Marco1971 ha scritto:…mi sembrava, ma spero di sbagliarmi, che lei fosse a favore dei cambiamenti, qualunque essi siano…
No, non sono favorevole a tutti i cambiamenti. Come dicevo, una cosa è l’osservazione e la descrizione dei cambiamenti in atto, oppure le proposte per possibili correzioni di rotta alla luce dello stato attuale della ricerca linguistica; un’altra la mia posizione personale che si può intuire anche dalle mie scelte linguistiche.
Marco1971 ha scritto:Tale forma fa dell’italiano una lingua distinta da tutte le altre e perché italiano resti deve per forza mantenerla, altrimenti dovremmo parlare di una lingua diversa, per esempio d’itangliano.
La stragrande maggioranza dell’attuale lessico italiano ha una struttura classica. Inoltre, nella maggioranza dei casi in cui un anglicismo crudo è produttivo, la famiglia che ne deriva ha generalmente una struttura italiana classica.
L’attuale snaturamento fonetico è insignificante, praticamente inesistente. I termini stranieri vengono pronunciati all’italiana.
Castellani dice: “la lingua italiana non ammette consonanti in fin di parola”, se è per questo non ammetteva neanche certi nessi all’interno delle parole (sia nella grafia che nella pronuncia). La massiccia introduzione di latinismi e grecismi ha modificato questa caratteristica. L’italiano è forse diventato
itanino o
itaneco? Questo per dire che cambiamenti strutturali nel lessico ci sono già stati ma l’italiano ha continuato a essere una lingua distinta dalle altre. La storia della lingua, poi, riporta innumerevoli altri cambiamenti di forma, nella morfologia e nella sintassi (parti più conservatrici e quindi più vicine al nucleo della lingua), cambiamenti influenzati o meno dall’esterno, ad esempio dal francese o dallo stesso latino, senza che l’italiano abbia mai cessato di avere una sua identità.
Anche riguardo alle terminazioni consonantiche, le affermazioni di Castellani sono incomplete: molti dialetti meridionali ammettono la terminazione consonantica seguita da una scevà più o meno avvertibile. Quindi, le terminazioni consonantiche incriminate trovano riscontro, nell’effettiva pronuncia degl’italiani, nei sistemi fonologici dialettali. Si tratterebbe di una delle tante influenze bidirezionali, tra italiano e dialetto, passando per gl’italiani regionali.
Di obiezioni ce ne sarebbero ancora tante.
Per esempio, io considero l’italiano
il latino di oggi e solo una visione da miope (nel senso vero di chi da lontano non
può distinguere tutti i particolari) le fa considerare due lingue distinte. Le chiamiamo con due nomi per comodità visto che su lunghi intervalli temporali le corruzioni si accumulano. Oggi tutto questo dovrebbe qualitativamente fermarsi? La forma, che è sicuramente cambiata dal latino all’italiano, dovrebbe congelarsi? Questo non è mai accaduto nella storia delle lingue, se non per brevi periodi e con enorme danno per la lingua interessata.
Il problema vero della forma è un problema culturale. E con questo vengo al terzo gruppo di domande.
L’identità di una lingua si mantiene se è sostenuta da una cultura forte. Identità che permane anche se vi sono combiamenti rivoluzionari nella lingua stessa, perché più che di identita linguistica si dovrebbe parlare d’identità culturale.
E qui torniamo al discorso che ho sempre fatto. Non si dovrebbe confondere la causa con l’effetto. Il basso livello culturale degl’italiani e la correlata debolezza economica e tecnologica, sono all’origine dell’aumentato afflusso di anglicismi. Se avessimo una cultura forte e facessimo noi le scoperte scientifiche e tecnologiche, inventeremmo noi le parole e le esporteremmo, come qualche volta è accaduto nel passato.
Quindi
studiate e fate studiare.
Da una parte aumenterebbe la coscienza linguistica e la capacità di trovare traducenti ai forestierismi esistenti e dall’altra ne ridurremmo l’afflusso perché saremmo noi a esportare cultura.
Ci sarebbero ancora tantissime cose da dire, ad esempio, sull’importanza dell’attuale maggiore diffusione, negl’italiani, della competenza linguistica relativa all’italiano; dell’importanza di questo fattore perché si possa considerare viva una lingua. Il fatto che l’italiano sia parlato liberamente, senza pastoie puristiche, ha permesso il riavviarsi, per l’italiano, di quei motori selettivi che lo stanno riavvicinando tipologicamente alla grande famiglia romanza europea.
Una piccola postilla.
Serianni nella Crusca per voi ha scritto:Attenzione poi, se non si conosce più che bene una lingua straniera; chi dice o scrive “il brutto affaire degli appalti truccati” mostra una pratica assai approssimativa del francese: bisognerebbe dire “la brutta affaire” (affaire è femminile).
Il Devoto Oli (Serianni) 2007 ha scritto:Affaire […] s.f. fr.(pl. affaires), in it. s.m. (invar. o anche pl. orig.)
Sul dizionario, di cui è uno dei curatori, non vi è alcuna indicazione su un possibile uso femminile.
Io sono d’accordo col Serianni del 2006, spero lo sia anche lui.