«Sé stesso»
Moderatore: Cruscanti
«Sé stesso»
Per chi si sintonizzasse solo ora, riassunto delle puntate precedenti: guardate qui, qui, qui e qui (e i rimandi a cascata, fra cui questo).
Si diceva che il problema maggiore di questa regola del se stesso è che ci sono sottoregole tendenti all'infinito. E infatti ultimamente vedo uno sproposito di a se stante ma anche solo a se, che dopotutto rispettano perfettamente la filosofia del "in questo caso non c'è dubbio".
Sono forme diffuse solo in Rete (magari solo per non premere un tasto in più) oppure sono normali anche nella letteratura e nella grammatica?
Si diceva che il problema maggiore di questa regola del se stesso è che ci sono sottoregole tendenti all'infinito. E infatti ultimamente vedo uno sproposito di a se stante ma anche solo a se, che dopotutto rispettano perfettamente la filosofia del "in questo caso non c'è dubbio".
Sono forme diffuse solo in Rete (magari solo per non premere un tasto in più) oppure sono normali anche nella letteratura e nella grammatica?
Ultima modifica di Federico in data lun, 10 lug 2006 23:53, modificato 2 volte in totale.
Questo è assodato.Marco1971 ha scritto:Uno scrittore d’oggi che scrivesse *a se o *a se stante passerebbe per un ignorantone...Federico ha scritto:Be', certo: intendevo nella letteratura recente.
Non so se rallegrarmi o sconfortarmi per l'ignavia con cui si traggono le conseguenze dalle affermazioni di principio come "l'accento non si mette dove non c'è dubbio"; ma dopotutto è la dimostrazione che ogni argomentazione a favore di questa tesi è solo una scusa per non modificare un'abitudine inveterata, a prescindere dalle sue origini e giustificazioni.
La mia non era una domanda retorica: anche Fornaciari, nella sua Sintassi del 1881, scrive sè stesso (col grave, allora c’era solo quello) e non ho trovato scritto da nessuna parte in quell’opera quella regola bizantina (se qualcuno la trova, mel dica
); ragion per cui mi domando chi abbia introdotto questa grullaggine.

Le ricerche andrebbero forse concentrate nel periodo in cui si introdusse l'accentazione; è in quel momento che le resistenze all'innovazione devono essere sfociate nella creazione di questa regoletta per contenere i cambiamenti (o forse machiavellicamente si pensò di costruire una regola tanto assurda e ipertrofica da far crollare tutto l'edificio del sé accentato? Viva la fantascienza!).
Che possa essere d'aiuto la consultazione dei libri indicati nella bibliografia di questa scheda?
A parte l’articolo di Alfonso Leone, ho tutti gli altri e non v’è cenno alcuno alla paternità della distinzione. Persisto a credere a una regola scolastica tramandatasi di libro in libro e ritenuta vangelo dagl’insegnanti (chissà perché cosí tanta attenzione a un simile particolare e cosí poca alla fonetica, per esempio).
Be', mi sembra che si preferisca sempre la lectio difficilior, e non solo nella pronuncia; date due regole, una complicatissima e l'altra semplicissima, sembra naturale propendere per la prima sdegnando l'altra in quanto “semplificazione”, che equivale a “peggioramento”, cedimento corrivo alle pretese degli indolenti alunni, a spese della qualità dell'insegnamento.Marco1971 ha scritto:una regola scolastica tramandatasi di libro in libro e ritenuta vangelo dagl’insegnanti…
Si veda ad esempio questo aneddoto in cui mi sono imbattuto: l'insegnante si schermisce e allo stesso tempo si vanta dicendo che propende per la forma se stesso in quanto purista.
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