Discussione sui traducenti di forestierismi

Spazio di discussione su prestiti e forestierismi

Moderatore: Cruscanti

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Intervento di Freelancer »

Infarinato ha scritto:[FT matematico]
Freelancer ha scritto:
Marco1971 ha scritto:Se la veda con Bue: la frase è sua. ;) Io ho solo proposto un traducente.
Ma no, non ce l'ho con Bue, e non è la fine del mondo scrivere "superficie bidimensionale", va corretta solo nel corso di una revisione vera e propria e tenendo presente il contesto.
Non è la fine del mondo, perché non è in alcun modo un errore, anzi: le superfici bidimensionali sono solo le superfici piú note ai profani:
MathWorld ha scritto:More generally, the word "surface" can be used to denote an (n - 1)-dimensional submanifold of an n-dimensional manifold, or in general, any codimension-1 subobject in an object (like a Banach space or an infinite-dimensional manifold).
[/FT]
E due righe sopra c'è scritto
The most common and straightforward use of the word is to denote a two-dimensional submanifold of three-dimensional Euclidean space.
Via, se dobbiamo metterci a discutere degli spazi n-dimensionali non parliamo più di lingua.
Ma la girerei così: uno schermo - quello a cui pensavamo tutti nel caso della frase incriminata, ossia un monitor tradizionale - può essere anche tridimensionale? Se sì, la frase non è tautologica ma poi ci deve spiegare perché sta specificando che una superficie bidimensionale è piena di pixel e di che cosa è pieno uno schermo tridimensionale. Se non esiste un monitor tridimensionale, la frase è tautologica. Tertium non datur.
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:
Freelancer ha scritto:Si tratta di un termine così specializzato, ignoto a chiunque non si occupi professionalmente di elettronica, che non ha bisogno di alcuna traduzione.
Con un simile atteggiamento, si condanna la lingua italiana a non essere piú lingua di cultura a tutti gli effetti: una lingua che ricorre a prestiti crudi per discorrere anche delle cose piú remotamente specialistiche e esoteriche è una lingua debole; e su questa china diventa presto lingua atta solo a discorrere d’argomenti limitati.
Marco, siamo sempre lì, ritorniamo a quello che diceva Leopardi: se un ingegnere italiano inventasse un circuito avrebbe il diritto di chiamarlo come vuole, anche tiramisù, e gli americani si adattarebbero, anzi quelli che conoscono il nostro semifreddo troverebbero il nome divertente, loro sono fatti così. Ma finché i termini della tecnologia arriveranno da oltreoceano, saranno accolti così come sono e nella maggior parte dei casi non ci sarà verso che saranno tradotti.
Il problema è molto più a monte, sta nello stato di sudditanza tecnologica e non linguistica in cui si trova l'Italia.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Leopardi, però, non ha mai detto, ch’io sappia, che si deve adottare il termine forestiero nella sua forma originale... (tra parentesi, ora considera subitamente valido il pensiero del Leopardi, dopo aver detto che non è attuale? ;))
Giacomo Leopardi ha scritto:Imperocché la lingua italiana essendo stata applicata alla letteratura, cioè formata, innanzi a tutte le colte moderne; la sua formazione, e quindi la sua indole viene ad essere propriamente parlando di natura antica. Quindi ella, a differenza della francese, non può rinunziare alle sue ricchezze antiche, senza rinunziare alla sua indole, e a se stessa. Potrà ben rinunziare a questa o quella voce o modo, potrà anche coll’andar del tempo antiquarsi la maggior parte delle sue voci e modi primitivi, ma sempre la forma delle sue voci e modi o nuovi o vecchi dovrà corrispondere a questi, per corrispondere alla sua indole, altrimenti non potrà fare ch’ella si componga di elementi e ragioni e spiriti discordanti, e non si corrompa: giacché in questo finalmente consiste la corruzione di tutte le lingue, e di questo genere è la presente corruzione della lingua italiana. [grassetto mio]
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:Leopardi, però, non ha mai detto, ch’io sappia, che si deve adottare il termine forestiero nella sua forma originale... (tra parentesi, ora considera subitamente valido il pensiero del Leopardi, dopo aver detto che non è attuale? ;))
Giacomo Leopardi ha scritto:Imperocché la lingua italiana essendo stata applicata alla letteratura, cioè formata, innanzi a tutte le colte moderne; la sua formazione, e quindi la sua indole viene ad essere propriamente parlando di natura antica. Quindi ella, a differenza della francese, non può rinunziare alle sue ricchezze antiche, senza rinunziare alla sua indole, e a se stessa. Potrà ben rinunziare a questa o quella voce o modo, potrà anche coll’andar del tempo antiquarsi la maggior parte delle sue voci e modi primitivi, ma sempre la forma delle sue voci e modi o nuovi o vecchi dovrà corrispondere a questi, per corrispondere alla sua indole, altrimenti non potrà fare ch’ella si componga di elementi e ragioni e spiriti discordanti, e non si corrompa: giacché in questo finalmente consiste la corruzione di tutte le lingue, e di questo genere è la presente corruzione della lingua italiana. [grassetto mio]
Ritengo valido il concetto che chi inventa o scopre l'oggetto ha il diritto di denominarlo. Chi accoglie l'oggetto è già in posizione subalterna; se poi vuole o è opportuno cambiarne il nome, occorre distinguere caso per caso; e qui nascono tutte le nostre discussioni.
:wink:
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

E io ritengo valido il pensiero secondo il quale la denominazione dell’oggetto inventato o scoperto deve fare i conti con le strutture della lingua che l’accoglie. A meno che si tratti di marchi registrati, non c’è motivo per non apportare a certi termini le necessarie modifiche.

Grazie per aver ignorato il passo leopardiano e buonanotte. Leggerò la sua eventuale risposta domani.

P.S. È innecessario citare l’intero messaggio a cui si risponde quando questo è a pochi centimetri di distanza. ;)
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:E io ritengo valido il pensiero secondo il quale la denominazione dell’oggetto inventato o scoperto deve fare i conti con le strutture della lingua che l’accoglie. A meno che si tratti di marchi registrati, non c’è motivo per non apportare a certi termini le necessarie modifiche.

Grazie per aver ignorato il passo leopardiano e buonanotte. Leggerò la sua eventuale risposta domani.

P.S. È innecessario citare l’intero messaggio a cui si risponde quando questo è a pochi centimetri di distanza. ;)
Ma come si fa a sapere se è a pochi centimetri di distanza finché non compare? Poi bisogna modificarlo per cancellare la citazione, giusto? Lei mi fa lavorare più del necessario. :wink:

Riguardo al passo di Leopardi, non voglio rispondere su un pezzo di limitata lunghezza; potrei anch'io mettermi a citare passi di Leopardi sull'argomento. Preferisco non farlo. C'è già stata un'esauriente discussione su questo punto controverso, mi pare. Comunque il mio pensiero in merito l'avevo già espresso: il mondo di oggi non è più quello in cui viveva Leopardi; alcune cose che ha detto potrebbero ancora avere validità, altre no. Ognuno decida per sè. Buona notte.
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

Freelancer ha scritto:Via, se dobbiamo metterci a discutere degli spazi n-dimensionali non parliamo più di lingua.
La frase di Bue era avulsa da ogni contesto, e, per «deformazione professionale» :mrgreen:, a Bue è venuto naturale esplicitare la dimensione. Ricordi quanto ha scritto:
Freelancer ha scritto:[la frase] va… spurgata della tautologia "superficie bidimensionale", dato che una superficie è, per definizione, bidimensionale.
Anche questa sua frase è avulsa da ogni contesto e, in quanto tale, è errata (e, come matematico, non posso esimermi dal rilevarlo).

Le do atto che piú avanti ha parlato di «contesto», ma allora o contestualizziamo entrambe le vostre frasi [nel contesto «piú ovvio»] e allora quella di Bue è effettivamente tautologica e la sua osservazione è pertinente, o le decontestualizziamo entrambe e allora la frase di Bue è ineccepibile e la sua osservazione è errata: tertium non datur. ;)
Gino Zernani
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Intervento di Gino Zernani »

Freelancer ha scritto:Il problema è molto più a monte, sta nello stato di sudditanza tecnologica e non linguistica in cui si trova l'Italia.
Ha toccato il nervo dolente. Avverto lo stesso problema in campo economico-finanziario.
Poi rifletto sul fatto che nei corsi e ricorsi storici, a parti inverite, accadde tempo addietro quanto stiamo registrando noi, adesso. Si pensi al campo musicale: quando l'Italia era la musica, ha esportato nel mondo tutta una serie di italianismi che sono vivi ancora oggi nelle lingue accoglienti il prestito (bravo, piano, adagio ecc.). O a quello artistico (affresco, cappella e altri). Ma ora non si parla più di lingua...
Nello specifico, personalmente, ritengo che pixel sia in effetti un'unità di misura. Ho dei dubbi sul successo di un traducente, anche se "punto" mi piace molto, ma in registri più colloquiali: al più un adattamento (certo che pisello... :D).
fabbe
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Intervento di fabbe »

Bisogna ricordare che la politica dell' immobilismo della lingua (non adattare e non creare neologismi) è un fenomeno “fondamentalmente” italiano. *

In altre nazioni queste pratiche rimangono eccezioni e non la regola, specialmente in dizionari, enciclopedie e libri di testo: le lingue vive (per rimanere vive) adattano e creano parole nuove con le loro caratteristiche specifiche.

Da noi sono adoperati termini stranieri nella loro forma originale non perchè essenziali o insostituibili ma per poter dimostrare di conoscerli; anzi per non far sorgere il dubbio di non conoscerli. La questione non è strettamente linguistica.

Una cosa diversa è la lingua parlata dove, mi sembra, l' Italia sia nella media europea da una parte perché molti degli anglismi sono ignoti ai parlanti e dall’altra perché sono adattati naturalmente a livello fonetico.


* In Italia, mi sembra, all’immobilismo della lingua non corrisponde un immobilismo del linguaggio che con l’impiego delle varie parole straniere sforna un “mosaico” comunicativo poco chiaro ma dinamico.
Bue
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Intervento di Bue »

Freelancer ha scritto:Via, se dobbiamo metterci a discutere degli spazi n-dimensionali non parliamo più di lingua.
Ma la girerei così: uno schermo - quello a cui pensavamo tutti nel caso della frase incriminata, ossia un monitor tradizionale - può essere anche tridimensionale? Se sì, la frase non è tautologica ma poi ci deve spiegare perché sta specificando che una superficie bidimensionale è piena di pixel e di che cosa è pieno uno schermo tridimensionale. Se non esiste un monitor tridimensionale, la frase è tautologica. Tertium non datur.
Ha esattamente centrato il punto. La frase è in un libro divulgativo (sulla teoria delle stringhe e sul megaverso) che parla - tra le altre cose - di spazi multidimensionali e di codifica dell'informazione. Nel caso specifico si sta discutendo del fatto che uno schermo di computer riproduce necessariamente in maniera inadeguata un'immagine tridimensionale perché fa uso di una griglia bidimensionale di pixel, mentre per riprodurre tutta l'informazione dovrebbe usare un reticolo tridimensionale di pixel "volumetrici", che l'autore chiama orrendamente voxel (avevo pensato di sostituirlo con trixel, molto più comprensibile di voxel che rimanda un orecchio neolatino a vox e non a "volume" - purtroppo voxel è un termine già in uso, ed è registrato da wikipedia; trixel esiste anch'esso, ma è un marchio commerciale). Un ologramma, invece, riesce a immagazzinare in un reticolo bidimensionale di pixel tutte le informazioni di un'immagine tridimensionale.

La frase "uno schermo di computer è una superficie bidimensionale piena di pixel" non può essere sostituita da "una superficie piena di punti", perché chi legge penserebbe inevitabilmente ai punti geometrici, dato il contesto.
Bue
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Intervento di Bue »

Infarinato ha scritto: La frase di Bue era avulsa da ogni contesto, e, per «deformazione professionale» :mrgreen:, a Bue è venuto naturale esplicitare la dimensione.
Non mi è venuto "naturale": così sta scritto nel libro che devo tradurre (scritto da un fisico teorico americano, padre della teoria delle stringhe). La frase inglese originale è (la cito a memoria perché non ho il libro sottomano, correggerò in seguito eventualmente)

The screen of a computer is a two-dimensional surface filled with pixels.
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Intervento di Infarinato »

Bue ha scritto:…sulla teoria delle stringhe…
Corde, no, eh? Lo so, lo so: ormai è troppo tardi… :(
Bue
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Intervento di Bue »

Purtroppo è troppo tardi. Nel libro cerco di usare la parola "corde" quando viene spiegato cos'è una stringa.
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Intervento di Infarinato »

Bue ha scritto:Non mi è venuto "naturale": così sta scritto nel libro che devo tradurre…
Ancor piú filologo fosti, allór! :D
Bue
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Intervento di Bue »

Marco1971 ha scritto:
Freelancer ha scritto:
Marco1971 ha scritto:Quanto alla frase Lo schermo d’un computiere è una superficie bidimensionale piena d’immèli, è scritta tutta in italiano, da tutti i punti di vista.
Ma sì, glielo concedo. Preciserei però che è scritta in un italiano immediatamente comprensibile solo dai frequentatori di questo forum e in particolare da chi ha seguito questo filone.
A parte la parola immèli, che ho coniata alcune ore fa, la frase non presenta oscurità semantica, e con un po’ di raziocinio ci s’arriva grazie al contesto. ;)
Mi permetto di dissentire. Prima di arrivare dal contesto a capire il significato di immèle il lettore anche dotato del più fine raziocinio avrebbe bisogno di paginate di contestualizzazione... :wink:

A proposito di contesto, contesto il criterio usato per formare l'italianissima (?) parola immèle. In inglese pixel deriva da picture element, espressione perfettamente sensata in inglese; in italiano immele è fatto derivare da "immagine elemento", espressione che di italiano ha solo le parole, non la struttura: in italiano si direbbe infatti "elemento di (una) immagine", che darebbe - proprio volendo - *elim, come ha dato colf (e non *fac o *facolla) da "collaboratore/trice familiare".

Oppure si ricorra al greco antico - come al solito considerato molto più nobile dell'inglese - che permette (o prescrive?) l'anteposizione dell'attributo.
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