Le "due alternative"
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Le "due alternative"
Non hai altre alternative. Frasi simili le leggiamo (e ascoltiamo) quotidianamente sulla stampa ma non sono “esatte”, anzi… “corrette”. I grammatici raccomandano il fatto che per “alternativa” deve intendersi una scelta, o meglio una possibilità di scelta fra due termini, non come una delle soluzioni che la scelta stessa concede. La frase, per esempio, l’alternativa è “combattere o morire” è correttissima perché abbiamo, per l’appunto, la possibilità di scegliere fra due soluzioni, possiamo cioè scegliere fra il combattere o il morire. Nella frase, invece, “non ha altra alternativa che morire”, il discorso non regge perché non c’è possibilità di scelta. Nei casi dubbi alcuni autorevoli grammatici consigliano di sostituire alternativa con “dilemma” (una specie di prova del nove, insomma): se il discorso “fila” – ha, cioè, un senso – l’uso di alternativa è corretto. Nel primo esempio… per esempio, “l’alternativa è combattere o morire” si può sostituire benissimo alternativa con “dilemma” e dire “il dilemma è combattere o morire”; il discorso “fila”, quindi l’uso di alternativa è correttissimo. Nel secondo esempio, invece, non si può dire, perché non “fila”, “non ha altro dilemma che morire”; l’uso di alternativa è, per tanto, errato. L’alternativa, inoltre, è sempre una (e soltanto una): questo o quello. Non si può dire, quindi, c’è un’altra alternativa o ci sono due (o più alternative). La stampa è incurante di queste “norme” e fa un uso improprio, per non dire scorretto, di alternativa. Ma anche alcuni vocabolari non sono da meno. Lo Zingarelli registra: non avere altra alternativa; gli resta una sola alternativa. Proviamo a sostituire alternativa con dilemma e vediamo che… “i conti non tornano”; l’uso di alternativa è errato. Il vocabolario Sandron riporta: la sola alternativa che ci resta è la resa; avverte, però, che l’uso è improprio.
Non si può però escludere i significati generici dell'aggettivo alternativo, fra cui ad esempio «mezzo, realtà o soluzione cui si può ricorrere in sostituzione di un altro che venga a mancare, o che comunque si voglia o si debba scartare» (Treccani in linea). Né si può dimenticare l'etimologia, che mi pare giustificare perfettamente l'uso da lei respinto.
Piú che altro, di altra alternativa si può indubbiamente lamentare che è un pleonasmo (o una figura etimologica, a usare un eufemismo).
Piú che altro, di altra alternativa si può indubbiamente lamentare che è un pleonasmo (o una figura etimologica, a usare un eufemismo).
Incredibile... mi è venuto un dubbio.Marco1971 ha scritto:Non è affatto strano, ma nella lingua stàndara sarebbe Non si possono però escludere i significati generici (almeno cosí per la GGIC).
Non si può però escludere i significati generici alla prima apparenza stride notevolmente, ecco che anch'io come Marco ho ritenuto che l'unica forma corretta (in Italiano ordinario) sia quella riportata.
Però... mentre in non si possono escludere i significati generici (= i significati generici non possono essere esclusi) soggetto è chiaramente "i significati generici" (e dunque, giustamente, il verbo ha da coniugarsi in rapporto al numero, in questo caso plurale), nella frase di Federico, a sua stessa ammissione, il si è impersonale e non passivante, e dunque, non essendovi soggetto, "i significati generici" è chiaramente complemento oggetto (= non è possibile escludere i significati generici).
[Aggiungo a minuti dal primo invio dell'intervento, correggendo alcuni miei errori: nella frase di Federico il soggetto viene a coincidere con l'intero gruppo "escludere i significati generici", dopotutto, caro Marco, non ci infastidirebbe l'ascolto della seguente proposizione (praticamente identica a quella di Federico): Escludere i significati generici non si può.]
Perciò mi è sorto il dubbio e non mi sento più di appoggiare in toto l'affermazione di Marco... Qualcuno può aiutarmi? Non ho tanta voglia di passare per l'ignorante di turno!

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Sono ammissibili entrambi i costrutti, come può leggere in questa scheda dell’Accademia della Crusca («Casi problematici per l’accordo di genere e numero», primo punto).Decimo ha scritto:Qualcuno può aiutarmi? Non ho tanta voglia di passare per l'ignorante di turno!
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Vorrei aggiungere una riflessione di Giovanni Nencioni, tratta dal volume La Crusca risponde (Firenze, Le Lettere, 1995, p. 114).
Questi lo/la/li/le si li avverto d’un’affettazione insoffribile, tant’è che non li adopero mai.Vorrei però, se mi è lecito, dare un altro consiglio, buono per tutti i casi di incertezza: di evitare, quando è possibile, il gioco del caso limite, del rebus grammaticale, gioco piccante che ha deliziato molti grammatici. Se c’è, nella lingua, un principio di correttezza, ce n’è anche uno, importantissimo per il dovere sociale della trasparenza e quindi sicurezza della comunicazione, di correntezza: si adotti, insomma, tra due forme possibili, quella piú nota e meno macchinosa. Nel caso in esame, invece del contorto li si vede si scriva si vedono o li vediamo, e invece di la si è vista diciamo si è vista, è stata vista, fu vista, l’abbiamo vista, l’hanno vista, e così anche quando un cumulo di particelle (come si chiamavano un tempo) costringerebbe a costruzioni corrette ma virtuosistiche: “Nessuno direbbe – si legge nella Grammatica italiana di L. Serianni e A. Castelvecchi – ‘la dattilografa ha chiesto le ferie anticipate: gliele si daranno’ invece di ‘gliele daremo’, ‘le avrà’ e simili”.

Re: Le "due alternative"
Se vogliamo essere pignoli, non è vero che, rispettando il suo valore etimologico, l’alternativa debba per forza essere una. Possiamo parlare di due alternative, quando vi è la scelta tra due coppie di possibilità.Fausto Raso ha scritto: L’alternativa, inoltre, è sempre una (e soltanto una): questo o quello.
Anch’io cerco sempre di usare il termine alternativa solo quando vi è la scelta tra due possibilità. Ma oggi il termine viene usato come sinonimo proprio di possibilità.
Tante parole, nel tempo, hanno modificato il loro significato, allontanandosi da quello etimologico. Se ci pensa l’etimologia è, in massima parte, lo studio dell’evoluzione dei significati e delle forme della parola. Della maggior parte delle parole il cambiamento non ci colpisce più. Lo stesso è accaduto, per la maggioranza delle persone, anche per alternativa.
Concludendo, usare alternativa come sinonimo di possibilità oggi non è sbagliato, anzi, risulta leggermente marcata, in diafasia o diastratia alta, la frase: «Hai una sola alternativa: o esci o rimani in casa» rispetto a: «Hai due alternative: o esci o rimani in casa».
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
Suggerimento ovviamente condivisibile.Marco1971 ha scritto:Vorrei aggiungere una riflessione di Giovanni Nencioni [...]
Tornando al caso specifico, però, non penso che si possa definire affettata né tantomeno contorta la frase Non si può però escludere i significati generici; fra l'altro ne avevamo parlato anche nel forum della Crusca, se non ricordo male.
Non ricordavo male: si veda qui, qui ma anche qui.
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