
Prostesi
71. La prostesi è il fenomeno per il quale una parola assume in posizione iniziale un elemento non etimologico. Interessa l'italiano contemporaneo — anche se ormai limitatamente — la prostesi di i davanti a s complicata (detta anche, non bene, «s impura») in parole precedute da un'altra parola con terminazione consonantica (ciò per evitare una sequenza consonantica non abituale nell'italiano del fondo ereditario): scrivo → non iscrivo, studio → per istudio, scuola → in iscuola.
Il fenomeno, che è sempre stato molto oscillante (Rᴏʜʟꜰs 1966-1969: 187) è oggi in forte regresso, tranne che nelle locuzioni in iscritto, per iscritto (cfr. Sᴀʙᴀᴛɪɴɪ 1985: 157). In passato la possibilità di una i prostetica (anticamente anche e) era spesso sfruttata dai poeti per ragioni metriche: «per escusarmi e vedermi dir vero», accanto a «Ciò che vedesti fu perché non scuse» (Dante, Paradiso, XIV 136 e Purgatorio, XV 130).
In epoca più vicina a noi questa norma è stata attentamente osservata da Manzoni nei Promessi Sposi; per esempio: «a non iscriver nulla» IX 75, «è cosa che non istà bene» VI 36, «per istrascinarlo» XXXII 10. Esempi occasionali anche in scrittori contemporanei, come Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini: in ispagnolo 41, per istrada 183.
Ciò che ha catturato la mia attenzione è che il modo in cui rappresentiamo graficamente questo fenomeno costituisce quasi un'eccezione, per il fatto di andare praticamente all'opposto di ciò che facciamo per gli altri fenomeni simili della nostra lingua.
In tutti —o quasi: si veda sotto— gli altri casi in cui la vicinanza di due parole implica o può implicare una trasformazione a causa dell'incontro dei fonemi, infatti, nella scrittura è sempre la prima parola quella che "cambia forma", non la seconda: sia nei casi dove ciò è "obbligato" (far[∅] vedere, caval[∅] donato) sia in quelli dove si può ipotizzare senza difficoltà la soluzione opposta: uno straniero (non *un ostraniero), ed ecco (non *e decco), ad esempio (non *a desempio), e similmente per forme oggi desuete, come ned or né poscia (non *né dor né poscia), sur un alto pioppo (non *su run alto pioppo), eccetera... Così, secondo il modello per il resto generale, non sarebbe (stato) sensato scrivere quest'i attaccata alla prima parola, anziché alla seconda? *Peri scritto; *ini spagnolo; *ini Svizzera; *a noni scriver nulla. Sembra strano di primo acchito, ma non mi sembra così strano se guardato cogli occhi "della logica" più che con quelli "dell'abitudine". In qualche caso si ridurrebbero le possibili ambiguità sulla seconda parola (in non iscrivere questo iscrivere è 'scrivere' o 'iscrivere'?) ma è una considerazione secondaria (in qualche caso si potrebbero invece introdurre delle ambiguità).
Di recente ho trovato una considerazione che non si spinge così in là ma va nella stessa direzione in G. Tognatti (Criteri per la trascrizione di testi medievali latini e italiani, Quaderni della rassegna degli Archivi di stato, Roma 1982, p. 28), il quale di passaggio osservava che in teoria nello scrivere l'i prostetica non sarebbe illogico mantenere la maiuscola «alla prima lettera della parola in forma normale», e scrivere quindi, per esempio, iSpagna anziché Ispagna.
Casi in cui la "trasformazione" per ragioni di suono riguarda la seconda parola —non solo nella rappresentazione grafica ma proprio nel fatto fonematico— sono quelli in cui abbiamo la caduta della vocale iniziale della seconda: sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso (Inferno, I, v. 30), là onde ’nvidia prima dipartilla (ivi, v. 111).