Nella descrizione iniziale del fenomeno, lei lo presenta come "la variazione della velocità (
vettoriale) in intensità e direzione".
Quel "vettoriale" secondo me è la parola chiave, perché implica il concetto di direzione e verso. Ovvero, fisicamente, ho "variazione di velocità" anche quando semplicemente vario la direzione del vettore velocità stesso, pur mantenendo la "velocità numerica, percepita" costante.
Che è quello che, mi par di capire (dopo anni di letture e tentativi di penetrare l'ostico mondo della meteorologia, continuo a non capirci una cippa...

) caratterizza l'oggetto in questione (nel senso che mi sembrerebbe di capire sia la condizione necessaria: per avere "
wind shear" basta un aumento brusco di velocità anche senza cambio di direzione, oppure l'elemento caratterizzante è proprio il cambio di direzione del vettore velocità?).
Se devo fare una sezione semplificativa, rappresenterei tutto ciò come una netta linea che separa le due masse d'aria, ovvero un piano che - figuratamente - le taglia. Ma che vuole rappresentare il fenomeno reale di una velocità del vento che cambia di direzione "improvvisamente". Il "taglio" è in fondo il risultato finale percepito, e dipende anche dal fattore scala.
Non so se è corretto pensare a un passaggio netto, ovvero le due masse d'aria non interagiscono punto fra loro, oppure se questa sia solo un'approssimazione, ovvero esista uno strato sia pur infinitesimo di aria in cui avviene la variazione: in tal caso si materializza un gradiente, un variare della velocità in un intervallo definito (modello fluido perfetto? oppure superficie con moti turbolenti? ...
nescio).
Comunque sia, in questo "girarsi" del vettore velocità si può individuare una componente di taglio, nel senso di scomposizione del vettore stesso.
Quello che resta, tutto sommato, da definire è quanto si vuole ricorrere al linguaggio figurato.
Il "taglio" in fisica è un oggetto ben preciso, e evoca sicuramente il risultato finale che si ottiene in materiali con bassa resistenza al "taglio", appunto: ovvero se applico sforzi di taglio, il materiale va a rottura con una dislocazione "laterale" delle particelle, lungo il piano su cui agisce lo sforzo che lo sta deformando (cioè paralleamente a esso): in linguaggio volgare, si "taglia". Ora, possiamo tagliare con lame, coltelli, forbici, cesoie etc. Fisicamente il fenomeno è uno, ma nella vita quotidiana lo associamo a più oggetti e azioni diverse. Quindi il problema diviene alla fine una questione di convenzione: se decidiamo che il particolare termine "cesoiatura" indica anche il "taglio" in senso fisico (oltre che quello con le cesoie, inteso, almeno dal punto di vista letterario come differente dalla sforbiciata), quel fenomeno diverrà per sempre "cesoiatura del vento". Se ci aggrada una similitudine diversa, sempre nello stesso ambito del taglio, assumerà invece "quel" nome.
Personalmente, "cesoiamento" mi sembra un po' artificioso.
Non evoca l'oggetto, forse perché il termine è un po' desueto: non uso più "cesoie" e non "cesoio" alcunché, quindi può essere difficile associarlo al concetto di "taglio" come forza agente ma anche come risultato finale di separazione lungo una superficie limite in cui il materiale va a rottura (in definitiva, anche la massa d'aria può essere assimilata a un materiale che sottoposto a sforzi di taglio, viene separato lungo quel piano in due porzioni distinte che si muovono in direzione opposta).
"Tranciamento" mi sembra più trasparente e che dia meglio l'idea di un gradiente di taglio del vento ( o della massa d'aria). Però potrebbe avere uguale diritto di cittadinanza un più pittoresco "sforbiciata", più espressivo del richiamo tecnico alla deformazione di taglio subita dalla massa d'aria. Oppure altri termini analoghi... alla fine, si tratta di trovare un termine condiviso.