora soddisfatto, finché non sono arrivato al punto in cui cita il temine "daventro". Allora s'è accesa la lampadina sull'etimologia di "avanti" e soprattutto "davanti", da "de-ab-ante", che è del tutto logica, e che la "Grammatica Storica" di Rohlfs tralascia. Quando sono arrivato a questo punto tutto mi s'è schiarito e m'è parso ragionevole che questa trasformazione dovesse essere molto antica e già avvenuta nel latino popolare.
I resti fonetici, di bocca in bocca, sono in grado di tramandare un'informazione che era già persa nello scritto da centinaia e forse migliaia d'anni.
(Nota: so che i collegamenti nascosti nel testo sono più eleganti, ma se salvo la trattazione di un argomento perché è particolarmente interessante mi vanno persi perché non son visibili.)
Grazie!
Mi sembra comprensibile che anch'io possa cercar lumi.
Per la datazione della Formula D'Angeri, invece che quella del libro di mezzo secolo fa, ho preso per buona quella più recente, dell'articolo della Giuliani.
"Da" sarebbe potuto tranquillamente provenire dal "de" latino se non ci fosse stato quel raddoppiamento che ha prodotto "daffare", "dapprima", "daccordo" e che di solito denuncia la caduta di 'qualcosa'. Oppure, pensavo, si sarebbe potuto sviluppare per analogia con le forme che derivano da "ad". Non mi convinceva che "de ab" potesse diventare 'da'.
Nemmeno l'articolo di Svennung non m'aveva ancora soddisfatto, finché non sono arrivato al punto in cui cita il temine "daventro". Allora s'è accesa la lampadina sull'etimologia di "avanti" e soprattutto "davanti", da "de-ab-ante", che è del tutto logica, e che la "Grammatica Storica" di Rohlfs tralascia. Quando sono arrivato a questo punto tutto mi s'è schiarito e m'è parso ragionevole che questa trasformazione dovesse essere molto antica e già avvenuta nel latino popolare.
I resti fonetici, di bocca in bocca, sono in grado di tramandare un'informazione che era già persa nello scritto da centinaia e forse migliaia d'anni.
(Nota: so che i collegamenti nascosti nel testo sono più eleganti, ma se salvo la trattazione di un argomento perché è particolarmente interessante mi vanno persi perché non son visibili.)
Grazie!
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Certo, citavo piú o meno a memoria la grammatica del Serianni (senz’aver mai approfondito la questione prima), e l’argomento di discussione era comunque tutt’altro.Scilens ha scritto:Nel 2006 Lei diceva: "Del resto, a tutt’oggi non è nemmeno chiarissimo da dove derivi da: da *de ab o da *de ad, o (piú probabilmente) da entrambi. (In tutti e tre i casi, comunque, la cogeminazione è storicamente giustificata.)"
Mi sembra comprensibile che anch'io possa cercar lumi.
Vede: credo che il suo sia essenzialmente un problema di tono. Prima Lei sembra voler riaprire o comunque gettare nuova luce s’un’annosa questione essendo in possesso di chissà quali nuovi elementi, poi però «nasconde la mano», quasi a dire: «ma io scherzavo, volevo solo charirmi le idee etc.»

Nòne!Scilens ha scritto:Per la datazione della Formula D'Angeri, invece che quella del libro di mezzo secolo fa, ho preso per buona quella più recente, dell'articolo della Giuliani.

No, non sarebbe «potuto tranquillamente provenire dal DĒ latino» neanche senza raddoppiamento: come spiegherebbe la a di da? No, la prego, non risponda: è una domanda retorica.Scilens ha scritto:"Da" sarebbe potuto tranquillamente provenire dal "de" latino se non ci fosse stato quel raddoppiamento che ha prodotto "daffare", "dapprima", "daccordo" e che di solito denuncia la caduta di 'qualcosa'.
Bene, siamo contenti della sua raggiunta Illuminazione.Scilens ha scritto:"Nemmeno l'articolo di Svennung non m'aveva ancora soddisfatto, finché non sono arrivato al punto in cui cita il temine "daventro". Allora s'è accesa la lampadina sull'etimologia di "avanti" e soprattutto "davanti", da "de-ab-ante", che è del tutto logica, e che la "Grammatica Storica" di Rohlfs tralascia.
Chi c’è in linea
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