[xCRA] «Quatrano» (parlata aquilana)
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[xCRA] «Quatrano» (parlata aquilana)
http://www.bartolomeodimonaco.it/online/?p=1440 (alla fine).
A L'Aquila i ragazzini si chiamano ''quatrani'', dal latino ''quatranus'', lo scolaro che va in fila per quattro.
Colgo l'occasione per ricordare Panfilo Gentile, grande aquilano.
A L'Aquila i ragazzini si chiamano ''quatrani'', dal latino ''quatranus'', lo scolaro che va in fila per quattro.
Colgo l'occasione per ricordare Panfilo Gentile, grande aquilano.
- LinguisticaMente
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Re: [xCRA] «Quatrano» (parlata aquilana)
Gentile Andrea, nella zona in cui abito (Alto Casertano), tale termine è sconosciuto, come lo sono anche i termini napoletani di guaglione e guagliona (usati per intendere, rispettivamente, il ragazzo e la ragazza). Essi sono resi da vaglione (vagliòne) e vagliola (vaglióla), che però richiamano foneticamente i termini napoletani appena citati. Tuttavia, so che in qualche paese limitrofo a Caserta il termine dialettale che corrisponde a ragazza è quadrana.Andrea D'Emilio ha scritto:A L'Aquila i ragazzini si chiamano ''quatrani'', dal latino ''quatranus'', lo scolaro che va in fila per quattro.
Mi era sconosciuta l'etimologia di tale termine e la ringrazio per averla fornita.

Molto interessante. Tra l'altro credo che ogni lingua abbia un repertorio praticamente infinito per nominare i ragazzi o i giovani in genere. Per esempio in genovese:
figgeu /fi’dZø :/
figgeua /fi’dZø :a/, figgia /’fidZa/, figgetta /fi’dZeta/ (“ragazza”)
bagarillo /baga’rilu/ (questo più vicino all’italiano “marmocchio”)
gardetto /gar’detu/
garson /gar’suN/
bardasciamme /barda’Same/
bagasceu /baga’Sø:/
foento /’fweNtu/ e fante /’faNte/, usati soprattutto in Riviera e nell’entroterra
...e chissà quanti altri che ora non mi sovvengono

figgeu /fi’dZø :/
figgeua /fi’dZø :a/, figgia /’fidZa/, figgetta /fi’dZeta/ (“ragazza”)
bagarillo /baga’rilu/ (questo più vicino all’italiano “marmocchio”)
gardetto /gar’detu/
garson /gar’suN/
bardasciamme /barda’Same/
bagasceu /baga’Sø:/
foento /’fweNtu/ e fante /’faNte/, usati soprattutto in Riviera e nell’entroterra
...e chissà quanti altri che ora non mi sovvengono

- Ferdinand Bardamu
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Nell'accezione 'apprendista' travalica alla grande. Pure in Liguria ha lo stesso significato.Ferdinand Bardamu ha scritto:In veronese: butelo/butel («ragazzo»), con il diminutivo butin («bambino») e buteleto («ragazzino»). Poi c’è bocia, che vale sia «bambino» sia «apprendista» (la voce credo travalichi i confini del Veronese e del Veneto: ne ho sentito esempi, nell’accezione di apprendista, anche in Trentino).
Circa quatraro o quatrano, mi risulta che il senso sia un altro: colui che va a quattro zampe, quindi il bambino.
E' vero che dopo i due anni non si va più a quattro zampe, ma in genere i termini per "ragazzo" e "ragazza" sono legati a caratteristiche dell'infanzia indipendentemente dal fatto che i soggetti così indicati abbiano tali caratteristiche. In molti dialetti del sud "ragazzo" si dice caroso o caruso, che vuol dire "sbarbato", anche se ci si riferisce a giovani non più imberbi. Nella Lombardia occidentale "ragazza" si dice tosa (leggi: tusa), che viene da tondere, quindi significa "rasata, sbarbata". Va da sé che le donne non hanno bisogno di essere giovani per non avere la barba e tra l'altro "ragazzo" si dice fioeu, cioè figliuolo, quindi paradossalmente il termine legato alla comparsa della barba riguarda solo le donne, benché in origine sarà esistito anche il maschile.
E' vero che dopo i due anni non si va più a quattro zampe, ma in genere i termini per "ragazzo" e "ragazza" sono legati a caratteristiche dell'infanzia indipendentemente dal fatto che i soggetti così indicati abbiano tali caratteristiche. In molti dialetti del sud "ragazzo" si dice caroso o caruso, che vuol dire "sbarbato", anche se ci si riferisce a giovani non più imberbi. Nella Lombardia occidentale "ragazza" si dice tosa (leggi: tusa), che viene da tondere, quindi significa "rasata, sbarbata". Va da sé che le donne non hanno bisogno di essere giovani per non avere la barba e tra l'altro "ragazzo" si dice fioeu, cioè figliuolo, quindi paradossalmente il termine legato alla comparsa della barba riguarda solo le donne, benché in origine sarà esistito anche il maschile.
In Toscana prevale il tipo ragazzo (che sembra derivi dall'arabo magrebino raqqas, ma resta il problema della diffusione di questo presunto arabismo); dallla consultazione dell'AIS si nota anche una sovrapposizione con i tipi bambino (toscano centrale) e bimbo (toscano occidentale) riservati di solito ai più piccoli; in Toscana meridionale è frequente citto mentre sulla montagna pistoiese spunta un fancillo, forma vernacola di fanciullo. A confine con il Lazio compaiono i tipi non-toscani monello (munellu) e tiarella; in Lunigiana, ovviamente, forme settentrionali come fiö e fiöla.
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Di solito: almeno qui a Pisa è frequente soprattutto (se non esclusivamente) al femminile. Quindi si può sentir dire le bimbe (riferendosi quindi a ragazze, adolescenti, specialmente quando formano un gruppo), ma credo sia raro (se non – ripeto – inesistente) i bimbi, sempre per riferirsi ai ragazzi.Carnby ha scritto:bimbo (toscano occidentale) riservati di solito ai più piccoli
Una volta con un gruppo di ragazzi di altre regioni d'Italia (non mi ricordo se nello specifico erano settentrionali o meridionali, ma forse del Nord) chiesi dov'erano «le bimbe», al che mi guardarono male, e le ragazze in questione se la presero...
- marcocurreli
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Nella fascia pedemontana fra Bergamo e Brescia sento usare gnaro/gnara (con gn nasale palatale), che invece non mi sembra si usi a Bergamo e nelle sue valli, nè ho mai sentito dai nonni della Val Sabbia (BS). Non so però quali siano i confini del termine, se sia originario della Pianura o cos'altro.
In Lucchesia si usa anche il termine "bamboretto", ma più che altro in senso dispregiativo:
"Ma 'un ti ci confonde con lu 'llà; 'un lo vedi che è un bamboretto?"
"No, no. 'Un mi ci garba punto, è sempre pieno di bamboretti lammiosi e antepati!"
Cordialità.
"Ma 'un ti ci confonde con lu 'llà; 'un lo vedi che è un bamboretto?"
"No, no. 'Un mi ci garba punto, è sempre pieno di bamboretti lammiosi e antepati!"
Cordialità.
...un pellegrino dagli occhi grifagni
il qual sorride a non so che Gentucca.
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Re: [xCRA] «Quatrano» (parlata aquilana)
A proposito di quatrano ho trovato un'altra spiegazione.
Nel periodo della dominazione spagnola a L'Aquila la mortalità infantile era elevata e la registrazione dei nuovi nati avveniva solo per i bambini che avevano compiuto 4 anni d'età.
In spagnolo "quatro anos" , di qui quatrano...non lo so potrebbe essere?
Nel periodo della dominazione spagnola a L'Aquila la mortalità infantile era elevata e la registrazione dei nuovi nati avveniva solo per i bambini che avevano compiuto 4 anni d'età.
In spagnolo "quatro anos" , di qui quatrano...non lo so potrebbe essere?
Re: [xCRA] «Quatrano» (parlata aquilana)
Dal momento che la voce compare, ad es., anche nel casertano, occorrerebbe una spiegazione che - ovviamente - potesse prescindere da vicende esclusivamente aquilane.
Essendo, inoltre, una voce chiaramente dialettale - al di là delle dominazioni politiche - è molto poco probabile che il popolo aquilano e quello casertano (al di là dell'effettiva possibilità d'acquisizione di prestiti di singole parole) padroneggiassero la lingua castigliana, se pure in espressioni alquanto semplici, a un livello tale da coniare formazioni del genere.
Anzi, è da escludersi.
Certamente nessuno - dal più umile poveraccio fino all'aristocratico più sofisticato - avrebbe mai fatto ricorso a un "ispanismo" per esprimere una metrica così banale (4 anni). Quale bisogno ce ne sarebbe mai stato?
Faccio, per altro, notare che "quatro" è portoghese, non castigliano (o spagnolo). In castigliano la grafia è "cuatro". Cambia la scrizione, ma cambia pure la pronuncia. Analogamente vale per "ano/anos", che non significa certamente "anno/anni". Anche in questo caso cambia la grafia, la pronuncia e - soprattutto - il significato.
Ma se si trattasse di "años", ciò che pare assai più ragionevole che di "anos" (!), per altro, la pronuncia non tornerebbe ... mentre, ovviamente, una formazione lessicale fondata su "ano/anos" sarebbe chiaramente da escludersi ...
P.S.: inoltre, nella tradizione popolare italiana, voci che facessero un riferimento preciso all'età non venivano attribuite ai bambini, ma - tipicamente - ad animali d'allevamento quali, ad es., pecore o capre (anche questo dato del contesto tradizionale andrebbe preso adeguatamente in considerazione).
Ma il nome assegnato, ad es., alla pecora di due anni non giunse mai a indicare l'animale pecora in generale. Il significato che s'intendeva comunicare ne sarebbe stato - inevitabilmente - "distorto".
In nessun linguaggio popolare si sarebbe mai nominata mediante un numero d'anni specifico una fascia giovanile della popolazione caratterizzata da un ampio intervallo d'età.
P.P.S.: Ciò che - metodologicamente - andava detto è stato detto. Rimango - per altro - sempre accorato quando mi rendo conto che si attribuiscono ai parlanti di un tempo illogicità totali, che nessuna collettività sociale umana avrebbe mai partorito. Si trattava di parlanti - in realtà - certamente dotati di buon senso, in contatto con la realtà e totalmente adeguati alle condizioni del contesto sociale e storico in cui vivevano. Dei nostri antenati. Se fossero stati così sconclusionati e "bizzarri", non sarebbero neppure stati in grado di "riprodursi" e provvedere opportunamente alla prole e noi - come Darwin insegna - non saremmo qui a parlare. Mi sono "sgolato" a chiarire - per l'ennesima volta - il concetto, ma gli studiosi devono essere più sintetici e "tranchants".
Nel merito, cioè in relazione ai tentativi di para-etimologie del tipo di quella analizzata, Francesco Avolio - nell'articolo intitolato Osservazioni sull’«Alfabeto Aquilano», che comparve nel numero del novembre 2015 della rivista linguistica Italienisch - parla - senza mezzi termini - di "leggenda metropolitana" e, inoltre, riferisce varianti della voce in esame, che mostrano - come ho già scritto - l'impossibiltà di un qualsiasi tipo di derivazione da "ano" (!!!) - ovviamente -, come pure da "año".
Infatti, l'Autore scrive: " Alla lettera Q (altra lettera «difficile», ma non in questo caso) c’è un Quatrà!, di cui è stata riprodotta in basso anche la variante non apocopata Quatrano, che vuol dire ‘ragazzo’. È un’altra delle parole «bandiera» dell’aquilano: dialetti anche molto vicini usano infatti altri sinonimi, da bardascio (particolarmente diffuso in Umbria e nelle Marche) a vajjóne (già in alcune frazioni aquilane, spesso usato anche come richiamo), da monéllu (Rieti e dintorni, Sabina) a cìtulu, cìturu (Leonessano, Teramano, che però spesso significa anche ‘bambino’) ecc., mentre varianti come quatralə, quatrarə, cotraru e simili si ritrovano anche, a tratti, più a Sud, dall’Abruzzo chietino fino alla Calabria . Una «leggenda metropolitana» piuttosto diffusa vuole che sia un ispanismo, da cuatro años, etimologia anche foneticamente impossibile (la nasale palatale non si perde così facilmente) . Restano però sul tappeto varie ipotesi, tra cui quella da un lat . volgare quadrum, pl . quadra, sinonimo di frustum‘pezzo, pezzetto’, o, anche, da *quadralis, *quadranus (erede del classico quadrans) ‘del valore di una quarta parte’ e quindi ‘ragazzo piccolo’, o ancora da quadrarius ‘quadrato, robusto’ . È possibile che ciascuna delle varianti meridionali oggi attestate possa continuare una di queste specifiche basi latine, ma non si può escludere, comunque, neppure una connessione o un incrocio con il longobardo wahtari ‘guardiano’, che in italiano ha dato (s)guattero."
Essendo, inoltre, una voce chiaramente dialettale - al di là delle dominazioni politiche - è molto poco probabile che il popolo aquilano e quello casertano (al di là dell'effettiva possibilità d'acquisizione di prestiti di singole parole) padroneggiassero la lingua castigliana, se pure in espressioni alquanto semplici, a un livello tale da coniare formazioni del genere.
Anzi, è da escludersi.
Certamente nessuno - dal più umile poveraccio fino all'aristocratico più sofisticato - avrebbe mai fatto ricorso a un "ispanismo" per esprimere una metrica così banale (4 anni). Quale bisogno ce ne sarebbe mai stato?
Faccio, per altro, notare che "quatro" è portoghese, non castigliano (o spagnolo). In castigliano la grafia è "cuatro". Cambia la scrizione, ma cambia pure la pronuncia. Analogamente vale per "ano/anos", che non significa certamente "anno/anni". Anche in questo caso cambia la grafia, la pronuncia e - soprattutto - il significato.
Ma se si trattasse di "años", ciò che pare assai più ragionevole che di "anos" (!), per altro, la pronuncia non tornerebbe ... mentre, ovviamente, una formazione lessicale fondata su "ano/anos" sarebbe chiaramente da escludersi ...
P.S.: inoltre, nella tradizione popolare italiana, voci che facessero un riferimento preciso all'età non venivano attribuite ai bambini, ma - tipicamente - ad animali d'allevamento quali, ad es., pecore o capre (anche questo dato del contesto tradizionale andrebbe preso adeguatamente in considerazione).
Ma il nome assegnato, ad es., alla pecora di due anni non giunse mai a indicare l'animale pecora in generale. Il significato che s'intendeva comunicare ne sarebbe stato - inevitabilmente - "distorto".
In nessun linguaggio popolare si sarebbe mai nominata mediante un numero d'anni specifico una fascia giovanile della popolazione caratterizzata da un ampio intervallo d'età.
P.P.S.: Ciò che - metodologicamente - andava detto è stato detto. Rimango - per altro - sempre accorato quando mi rendo conto che si attribuiscono ai parlanti di un tempo illogicità totali, che nessuna collettività sociale umana avrebbe mai partorito. Si trattava di parlanti - in realtà - certamente dotati di buon senso, in contatto con la realtà e totalmente adeguati alle condizioni del contesto sociale e storico in cui vivevano. Dei nostri antenati. Se fossero stati così sconclusionati e "bizzarri", non sarebbero neppure stati in grado di "riprodursi" e provvedere opportunamente alla prole e noi - come Darwin insegna - non saremmo qui a parlare. Mi sono "sgolato" a chiarire - per l'ennesima volta - il concetto, ma gli studiosi devono essere più sintetici e "tranchants".
Nel merito, cioè in relazione ai tentativi di para-etimologie del tipo di quella analizzata, Francesco Avolio - nell'articolo intitolato Osservazioni sull’«Alfabeto Aquilano», che comparve nel numero del novembre 2015 della rivista linguistica Italienisch - parla - senza mezzi termini - di "leggenda metropolitana" e, inoltre, riferisce varianti della voce in esame, che mostrano - come ho già scritto - l'impossibiltà di un qualsiasi tipo di derivazione da "ano" (!!!) - ovviamente -, come pure da "año".
Infatti, l'Autore scrive: " Alla lettera Q (altra lettera «difficile», ma non in questo caso) c’è un Quatrà!, di cui è stata riprodotta in basso anche la variante non apocopata Quatrano, che vuol dire ‘ragazzo’. È un’altra delle parole «bandiera» dell’aquilano: dialetti anche molto vicini usano infatti altri sinonimi, da bardascio (particolarmente diffuso in Umbria e nelle Marche) a vajjóne (già in alcune frazioni aquilane, spesso usato anche come richiamo), da monéllu (Rieti e dintorni, Sabina) a cìtulu, cìturu (Leonessano, Teramano, che però spesso significa anche ‘bambino’) ecc., mentre varianti come quatralə, quatrarə, cotraru e simili si ritrovano anche, a tratti, più a Sud, dall’Abruzzo chietino fino alla Calabria . Una «leggenda metropolitana» piuttosto diffusa vuole che sia un ispanismo, da cuatro años, etimologia anche foneticamente impossibile (la nasale palatale non si perde così facilmente) . Restano però sul tappeto varie ipotesi, tra cui quella da un lat . volgare quadrum, pl . quadra, sinonimo di frustum‘pezzo, pezzetto’, o, anche, da *quadralis, *quadranus (erede del classico quadrans) ‘del valore di una quarta parte’ e quindi ‘ragazzo piccolo’, o ancora da quadrarius ‘quadrato, robusto’ . È possibile che ciascuna delle varianti meridionali oggi attestate possa continuare una di queste specifiche basi latine, ma non si può escludere, comunque, neppure una connessione o un incrocio con il longobardo wahtari ‘guardiano’, che in italiano ha dato (s)guattero."
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