Mi perdoni ma sul fatto che il verbo amare si possa adoperare solo in un registro elevato non mi trova d'accordo. Dipende dal contesto. E se "ti amo", "quanto lo amo" et sim. li vedo scritti su un muro, in un messaggino (eventualmente nell'acronimo TAT), in una pagina del diario di un'adolescente, magari in tutte lettere maiuscole, accompagnati da nomignoli, "un casino", un profluvio di 'oooo' e di cuoricini, o li ascolto in una telefonata come questa, allora mi aspetto che tutte queste espressioni siano inserite in un contesto caratterizzato da un registro decisamente spontaneo, e che quindi anche il contorno sia a quel livello. E in tale contesto non mi stupirei di leggere –o ascoltare– «io a te ti amo davvero» oppure «ma tu, a me, mi ami?», altrimenti anch'io avvertirei uno sfasamento fra due registri.Infarinato [url=viewtopic.php?p=43305#p43305]qui[/url] ha scritto:Quanto a te ti amo, come ho già detto, mi suona meglio di a te ti amo, ma non direi né l’uno né l’altro, ché, ribadisco, in entrambe l’espressioni avverto un innaturale sfasamento di registro (cfr., invece, sei tu colei che amo).
«Amare» ~ «voler bene»
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«Amare» ~ «voler bene»
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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Re: «Amare» ~ «voler bene»
Appunto.Zabob ha scritto:Dipende dal contesto. E se "ti amo", "quanto lo amo" et sim. li vedo scritti su un muro, in un messaggino (eventualmente nell'acronimo TAT), in una pagina del diario di un'adolescente, magari in tutte lettere maiuscole, accompagnati da nomignoli, "un casino", un profluvio di 'oooo' e di cuoricini, o li ascolto in una telefonata come questa…

Amare (non lo dico [solo] io: lo dice, ad esempio, il dizionario dei sinonimi Treccani) è un sinonimo «meno marcato» di adorare e idolatrare, ma piú marcato di voler bene, con cui l’italiano infatti traduce (o meglio: un oculato traduttore dovrebbe rendere in italiano) la stragrande maggioranza dei love inglesi.
Insomma, si può benissimo giocare a pallone in [pantaloncini e] giacca e cravatta, ma un pochino stona.

Re: «Amare» ~ «voler bene»
In spagnolo c'è un più opportuno te quiero per queste dichiarazioni, i napoletani posson dire te voglio bene assaje... E a proposito di to love in inglese, questo sì che in molti casi vuol dire niente di più che "voler bene", come giustamente anche lei osserva («con cui» si riferisce a voler bene, immagino): I love my friends, per es., lo tradurrei con «voglio bene ai miei amici», poiché il sentimento dell'amicizia ricade nella sfera dell'affetto, piuttosto che in quella di ciò che in italiano definiamo con la parola "amore".
Lo sfasamento di registro, anzi lo stridore, lo avverto in frasi come «amo queste scarpe», o «amerete questa padella», che ho sentito in una televendita (sicuramente una traduzione pedestre di you'll love this pan).
Lo sfasamento di registro, anzi lo stridore, lo avverto in frasi come «amo queste scarpe», o «amerete questa padella», che ho sentito in una televendita (sicuramente una traduzione pedestre di you'll love this pan).
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Re: «Amare» ~ «voler bene»
L'ho sentito anch'io, purtroppo. In inglese, forse (o forse no: non mi pronuncio, sono affari loro), va bene il passaggio da I like a I love, motivato da un aumento d'intensità, ma in italiano basta e avanza un mi piace molto/moltissimo come grado successivo al mi piace. Ancora più assurdo è l'uso (di cui sono stato testimone) della forma sto amando.Zabob ha scritto:Lo sfasamento di registro, anzi lo stridore, lo avverto in frasi come «amo queste scarpe», o «amerete questa padella», che ho sentito in una televendita (sicuramente una traduzione pedestre di you'll love this pan).
Idem per le varianti con adorare al posto di amare. Ma, si sa, l'enfasi pubblicitaria non conosce vergogna.
«Ed elli avea del cool fatto trombetta». Anonimo del Trecento su Miles Davis
«E non piegherò certo il mio italiano a mere (e francamente discutibili) convenienze sociali». Infarinato
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Re: «Amare» ~ «voler bene»
Infarinato ha scritto:Mi pare d’averlo già detto: a te ti voglio bene.
Non del tutto convinta.Infarinato ha scritto:Amare (non lo dico [solo] io: lo dice, ad esempio, il dizionario dei sinonimi Treccani) è un sinonimo «meno marcato» di adorare e idolatrare, ma piú marcato di voler bene, con cui l’italiano infatti traduce (o meglio: un oculato traduttore dovrebbe rendere in italiano) la stragrande maggioranza dei love inglesi.
Treccani dà numerosi significati del verbo "amare", rispecchiando quindi quello che è il "sentire" comune. E non tutti sono sinonimi più marcati di "volere bene".
Quindi occorre distinguere fra i vari possibili emittenti-riceventi del messaggio e dei cuoricini.
In alcuni casi in effetti c'è sfasamento di registro, perché chi imbrat...ehm scriveva intendeva un generico "siamo amici, mi sei simpatico, ti voglio bene"; ma in altri il verbo sottinteso è proprio "amare" nel suo significato preciso in riferimento al contesto:
"In partic., sentire una forte attrazione affettiva e sessuale nei confronti di qualcuno, esserne innamorato" (Treccani, vocabolario)
Se voglio esprimere questo preciso misto di pulsioni ed emozioni, non posso che usare "amare", anche nei registri più colloquiali. "Voler bene" è un'altra cosa, radicalmente.
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Re: «Amare» ~ «voler bene»
Ci mancherebbe altro!domna charola ha scritto:[Il] Treccani dà numerosi significati del verbo "amare", rispecchiando quindi quello che è il "sentire" comune. E non tutti sono sinonimi più marcati di "volere bene".

Voler bene è sinonimo [meno marcato] di amare solo in alcune accezioni del verbo.
Poi sa: il mio [non piú giovane] orecchio toscano, da adolescente, non tollerava nemmeno espressioni come «la mia ragazza», non essendo [in «italiano classico»] ragazzo/-a propriamente un singenionimo (diversamente da fidanzato/-a, marito/moglie, etc.) e dandomi quindi l’impressione d’un reale possesso (o al massimo di rapporto gerarchico padre-figlio, datore di lavoro - impiegato, come nel Màndami il tuo ragazzo citato dal Petrocchi) anziché di parentela/affinità.

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Re: «Amare» ~ «voler bene»
È leggermente fuori tema, perché è latino, ma una citazione del carme 72 di Catullo mi sembra utile:domna charola ha scritto:Se voglio esprimere questo preciso misto di pulsioni ed emozioni, non posso che usare "amare", anche nei registri più colloquiali. "Voler bene" è un'altra cosa, radicalmente.
Dicebas quondam solum te nosse Catullum,
Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.
Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,
sed pater ut gnatos diligit et generos.
Nunc te cognovi; quare etsi impensius uror,
multo mi tamen es vilior et levior.
«Qui potis est?», inquis. Quod amantem iniuria talis
cogit amare magis, sed bene velle minus.
[Lesbia, una volta dicevi che io ero il solo per te,
e che non mi avresti scambiato neanche con Giove in persona.
Allora io t’amavo non come la gente comune ama l’amante,
ma come un padre ama i suoi figli e i suoi generi.
Ma ora so chi sei. Per questo, più ardo per te,
meno peso e valore hai per me.
«Com’è possibile?», dici tu. Perché un’offesa simile
fa che s’ami di piú, ma si voglia bene di meno.]
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Re: «Amare» ~ «voler bene»
Sí… e faccio notare che il primo t’amavo traduce in realtà un dilexi < dilĭgo (ma il latino aveva davvero una pletora di modi per dire «amare»: amo, diligo, faveo, studeo, foveo, cupio).
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Nel carme catulliano, l’amare denota un sentimento che sconfina nella pura passione carnale (il poeta «arde», «ama d’amore», si sarebbe detto anticamente), mentre il voler bene, non a caso esemplificato con l’amore paterno, è piú astratto, meno forte e tumultuoso ma anche meno incostante.
Se non mi sbaglio, la marcatezza di amare rispetto a voler bene riguarda dunque l’intensità dell’azione prima che il suo appartenere a un registro piú alto della lingua.
A questo proposito, riporto quanto dice il Dizionario dei sinonimi del Tommaseo (§ 303):
Il popolo non ama quasi mai, se non Dio; ma vuol bene; e il non solum diligere verum etiam amare, l’esprime col voler bene e l’aver nel cuore. […] Aver l’amore di, sentesi di rado, nondimeno un bel giovinottino che abbia l’amore di tutte le donne, si trova anche in campagna; e vuol dire che tutte le donne gli voglion bene, ma non già che ne sono innamorate. Perchè fra contadini, a voler essere innamorati non basta voler bene, non basta amare, e nemmeno aver nel cuore, ma bisogna andare a veglia, e discorrere col damo o colla ragazza. L’innamorato solitario non lo conoscono.
Fatta la tara al paternalismo dell’autore (Enrico Bindi), dal passo s’evince che il sentimento d’amore, per la sua forza (che implichi o no l’attrazione sessuale poco importa), è raro. La conclusione implicita è che, se «il popolo non ama quasi mai», l’amare si addica solo alle persone di buona famiglia. Naturalmente, questa supposta connotazione diastratica della parola amare non è (piú) sostenibile oggi, ma in diafasia la differenza permane: come giustamente ha detto Infarinato, «[a] te ti amo» stride.
Quanto a ragazzo / ragazza per fidanzato / fidanzata, l’ho sempre trovata una parola un tantino affettata, come di chi volesse mostrare di parlar bene. Oggi va di moda compagno (e chiamiamoci fortunati che ancora non si dica partner), in ispecie tra quelle persone che avrebbero quasi un’età da nozze d’argento, e che quindi si vergognano a dire d’avere ancora un / una fidanzato / fidanzata; ma per me, giovane o vecchio che sia, chi sta insieme a un’altra persona e non è suo marito o sua moglie, ha soltanto ed è a sua volta, manzonianamente1, un moroso o una morosa.
__________
1 I promessi sposi, capitolo II, pensieri di don Abbondio: «[E]gli pensa alla morosa; ma io penso alla pelle[.]»
Se non mi sbaglio, la marcatezza di amare rispetto a voler bene riguarda dunque l’intensità dell’azione prima che il suo appartenere a un registro piú alto della lingua.
A questo proposito, riporto quanto dice il Dizionario dei sinonimi del Tommaseo (§ 303):
Il popolo non ama quasi mai, se non Dio; ma vuol bene; e il non solum diligere verum etiam amare, l’esprime col voler bene e l’aver nel cuore. […] Aver l’amore di, sentesi di rado, nondimeno un bel giovinottino che abbia l’amore di tutte le donne, si trova anche in campagna; e vuol dire che tutte le donne gli voglion bene, ma non già che ne sono innamorate. Perchè fra contadini, a voler essere innamorati non basta voler bene, non basta amare, e nemmeno aver nel cuore, ma bisogna andare a veglia, e discorrere col damo o colla ragazza. L’innamorato solitario non lo conoscono.
Fatta la tara al paternalismo dell’autore (Enrico Bindi), dal passo s’evince che il sentimento d’amore, per la sua forza (che implichi o no l’attrazione sessuale poco importa), è raro. La conclusione implicita è che, se «il popolo non ama quasi mai», l’amare si addica solo alle persone di buona famiglia. Naturalmente, questa supposta connotazione diastratica della parola amare non è (piú) sostenibile oggi, ma in diafasia la differenza permane: come giustamente ha detto Infarinato, «[a] te ti amo» stride.
Quanto a ragazzo / ragazza per fidanzato / fidanzata, l’ho sempre trovata una parola un tantino affettata, come di chi volesse mostrare di parlar bene. Oggi va di moda compagno (e chiamiamoci fortunati che ancora non si dica partner), in ispecie tra quelle persone che avrebbero quasi un’età da nozze d’argento, e che quindi si vergognano a dire d’avere ancora un / una fidanzato / fidanzata; ma per me, giovane o vecchio che sia, chi sta insieme a un’altra persona e non è suo marito o sua moglie, ha soltanto ed è a sua volta, manzonianamente1, un moroso o una morosa.
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- u merlu rucà
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Idem per i dialetti meridionali, mi pare; apposta ho fatto l'esempio del nap. te voglio bene assaje... C'è la parola ammore, c'è la parola 'nnammurato (e se due 'nnammurate fanno ammore vuol dire che si frequentano, che i se parla, per usare il dialetto del Merlo), ma non c'è il verbo amare.u merlu rucà ha scritto:Nel mio dialetto, e in generale nei dialetti liguri, non esiste amare, ma solo volere bene.
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- Ferdinand Bardamu
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- Località: Legnago (Verona)
Nemmeno nel mio. Questo sembra confermare quanto scrisse il Bindi nel passo del Dizionario dei sinonimi su riportato: popolarmente, amare non si usa, è vero.u merlu rucà ha scritto:Nel mio dialetto, e in generale nei dialetti liguri, non esiste amare, ma solo volere bene.
Mi chiedo però se è una lacuna che ha origini storiche — ciò che renderebbe amare un cultismo, o giú di lí — oppure per cosí dire psicologiche: in quest’ultimo caso, il sentimento denotato dall’amare sarebbe sentito come degno soltanto di Dio.
Il claim (vediamo la lista... "frase a effetto"?) di Italo recita «Lo amerai come se fosse tuo». Si può amare un treno? non saprei, di certo lo si può odiare se ci fa arrivare in ritardo.
Per "odiare" esiste una forma meno marcata, simmetrica rispetto a "voler bene", o va bene dire, per es., «odio guidare in mezzo al traffico»?

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- Animo Grato
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Non so se sia più o meno marcato, ma a me verrebbe spontaneo dire «detesto guidare in mezzo al traffico». In detestare sento il forte fastidio, l'avversione, ma nell'odiare c'è qualcosa di più, che coinvolge tutta la persona a un livello più profondo (ed è compreso - almeno per meZabob ha scritto:«odio guidare in mezzo al traffico»?

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