«Ovvero» ~ «piuttosto che»
Moderatore: Cruscanti
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Non intendevo discutere sui fenomeni e le dinamiche interne alla lingua inglese, cosa per la quale né ho competenza, né questo è il luogo.
Rimanendo dall'altra parte della Manica, guardavo la cosa in termini meramente di importazione di una combinazione di suoni inedita, che non ha simili nel nostro lessico, e che quindi si presta a indicare un oggetto nuovo.
L'effettivo significato nella lingua di origine - e le sue variazioni nel tempo - credo che a questo livello non abbiano alcuna influenza.
Secondo me il grosso delle parole importate non sono scelte in base al fatto che nella lingua di origine indicano con più precisione un oggetto specifico, bensì che permettono a noi di distinguere fra due tipi di oggetto della medesima categoria, di cui uno nuovo, diverso dai precedenti, e che non possiede una denominazione.
Fra le due strade, inventare una parola italiana adeguata o prenderne di peso una da un'altra lingua, spesso ormai si sceglie la seconda soluzione, perché più comoda e perché - ma sì, ammettiamolo - più alla moda.
Magari si prende un termine che ha il giusto significato nel primo momento che lo si usa, però rapidamente il gruppo di suoni si risemantizza in italiano, andando a coprire le lacune di significante che ne hanno causato l'importazione.
Quindi il discorso si sposta all'interno della nostra lingua, secondo me.
In questo ambito, aprire il portone - che dico, il ponte levatoio - a qualsiasi strafalcione locale diffuso perniciosamente dal giornalista di turno, senza tentare nemmeno una minima resistenza, è deleterio, perché educa la mente a non giocare con le parole, a non essere creativa.
La risemantizzazione è un processo naturale, e come tale richiede tempi lunghi: essa emerge da una selezione naturale dei termini, che tagli le gambe sistematicamente a quelli che sono usi scorretti, sgrammaticature, orrori linguistici.
Solo le parole che resistono strenuamente a tutto ciò, dimostrano di essere "necessarie" nella loro nuova veste.
Non credo che si possa scavalcare questo percorso "naturale".
Il rischio è inizialmente l'appiattimento della lingua su un numero ristretto di termini sempre più polisemici e la perdita della memoria dei numerosi termini presenti per indicare con precisione ogni singola variazione entro una categoria di oggetti.
Il passo successivo è cercare altrove ciò che sembra mancarci, perché riesumare termini "obsoleti" assume aloni politici scomodi, con i quali non abbiamo mai avuto il coraggio di misurarci.
Quello che percepiamo come un uso sbagliato, e che la grammatica dice - per ora - essere sbagliato, mi sembra lecito e doveroso correggerlo e farlo notare a chi parla.
Saranno i posteri, a prenderci in giro, appollaiati sul mucchietto di parole che hanno vinto la loro lotta per cambiare significato.
Rimanendo dall'altra parte della Manica, guardavo la cosa in termini meramente di importazione di una combinazione di suoni inedita, che non ha simili nel nostro lessico, e che quindi si presta a indicare un oggetto nuovo.
L'effettivo significato nella lingua di origine - e le sue variazioni nel tempo - credo che a questo livello non abbiano alcuna influenza.
Secondo me il grosso delle parole importate non sono scelte in base al fatto che nella lingua di origine indicano con più precisione un oggetto specifico, bensì che permettono a noi di distinguere fra due tipi di oggetto della medesima categoria, di cui uno nuovo, diverso dai precedenti, e che non possiede una denominazione.
Fra le due strade, inventare una parola italiana adeguata o prenderne di peso una da un'altra lingua, spesso ormai si sceglie la seconda soluzione, perché più comoda e perché - ma sì, ammettiamolo - più alla moda.
Magari si prende un termine che ha il giusto significato nel primo momento che lo si usa, però rapidamente il gruppo di suoni si risemantizza in italiano, andando a coprire le lacune di significante che ne hanno causato l'importazione.
Quindi il discorso si sposta all'interno della nostra lingua, secondo me.
In questo ambito, aprire il portone - che dico, il ponte levatoio - a qualsiasi strafalcione locale diffuso perniciosamente dal giornalista di turno, senza tentare nemmeno una minima resistenza, è deleterio, perché educa la mente a non giocare con le parole, a non essere creativa.
La risemantizzazione è un processo naturale, e come tale richiede tempi lunghi: essa emerge da una selezione naturale dei termini, che tagli le gambe sistematicamente a quelli che sono usi scorretti, sgrammaticature, orrori linguistici.
Solo le parole che resistono strenuamente a tutto ciò, dimostrano di essere "necessarie" nella loro nuova veste.
Non credo che si possa scavalcare questo percorso "naturale".
Il rischio è inizialmente l'appiattimento della lingua su un numero ristretto di termini sempre più polisemici e la perdita della memoria dei numerosi termini presenti per indicare con precisione ogni singola variazione entro una categoria di oggetti.
Il passo successivo è cercare altrove ciò che sembra mancarci, perché riesumare termini "obsoleti" assume aloni politici scomodi, con i quali non abbiamo mai avuto il coraggio di misurarci.
Quello che percepiamo come un uso sbagliato, e che la grammatica dice - per ora - essere sbagliato, mi sembra lecito e doveroso correggerlo e farlo notare a chi parla.
Saranno i posteri, a prenderci in giro, appollaiati sul mucchietto di parole che hanno vinto la loro lotta per cambiare significato.
Non è punto chiaro, caro Millermann. Sono d'accordo con tutti voi. La mia era un'ironica riposta al commento di marcocurreli: un piuttosto che disgiuntivo non causa danni ad alcuno... Semmai un po' d'acidità di stomaco.Millermann ha scritto:So che siamo fuori tema qui, ma non posso fare a meno di mostrarle questo esempio reale, trovato ieri su un sito:Chiarissimo, vero?un sito di cucina ha scritto:La maionese è una crema leggera che è il perfetto accompagnamento a molti piatti di pesce, piuttosto che salsa fondamentale per ricette come il vitello tonnato o l‘insalata russa.

Anch'io spero che nessuno la regolarizzi. Cercavo solo di capire come mai non ci fosse tutta questa ostilità nei confronti dell'ovvero esplicativo.Millermann ha scritto:Spero proprio che nessuno pensi di "regolarizzare" quest'uso dell'espressione!
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Tornando a bomba…

Dal significato etimologico di «o, oppure», di valore originariamente disgiuntivo, quindi (sia esclusivo [aut] sia inclusivo [vel]), si sviluppa per ovvero quello esplicativo/dichiarativo-correttivo di «ossia», che discende direttamente da quello disgiuntivo-inclusivo, mentre, oggigiorno, il valore disgiuntivo-esclusivo è ormai relegato al registro letterario (e arcaizzante).
Per piuttosto che (anzi, piú tosto che in quest’accezione), invece, si parte da un valore originariamente modale («piú presto/velocemente che»), dal quale, proprio come per l’analogo anziché (anzi che, di valore originariamente temporale: «prima che»), si sviluppa abbastanza naturalmente quello avversativo di «invece di».
Ora, di qui, per arrivare all’odierno abuso disgiuntivo-inclusivo, bisogna (bisognerebbe) fare un ulteriore passaggio attraverso quello disgiuntivo-esclusivo.
Insomma, ovvero rimane una congiunzione disgiuntiva, che, come tutte le congiunzioni disgiuntive italiane, può avere valore sia esclusivo sia inclusivo (e di qui assumere un valore esplicativo, che oggi è per ovvero il piú comune).
Piuttosto che, invece, denota fin dall’inizio una preferenza esclusiva (espressa da quel piú), per cui mal si presta a trasformarsi in congiunzione disgiuntiva, perdipiú inclusiva.
Le hanno già risposto egregiamente altri, in particolare Marco Curreli, ma in definitiva: sí, sono due fenomeni diversi.Ivan92 ha scritto:[L]a sorte ch'è toccata a ovvero, congiunzione disgiuntiva ai primordi e oggi sinonimo di cioè, è simile a quel che sta accadendo a piuttosto che? O sono due fenomeni diversi?

Dal significato etimologico di «o, oppure», di valore originariamente disgiuntivo, quindi (sia esclusivo [aut] sia inclusivo [vel]), si sviluppa per ovvero quello esplicativo/dichiarativo-correttivo di «ossia», che discende direttamente da quello disgiuntivo-inclusivo, mentre, oggigiorno, il valore disgiuntivo-esclusivo è ormai relegato al registro letterario (e arcaizzante).
Per piuttosto che (anzi, piú tosto che in quest’accezione), invece, si parte da un valore originariamente modale («piú presto/velocemente che»), dal quale, proprio come per l’analogo anziché (anzi che, di valore originariamente temporale: «prima che»), si sviluppa abbastanza naturalmente quello avversativo di «invece di».
Ora, di qui, per arrivare all’odierno abuso disgiuntivo-inclusivo, bisogna (bisognerebbe) fare un ulteriore passaggio attraverso quello disgiuntivo-esclusivo.
Insomma, ovvero rimane una congiunzione disgiuntiva, che, come tutte le congiunzioni disgiuntive italiane, può avere valore sia esclusivo sia inclusivo (e di qui assumere un valore esplicativo, che oggi è per ovvero il piú comune).
Piuttosto che, invece, denota fin dall’inizio una preferenza esclusiva (espressa da quel piú), per cui mal si presta a trasformarsi in congiunzione disgiuntiva, perdipiú inclusiva.
Impeccabile e illuminante, come sempre.
Alla luce di quanto spiegato da Infarinato, vorrei provare a riscrivere la frase
"La maionese è una crema leggera che è il perfetto accompagnamento a molti piatti di pesce, piuttosto che salsa fondamentale per ricette come il vitello tonnato o l‘insalata russa ", in questo modo :
La maionese (...), o piuttosto salsa fondamentale (...).
In questo caso il 'piuttosto' segue la congiunzione disgiuntiva 'o', e significa "o meglio".
E si ottiene la quadratura del cerchio.
Alla luce di quanto spiegato da Infarinato, vorrei provare a riscrivere la frase
"La maionese è una crema leggera che è il perfetto accompagnamento a molti piatti di pesce, piuttosto che salsa fondamentale per ricette come il vitello tonnato o l‘insalata russa ", in questo modo :
La maionese (...), o piuttosto salsa fondamentale (...).
In questo caso il 'piuttosto' segue la congiunzione disgiuntiva 'o', e significa "o meglio".
E si ottiene la quadratura del cerchio.

We see things not as they are, but as we are. L. Rosten
Vediamo le cose non come sono, ma come siamo.
Vediamo le cose non come sono, ma come siamo.
- marcocurreli
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Io il cerchio lo lascerei tondo. (Anche perché con una ruota a forma di cerchio quadrato non si andrebbe molto lontano.)Sixie ha scritto:[...] E si ottiene la quadratura del cerchio.
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