Vocalismo tonico nei dialetti meridionali estremi
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Sono d'accordo con lei, caro Valerio, ma il punto è proprio quella regolarità cui lei ha accennato. Giòrno e téma sono parole captate in una recente conversazione. Presumo, anche se non ho la controprova, che la pronuncia sia quella e che sia regolare. Ovviamente dovrei passare più tempo con loro per avere qualche certezza in più. A ogni modo, ieri sera m'è capitato di sentir parlare Nino Frassica in tivvù. Anche lui si comporta grosso modo come i miei due amici: a un certo punto ha detto signòre e poco dopo Vincénzo. Certo, può ben darsi ch'io abbia giudicato erroneamente sulla base delle esperienze del mio orecchio eptavocalico, ma sono convinto che non si trattava d'una vocale oscillante tra [o] e [ɔ] e tra [e] e [ɛ]. Sono sostanzialmente d'accordo con voi: in un sistema fonematicamente pentavocalico potrebbe non esserci una perfetta corrispondenza fonetica. Nel mio caso, però, non c'è un "equo trattamento" delle vocali toniche. Non c'è insomma un unico grado intermedio d'apertura: o sono aperte o sono chiuse. E non capisco perché mai si debba dire mè, ma perché. In quel sistema, anche presupponendo la non perfetta corrispondenza fonetica di cui sopra, l'esito di queste due parole dovrebbe comunque essere lo stesso.
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Appunto… non c’è alcuna contraddizione: tutto torna.Ivan92 ha scritto:A ogni modo, ieri sera m'è capitato di sentir parlare Nino Frassica in tivvù. Anche lui si comporta grosso modo come i miei due amici: a un certo punto ha detto signòre e poco dopo Vincénzo. Certo, può ben darsi ch'io abbia giudicato erroneamente sulla base delle esperienze del mio orecchio eptavocalico, ma sono convinto che non si trattava d'una vocale oscillante tra [o] e [ɔ] e tra [e] e [ɛ].


Dunque, se ho ben capito, i signòre e Vincénzo di Frassica sono in verità /siɲˈɲɔ̝re/ e /vinˈʧɛ̝nʦo/? Mi resta ancora un dubbio: assodato che non si tratta di vere e proprie vocali medio-basse e medio-alte, ma di vocali intermedie, per quale motivo il mio orecchio percepisce un'apertura più accentuata in mè e una meno in perché? Voglio dire, in base a quale criterio, in quel sistema vocalico, si sceglie d'aprire un po' di più o un po' di meno la bocca?
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Carnby ha scritto:valerio_vanni ha scritto:Essendo molto lontani i suoni adiacenti , c'è più spazio di oscillazione verso la chiusura.
I dialetti basso-meridionali non hanno in genere [i, u], bensì [ɪ, ʊ].
Sì, sicuramente le vocali tendono a cadere lì.
Sistemi linguistici penta-/eptavocalici
Ovviamente, il principio di "aspettativa linguistica", se così mi è concesso di sintetizzarlo, esposto da Infarinato non può che essere di guida in questa materia e s'inserisce perfettamente nella "visione canepariana" dei fenomeni linguistici in esame.
Inoltre, va sempre di più tenuta presente la distinzione tra dialetto e lingua.
Intendo dire che oggi (e sempre di più) il sistema pentavocalico "originario" influenza ancora certamente i parlanti, ma non costituisce più un "vincolo linguistico" assoluto.
Risultano fondamentali le influenze della lingua e dei "media". Anche quanto ho scritto s'inserisce perfettamente in un'"ottica canepariana".
Infatti, nel suo Manuale di Pronuncia italiana, il Canepari distingue sempre tra "vocogrammi" relativi all'accento locale marcato e quelli che descrivono un accento meno marcato.
Relativamente alla Sicilia, ad esempio, fornisce tre "vocogrammi", di cui uno relativo all'accento meno marcato.
Che cosa scrive? A pag. 465, "… Nella parte orientale [della Sicilia, Frassica è messinese, aggiunta mia], di solito, sono relativamente meno rari timbri meno aperti [e E, o σ] che, insieme all'articolazione monottongata, contribuiscono all'impressione generale di minor apertura. Va, però, sempre tenuto presente che l'oscillazione c'è, e è mutevole, anche per la stessa persona…".
Nel vocogramma citato compaiono nove vocoidi: /i,u, e,o, E,σ, ɛ,ɔ, a/. Evidentemente, per parlanti che possano essere ricollegati a questo "riferimento", varrebbe /siɲˈɲɔ:re/ o /vinˈʧenʦo/.
Per altro, certamente non "neutri"… - anzi, opposti! -.
Il che conferma l'ascolto effettuato da chi ha avuto a che fare con questo tipo di parlanti ed è ben sintetizzato dal Canepari stesso nella pagina precedente a quella citata: "… L'accento meno marcato, più diffuso (ma non esclusivamente) tra i giovani e, in particolare, tra le ragazze, ha timbri più simili a quelli della pronuncia neutra, però, la distribuzione è, spesso, ben diversa…".
E, spesso, come conferma l'ascolto di chi ha scritto - ma anche la mia esperienza personale - del tutto "idiosincratica"!
Sono stati, infatti, acquisiti "fonemi" non tradizionali, ma essi vengono utilizzati - molte volte e da parte di molti parlanti - secondo criteri del tutto personali.
Sulle "idiosincrasie" di Frassica, ovviamente, non merita dilungarsi . . .
P.S. Per chi fosse "sfegatatamente" appassionato di dialetti – non italiano locale, sia chiaro! – segnalo i vocogrammi riportati dal Canepari nel suo Manuale di Fonetica relativamente al catanzarese, al catanese e al palermitano. Siamo nell'ambito di paradigmi dialettali tradizionali pentavocalici (il palermitano è pure "dittongato" e risulta rappresentativo della Sicilia occidentale), ma è "cibo" per stomaci "allenati".
Inoltre, va sempre di più tenuta presente la distinzione tra dialetto e lingua.
Intendo dire che oggi (e sempre di più) il sistema pentavocalico "originario" influenza ancora certamente i parlanti, ma non costituisce più un "vincolo linguistico" assoluto.
Risultano fondamentali le influenze della lingua e dei "media". Anche quanto ho scritto s'inserisce perfettamente in un'"ottica canepariana".
Infatti, nel suo Manuale di Pronuncia italiana, il Canepari distingue sempre tra "vocogrammi" relativi all'accento locale marcato e quelli che descrivono un accento meno marcato.
Relativamente alla Sicilia, ad esempio, fornisce tre "vocogrammi", di cui uno relativo all'accento meno marcato.
Che cosa scrive? A pag. 465, "… Nella parte orientale [della Sicilia, Frassica è messinese, aggiunta mia], di solito, sono relativamente meno rari timbri meno aperti [e E, o σ] che, insieme all'articolazione monottongata, contribuiscono all'impressione generale di minor apertura. Va, però, sempre tenuto presente che l'oscillazione c'è, e è mutevole, anche per la stessa persona…".
Nel vocogramma citato compaiono nove vocoidi: /i,u, e,o, E,σ, ɛ,ɔ, a/. Evidentemente, per parlanti che possano essere ricollegati a questo "riferimento", varrebbe /siɲˈɲɔ:re/ o /vinˈʧenʦo/.
Per altro, certamente non "neutri"… - anzi, opposti! -.
Il che conferma l'ascolto effettuato da chi ha avuto a che fare con questo tipo di parlanti ed è ben sintetizzato dal Canepari stesso nella pagina precedente a quella citata: "… L'accento meno marcato, più diffuso (ma non esclusivamente) tra i giovani e, in particolare, tra le ragazze, ha timbri più simili a quelli della pronuncia neutra, però, la distribuzione è, spesso, ben diversa…".
E, spesso, come conferma l'ascolto di chi ha scritto - ma anche la mia esperienza personale - del tutto "idiosincratica"!
Sono stati, infatti, acquisiti "fonemi" non tradizionali, ma essi vengono utilizzati - molte volte e da parte di molti parlanti - secondo criteri del tutto personali.
Sulle "idiosincrasie" di Frassica, ovviamente, non merita dilungarsi . . .
P.S. Per chi fosse "sfegatatamente" appassionato di dialetti – non italiano locale, sia chiaro! – segnalo i vocogrammi riportati dal Canepari nel suo Manuale di Fonetica relativamente al catanzarese, al catanese e al palermitano. Siamo nell'ambito di paradigmi dialettali tradizionali pentavocalici (il palermitano è pure "dittongato" e risulta rappresentativo della Sicilia occidentale), ma è "cibo" per stomaci "allenati".
Ultima modifica di Ligure in data mar, 08 mag 2018 15:01, modificato 1 volta in totale.
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Intendevo questo con "la contaminazione potrebbe essere più a monte", parlando degli amici di Ivan92 arrivati da pochi mesi nelle Marche.Ligure ha scritto:Ovviamente, il principio di "aspettativa linguistica", se così mi è concesso di sintetizzarlo, esposto da Infarinato non può che essere di guida in questa materia e s'inserisce perfettamente nella "visione canepariana" dei fenomeni linguistici in esame.
Inoltre, va sempre di più tenuta presente la distinzione tra dialetto e lingua.
Intendo dire che oggi (e sempre di più) il sistema pentavocalico "originario" influenza ancora certamente i parlanti, ma non costituisce più un "vincolo linguistico" assoluto.
Risultano fondamentali le influenze della lingua e dei "media".
Comunque i meccanismi di reinterpretazione possono essere diversi. È possibile quello descritto da Infarinato, per cui una vocale intermedia viene associata a quella diversa dalla propria.
Ma potrebbe aver luogo anche il meccanismo opposto, per cui si tollera la differenza e si associa al proprio suono quello diverso.
Sono meccanismi di ambito psico-linguistico e socio-linguistico, legati alle relazioni tra le persone e alle valutazioni sulle stesse.
Io conosco persone che non si accorgono della notevole differenza di pronuncia con un familiare molto vicino. Lì, secondo me, la vicinanza affettiva porta a mettere in atto un meccanismo di tolleranza piuttosto che di rifiuto.
Re: sistemi linguistici penta/eptavocalici
Ringrazio Lei, caro Ivan, per l'attenzione.
Ho citato il Canepari perché, oltre a "mille" altri motivi, fornisce un quadro d'insieme notevolmente ampio. Riferisce i vocogrammi di un congruo numero di dialetti italiani: ad esempio, il pesarese e il maceratese.
Al meglio di quanto le sue conoscenze (non sempre, inevitabilmente, perfette) e le competenze degl'informatori, oggi non sempre totalmente attendibili, gli consentano.
Ma tratta anche i vocogrammi degli "italiani regionali", tra i quali distingue quelli relativi a un accento che definisce "più marcato" e quelli che rappresentano graficamente una pronuncia meno "tradizionale" e "meno marcata".
Non mi dilungo, inoltre, sull'importanza metodologica ma anche statistica del fatto che tutti questi dati vengano sempre forniti dalla stessa persona, e non certamente da una persona qualsiasi, perché mi sembra ovvio.
Personalmente, ho una grande esperienza diretta di sistemi linguistici e d'individui "pentavocalici". Quand'ero ancora molto piccolo, nella mia città di origine, confluivano a decine di migliaia. Dai grandi magistrati che avevano vinto concorsi fino agl'individui più umili.
Tutti ancora, pur nelle evidenti distinzioni sociali, rigorosamente "pentavocalici". Ma i loro figli frequentarono le scuole – quelle più scalcinate come quelle più prestigiose – insieme con noi. Appresero abbastanza presto. Ricordo benissimo che il "signor maestro" (all'epoca neppure noi si possedeva l'o chiusa, il timbro era ancora uno solo!) gli urlava sul viso: "vèrde/téma, possibile che tu non riesca a sentire la differenza?!".
Sono trascorse le generazioni, siamo attualmente ai nipoti, forse, anche ai pronipoti. Si sono perfettamente integrati. Quando noi abbiamo iniziato a distinguere tra o aperte e chiuse, ci hanno seguito.
E tutte le generazioni che si sono finora succedute con grande rispetto delle tradizioni locali e scarsa consapevolezza dell'esistenza di un possibile livello di linguaggio "neutro" (da nessuno mai usato in città) continuano a pronunciare tranquillamente "vèrde", "téma" e quant'altro. Però, da generazioni, non sono più pentavocalici…
Ho citato il Canepari perché, oltre a "mille" altri motivi, fornisce un quadro d'insieme notevolmente ampio. Riferisce i vocogrammi di un congruo numero di dialetti italiani: ad esempio, il pesarese e il maceratese.
Al meglio di quanto le sue conoscenze (non sempre, inevitabilmente, perfette) e le competenze degl'informatori, oggi non sempre totalmente attendibili, gli consentano.
Ma tratta anche i vocogrammi degli "italiani regionali", tra i quali distingue quelli relativi a un accento che definisce "più marcato" e quelli che rappresentano graficamente una pronuncia meno "tradizionale" e "meno marcata".
Non mi dilungo, inoltre, sull'importanza metodologica ma anche statistica del fatto che tutti questi dati vengano sempre forniti dalla stessa persona, e non certamente da una persona qualsiasi, perché mi sembra ovvio.
Personalmente, ho una grande esperienza diretta di sistemi linguistici e d'individui "pentavocalici". Quand'ero ancora molto piccolo, nella mia città di origine, confluivano a decine di migliaia. Dai grandi magistrati che avevano vinto concorsi fino agl'individui più umili.
Tutti ancora, pur nelle evidenti distinzioni sociali, rigorosamente "pentavocalici". Ma i loro figli frequentarono le scuole – quelle più scalcinate come quelle più prestigiose – insieme con noi. Appresero abbastanza presto. Ricordo benissimo che il "signor maestro" (all'epoca neppure noi si possedeva l'o chiusa, il timbro era ancora uno solo!) gli urlava sul viso: "vèrde/téma, possibile che tu non riesca a sentire la differenza?!".
Sono trascorse le generazioni, siamo attualmente ai nipoti, forse, anche ai pronipoti. Si sono perfettamente integrati. Quando noi abbiamo iniziato a distinguere tra o aperte e chiuse, ci hanno seguito.
E tutte le generazioni che si sono finora succedute con grande rispetto delle tradizioni locali e scarsa consapevolezza dell'esistenza di un possibile livello di linguaggio "neutro" (da nessuno mai usato in città) continuano a pronunciare tranquillamente "vèrde", "téma" e quant'altro. Però, da generazioni, non sono più pentavocalici…
Ultima modifica di Ligure in data mer, 09 mag 2018 20:05, modificato 1 volta in totale.
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