
Lungi da qualsiasi polemica - anche se quelle di tipo intellettuale non possono che risultare talora utili vista la grande quantità di "dogmi ingiustificati" in circolazione - mi permetto di osservare l'incongruenza tra l'interesse sincero per un dialetto e l'impulso apparentemente "irrefrenabile" a "restituirne" graficamente la pronuncia secondo le "categorie" e le "convenzioni" della lingua italiana, che sono - evidentemente - "altre".
E non gli appartengono.
In genovese - e mi sono anche dato la pena di chiarire perché - pignuêti ha un solo "t" e la correttezza della rappresentazione grafica aderente alla realtà dialettale non ne richiede altri.
Se si vogliono due "t" occorre ricorrere alla pronuncia settecentesca - pignuretti -.
La variazione pignuêti/gianchetti - che non potrebbe esistere in italiano - è proprio ciò che "costituisce" l' "essenza" di ciò che fu/era il genovese.
Una delle sue caratteristiche - e ben dimostrabili - peculiarità.
Volerla disconoscere soltanto in omaggio a grafie incongrue o a "dogmi" sciocchi che non hanno ragione di esistere - portati avanti da alcuni solo per ostinazione incompetente - equivale a non voler riconoscere l'oggetto di studio di cui ci si occupa.
Occorre partire dall'accettazione della realtà.
Anche se ci si limita ad aspetti lessicali, la fonetica e la fonologia faranno inevitabilmente capolino.
Altrimenti, ci si riduce al ruolo del badante che attesta che l'infermo è sfebbrato senza avergli neppure misurato la temperatura.