Cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno: vi è sufficiente letteratura locale per rivitalizzare i dialetti e dal basso l'italiano, se si vuole. Non solo le lingue maggiori come veneziano e napoletano, ma anche le lingue minori (ponderando la tradizione letteraria) come il torinese oppure il barese. Ovviamente è necessaria la volontà politica di rivitalizzare le parlate locali a partire dall'educazione scolastica. Utopistico, ma non molto più che sperare in una volontà politica che intende affrontare la questione del morbo anglico.domna charola ha scritto: gio, 11 gen 2024 0:28 Dall'altro lato però c'è da dire che molti dialetti dal dopoguerra ad oggi sono andati italianizzandosi, cosicché proprio quella che poteva essere la loro riserva di creatività si sta ormai perdendo.
Il periodo in cui nelle case si costringevano i bambini a non parlare la lingua locale è stato devastante sotto questo punto di vista. Tornate in auge le parlate locali, i giovani hanno "dialettizzato" termini italiani in sostituzione di quelli originali, che suonavano molto diversi e che potrebbero costituire una riserva linguistica, ma che sono stati quasi dimenticati.
So che il morbo anglico riguarda l'aspetto lessicale, ma la pigrizia lessicale è una conseguenza della stigmatizzazione di tutto quel che non è canonico. Nelle scuole è insegnato che "uscire il quaderno" è da rozzi ignoranti: non va usato mai, neanche nel parlato informale. Così ogni volta che si usa lessico dialettale. Nelle scuole si seda la lingua vitale per ottemperarla a un canone inerte. Una volta usciti da scuola, si cerca di limitare i dialettismi per quanto si può e si conosce. Con ciò non voglio dire che la scuola dovrebbe accettare sempre e comunque le sgrammaticature, ma che dovrebbe insegnare a distinguere i registri; a dire "è lecito dire «uscire la spazzatura» in un registro informale"; a far leggere non solo Manzoni e Pasolini ma anche autori locali. Bisognerebbe insegnare agli studenti a scrivere sia pezzi in cui è richiesta una lingua limpida e logica, sia pezzi in cui è possibile sgrammaticare e usare un lessico dialettale italianizzato.domna charola ha scritto: gio, 11 gen 2024 0:28 E proprio il patrimonio lessicale è il punto cruciale, perché alterare le strutture grammaticali per introdurne di locali non serve a molto, nella nostra ottica. Intendo dire che il problema non è la necessità di frasi innovative nella struttura, ma proprio di singoli termini che rendano le nuove sfumature che saltano fuori via via e si rendono necessarie.
Almeno per quanto riguarda questo termine, è anche una percezione di "freschezza": l'ambiente rap/trap napoletano è considerato "fresco", per cui fratm o fratemo sono ancora vivi anche tra i giovani del centro e del nord. Fra e fratè stanno venendo soppiantati perché l'ambiente rap/trap italiano è visto come un epigono di quello americano.domna charola ha scritto: gio, 11 gen 2024 0:28 Poi, addirittura, ci sono i termini che hanno già il loro traducente - quello in discussione qui, ad esempio - ma anche aprendo a ipotetici termini dialettali, dubito che il fascino dell'inglese sentito nei media sia sopravanzato da questi ultimi. Non credo cioè che se si sente come obsoleto "fra", si sceglierebbe allora una qualche forma dialettale, perché inconsciamente rappresenta un tornare indietro, e non una novità internazionale che guarda avanti. Il meccanismo che spinge la moda degli anglismi è proprio il fatto di essere anglosassoni in senso lato (compreso Stati Uniti), cioè della cultura dominante e ancora percepita come origine di tutte le innovazioni, analogamente a secoli passati in cui i termini alla moda erano francesi perché la Francia era di moda, ad esempio.