«Bisogna sentire parlare»: analisi del periodo

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MarMar
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«Bisogna sentire parlare»: analisi del periodo

Intervento di MarMar »

Buongiorno a tutti.
Mi sono appena iscritta, perché vorrei sottoporre ad esperti un quesito posto da un mio studente.
Come si analizza sintatticamente un periodo quale "bisogna sentire parlare più spesso di questo argomento"? I due infiniti sono due subordinate? Soggettive entrambe? "Sentire" di I grado e "parlare" di II?
Grazie a chiunque vorrà contribuire a fare luce sul quesito.
Daphnókomos
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Re: «Bisogna sentire parlare»: analisi del periodo

Intervento di Daphnókomos »

Bisogna = prop. principale
sentire = prop. sub. di I grado, soggettiva (perché dipende da un verbo impersonale, cioè bisogna)
parlare più spesso di questo argomento = prop. sub. di II grado, oggettiva (perché dipende da un verbo di percezione, cioè sentire)
codino94
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Re: «Bisogna sentire parlare»: analisi del periodo

Intervento di codino94 »

A differenza di "bisogna" che deve per forza essere anteposto, volendo parafrasare, "è necessario" invece può andare anche alla fine: è necessario sentire parlare più spesso di questo argomento/sentire parlare più spesso di quest'argomento è necessario.
Avatara utente
Marco1971
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Re: «Bisogna sentire parlare»: analisi del periodo

Intervento di Marco1971 »

Sí, è vero, ma non c’entra nulla col quesito iniziale, che riguardava soltanto l’analisi logica della frase. È buona norma astenersi dall’intervenire fuori tema, ossia inutilmente. Grazie.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
MarMar
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Re: «Bisogna sentire parlare»: analisi del periodo

Intervento di MarMar »

Grazie a Daphnokomos per la risposta, ma mi rimane una perplessità: se il verbo di percezione è usato impersonalmente non regge una soggettiva? In una frase come "si sente parlare", l'infinito funge da soggetto, no? Pensavo che nell'esempio proposto dal mio allievo, essendo "Bisogna" impersonale e "sentire" a sua volta privo di soggetto, l'infinito retto da quest'ultimo fosse soggetto e non oggetto.
codino94
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Re: «Bisogna sentire parlare»: analisi del periodo

Intervento di codino94 »

"Parlare [è qualcosa che] si sente".
Ultima modifica di codino94 in data dom, 10 mag 2020 19:59, modificato 1 volta in totale.
Daphnókomos
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Re: «Bisogna sentire parlare»: analisi del periodo

Intervento di Daphnókomos »

MarMar ha scritto: sab, 09 mag 2020 9:15 Pensavo che nell'esempio proposto dal mio allievo, essendo "Bisogna" impersonale e "sentire" a sua volta privo di soggetto, l'infinito retto da quest'ultimo fosse soggetto e non oggetto.
Se "sentire" diventasse una subordinata esplicita, il soggetto ci sarebbe: "Bisogna che tutti sentano parlare più spesso di questo argomento".
Quindi "parlare" fa da complemento oggetto rispetto al verbo "sentire".
Avatara utente
Infarinato
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Re: «Bisogna sentire parlare»: analisi del periodo

Intervento di Infarinato »

Daphnókomos ha scritto: sab, 09 mag 2020 16:52 Se "sentire" diventasse una subordinata esplicita, il soggetto ci sarebbe: "Bisogna che tutti sentano parlare più spesso di questo argomento".
…Oppure no: Bisogna che si senta parlare piú spesso di questo argomento. :P

(Bel mi’ Serianni! :roll:)
Daphnókomos
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Re: «Bisogna sentire parlare»: analisi del periodo

Intervento di Daphnókomos »

Il verbo all'infinito "sentire" racchiude un soggetto generico che deve sentire più spesso qualcosa, e il verbo all'infinito "parlare" racchiude l'oggetto su cui deve ricadere più spesso il "sentire", e cioè qualcuno che parla, o le parole di qualcuno, a proposito di questo determinato argomento.
Un periodo quale "non bisogna pensare di aver sempre ragione" si analizza nella stessa identica maniera, perché "non deve pensarlo, chi pensa questo".
Ultima modifica di Daphnókomos in data lun, 11 mag 2020 10:13, modificato 1 volta in totale.
Dario G
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Re: «Bisogna sentire parlare»: analisi del periodo

Intervento di Dario G »

Daphnókomos ha scritto: dom, 10 mag 2020 16:24 Il verbo all'infinito "sentire" racchiude un soggetto generico che deve sentire più spesso qualcosa, e il verbo all'infinito "parlare" racchiude l'oggetto su cui deve ricadere più spesso il "sentire", e cioè qualcuno che parla, o le parole di qualcuno, a proposito di questo determinato argomento.
Un periodo quale "non bisogna pensare di aver sempre ragione" si analizza nella stessa identica maniera, perché "non deve pensarlo, chi pensa questo".
La semantica non c’entra. :wink:
Nel periodo Pensa di aver sempre ragione, la subordinata ha natura oggettiva, ma nel periodo Si pensa di aver sempre ragione ha natura soggettiva poiché dipende da una costruzione impersonale.
Il criterio per l'analisi del periodo proposto da MarMar non può essere che quello indicato da Infarinato.
Avatara utente
Infarinato
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Re: «Bisogna sentire parlare»: lezioncina di analisi logica

Intervento di Infarinato »

MarMar ha scritto: ven, 08 mag 2020 15:09 Come si analizza sintatticamente un periodo quale "bisogna sentire parlare più spesso di questo argomento"?
Temo che le risposte date in questo filone abbiano lasciato la nostra nuova utente un po’ con l’amaro in bocca, come, in verità, spesso accade quando si parla d’analisi logica.

A tal proposito, non mi stanco mai di citare le sagge parole di Luca Serianni, affinché siano sempre ben chiari i limiti di questo tipo d’analisi. È per questo che i moderatori di questo fòro raramente intervengono per rispondere a quesiti di questa natura. E in effetti non siamo intervenuti dopo la risposta di Daphnókomos, che poteva andar bene cosí: solo quando sono stati sollevati dubbi tassonomici al riguardo, non ho saputo resistere alla tentazione di evidenziare l’«indecidibilità» che spesso si accompagna a tali tentativi classificatòri.

Intendiamoci: l’analisi logica non è sempre fine a sé stessa o solo utile a tradurre dalle (o nelle) lingue classiche (anche se da ciò trae la sua origine). Classificare sintagmi e costrutti può essere molto utile per comprendere il funzionamento d’una lingua, cosa sia grammaticale e cosa no, quali proprietà condivida un gruppo particolare di verbi rispetto a un altro gruppo simile ma diverso. In tema con la nostra discussione, si veda ad esempio la trattazione dei verbi di percezione (o «percettivi») dell’Enciclopedia dell’italiano Treccani: le differenze coi verbi estimativi e con la costruzione causativa, il tipo d’infinitiva da essi retti (…sarà una caso che si parli d’«infinitive» e non di «oggettive» o «soggettive» [implicite]? ;) Ci torneremo).

Ma veniamo alla nostra frase [complessa], o periodo: la prenderò piuttosto larga, anche andando temporaneamente «fuori fòro», ma credo che in questo caso sia istruttivo per chiarire l’àmbito (e i relativi limiti) di questo tipo d’analisi.

Innanzitutto, la frase non è delle piú felici: abbiamo un verbo d’obbligo, bisogna, che regge un verbo percettivo, sentire, il cui soggetto non ha mai un «ruolo semantico» d’agente, sibbene d’esperiente. Come si fa a imporre a qualcuno di «sentire»? Al massimo, gli si può imporre d’«ascoltare» o di «andare a sentire». Intendiamoci: questo aspetto semantico è irrilevante ai fini dell’analisi della struttura sintattica del periodo in questione, ma lo rende molto marginale, ai limiti dell’agrammaticalità, rendendocelo cosí di meno immediata decifrazione.

Un’altra cosa che dobbiamo sempre ricordarci di fare in analisi logica è diffidare delle presunte equivalenze e delle altrettanto presunte ellissi: dobbiamo analizzare la frase che abbiamo davanti, punto. «Rigirare» una frase, integrarla di elementi [che si presume] sottintesi, trasformare un costrutto da implicito in esplicito, un verbo da attivo a passivo (o viceversa) può essere utile per comprendere la particolare formulazione cui ci troviamo difronte, ma è quest’ultima che dobbiamo analizzare, non i suoi [presunti] equivalenti. Cosí come il topo è mangiato dal gatto è semanticamente equivalente, ma non sintatticamente [né pragmaticamente] equivalente a il gatto mangia il topo, cosí bisogna sentir parlare, sebbene semanticamente equivalente sia a bisogna che tutti sentiamo parlare sia a bisogna che si senta parlare, non è ad essi sintatticamente equivalente, e il suo svolgimento in forma esplicita (fra l’altro ambiguo, «indecidibile», come in questo caso) non ci aiuta [ad analizzare sintatticamente la frase di partenza]. ;)

Un altro punto da tener presente è che l’analisi logica è un’analisi rigorosamente sincronica. Considerare un particolare costrutto in diacronia può essere utile a comprendere meglio la sua attuale struttura sintattica, ma nulla possiamo dedurre riguardo a quest’ultima dalla struttura che il costrutto aveva nei secoli scorsi, per non parlare di quella dell’equivalente costrutto della lingua madre. Tuttavia, abbiamo detto che l’analisi logica nasce per facilitare la traduzione dalle lingue classiche, quindi non pare inopportuno vedere se il confronto col latino non ci offra magari degli spunti interessanti.

La questione si riduce quindi a questo: ci sono, in latino, dei criteri formali per stabilire se l’infinitiva retta, ad esempio, da un oportet («bisogna / è opportuno») possa a sua volta considerarsi la reggente di un’oggettiva anziché di una soggettiva e, se esistono, ci aiuta questo a individuare analoghi criteri per l’italiano?

Prendiamo due frasi del classico per eccellenza, Cicerone: hoc fieri et oportet et opus est (Att. 13, 25, 1: «è opportuno e d’uopo [endiadi] far ciò» [lett. «essere fatto», cioè «che sia fatto / che si faccia»]); nec mediocre telum ad res gerendas existimare oportet benevolentiam civium (Lael. 17, 61: «né bisogna considerare la benevolenza dei cittadini mezzo inadeguato alla gestione dei nostri affari»). Vediamo, quindi, che in latino si usa indifferentemente l’infinito passivo o quello attivo a seconda che si voglia mettere in evidenza il soggetto o l’oggetto dell’infinitiva, esattamente come si farebbe in italiano nelle succitate frasi del gatto e del topo. Potremmo quindi ragionevolmente classificare come «soggettiva» un’infinitiva dipendente da un’infinitiva retta da oportet nel caso in cui in quest’ultima figurasse un infinito passivo, come «oggettiva» quando l’infinitiva sovraordinata contenesse invece un infinito attivo… E in italiano?

Il confronto col latino ci permette di stabilire che un analogo criterio formale per l’italiano non esiste. Infatti, l’infinito passivo non è possibile (bisogna fare ciò, ma *bisogna essere fatto ciò; bisogna sentire qualcosa, ma *bisogna essere sentito qualcosa: bisogna essere fatti e bisogna essere sentiti sono ovviamente possibili, ma non ammettono altro soggetto da quello impersonale, da un «noi logico»), mentre il passivo è ovviamente possibile nel costrutto esplicito: bisogna che ciò sia fatto e bisogna che qualcosa sia sentito sono altrettanto grammaticali che un bisogna che facciamo ciò e un bisogna che sentiamo qualcosa, rispettivamente.

Quanto all’infinito col «si passivo» (o «passivante»), esso è categoricamente escluso, essendo possibile solo nella «costruzione a sollevamento» (possono trovarsi nuovi reperti), nella costruzione latineggiante di accusativus cum infinitivo (ritengo essersi speso troppo), [facoltativamente] dopo un da retto da aggettivo (un libro piacevole da leggersi) o nella relativizzazione di un oggetto in una relativa infinitiva (cerco un libro da leggersi in treno) {su tutto questo si veda Giampaolo Salvi, «La frase semplice», in L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti (a cura di), Grande Grammatica Italiana di Consultazione, Bologna, «Il Mulino», 2001, vol. I, 37–127, § I.6.3.1, pp. 117–9, da cui sono tratti tutti gli esempi}. Quindi, sebbene costrutti espliciti quali bisogna che si faccia ciò e bisogna che si senta qualcosa siano, come ben sappiamo, perfettamente grammaticali, *bisogna farsi ciò (nel senso di «essere fatto») e *bisogna sentirsi qualcosa (nel senso di «essere sentito») sono impossibili.

Potremmo quindi legittimamente sostenere che, in assenza d’un tale criterio formale, in frasi come quella da cui siamo partiti (bisogna sentire parlare piú spesso di questo argomento) non è possibile caratterizzare ulteriormente l’infinitiva retta dalla soggettiva di primo grado (sentire).

Tuttavia, possiamo ancor piú ragionevolmente asserire che, poiché l’infinito della sovraordinata è un infinito attivo (e non sono possibili —con quel significato— né l’infinito passivo né l’infinito col si passivo), tale infinitiva (parlare piú spesso di questo argomento) dev’essere un’oggettiva, come nell’interpretazione originaria di Daphnókomos (e probabilmente della stragrande maggioranza delle grammatiche tradizionali). Questa è in effetti anche l’interpretazione piú economica. :)

Rimane forse un ultimo dubbio da chiarire: se davvero quell’infinitiva di 2º grado è un’oggettiva, qual è il soggetto [sintattico] di sentire? La risposta è semplice: non c’è. ;) Come non c’è Il soggetto di fare in bisogna fare qualcosa o di mangiare in bisogna mangiare, frasi entrambe perfettamente grammaticali. E, se per la prima frase potremmo ipotizzare un’equivalenza con bisogna che sia fatto qualcosa, ricominciando cosí tutto il discorso daccapo (discorso che ha dimostrato come tale ipotesi non porti a una conclusione soddisfacente), per la seconda bisogna per forza rassegnarsi al fatto che un vero soggetto sintattico non ci sia. D’altra parte, l’infinito è un modo non finito del verbo, il cui soggetto (nelle subordinate) è generalmente «coreferente» (:? cioè rimanda allo stesso designato) con quello della reggente, ma che formalmente non esiste. In fa freddo senza nevicare si può presumere che il soggetto vuoto [∅] di nevicare sia lo stesso di fa freddo (e infatti non sono possibili frasi con designati diversi come *si trattava di neve senza tuttavia far freddo, appetto alla grammaticale si trattava di neve senza che tuttavia facesse freddo, in cui l’obbligo di coreferenza non sussiste per il costrutto esplicito: cfr. Salvi, op. cit., p. 64).

Ma in bisogna fare qualcosa, bisogna mangiare, il soggetto di bisogna è l’infinitiva stessa, il cui soggetto non può evidentemente essere lo stesso della principale. Sul piano logico, peraltro, la frase non presenta alcuna ambiguità interpretativa: il soggetto dell’infinitiva è un noi generico.
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