Volevo chiedere, al riguardo, come dobbiamo intendere troncamenti regionali del tipo /dotto̍(*)/, /professo̍(*)/, /preto̍(*)/, /padro̍(*)/ (non essendoci un uso "normale" stabilizzato, trascritti ora con l'apostrofo ora con l'accento: preto', signó: v. la Grammatica italiana di Serianni, § I.99) in relazione all'italiano normale di base toscana. Forme aliene, assimilabili a forestierismi (come /robo̍(*)/ robot, ecc., quindi eventualmente da correggere in dottò, professò, ecc., con /-ɔ̍(*)/; cfr. burò), o forme "accettabili" così come sono?

Un toscano, incontrandole in un testo scritto (segnate coll'apostrofo, in modo da non essere influenzato dalla "pendenza" dell'accento), come le pronuncerebbe?