Dell’evoluzione e del progresso

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Marco1971
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Dell’evoluzione e del progresso

Intervento di Marco1971 »

Non vorrei riaprire polemiche, ma solo far riflettere chi ci legge. Qui spesso si parla di evoluzione in senso positivo, quasi che ogni novità fosse buona a prescindere dalla sua natura. Vorrei quindi riproporre questi tre brani leopardiani (tratti dal pensiero dell’8-14 marzo 1821, che naturalmente andrebbe letto nella sua integralità), con poche sottolineature:
Imperocché la lingua italiana essendo stata applicata alla letteratura, cioè formata, innanzi a tutte le colte moderne; la sua formazione, e quindi la sua indole viene ad essere propriamente parlando di natura antica. Quindi ella, a differenza della francese, non può rinunziare alle sue ricchezze antiche, senza rinunziare alla sua indole, e a se stessa. Potrà ben rinunziare a questa o quella voce o modo, potrà anche coll’andar del tempo antiquarsi la maggior parte delle sue voci e modi primitivi, ma sempre la forma delle sue voci e modi o nuovi o vecchi dovrà corrispondere a questi, per corrispondere alla sua indole, altrimenti non potrà fare ch’ella non si componga di elementi e ragioni e spiriti discordanti, e non si corrompa: giacché in questo consiste la corruzione di tutte le lingue, e di questo genere è la presente corruzione della lingua italiana. [...]

Né osservò che siccome la lingua cammina sempre, perch’ella segue le cose le quali sono istabilissime e variabilissime, cosí ogni secolo anche il piú buono e casto ha la sua lingua modificata in una maniera propria, la quale allora solo è cattiva, quando è contraria all’indole della lingua, scema o distrugge 1. la sua potenza e facoltà, 2. la sua bellezza e bontà naturale e propria, altera perde guasta la sua proprietà, la sua natura, la sua essenziale struttura e forma ec. [...]

Ma ecco che noi siamo fermati, e la lingua nostra non fa piú progressi. La lingua francese infaticabilmente si accresce di tutte le parole che le occorrono. La lingua tedesca avanza e precipita come un torrente, e guadagna tuttogiorno vastissimi spazi, in ogni genere di accrescimento. Noi da qualche tempo arrestati, neghittosi, ed immobili, manchiamo del bisognevole per esprimere e per trattare la massima parte delle cognizioni e delle discipline e dottrine moderne, ed usi e opinioni ec. ec. oggi piú rapide nel crescere e propagarsi, e variare ec. di quello che mai fossero, e in proporzione che la nostra indolenza e infingardaggine presente, è opposta alla energia ed attività passata. Cosí la lingua italiana perde il vantaggio dello spazio che avea guadagnato per valore de’ suoi antichi e primi padri, sopra le altre lingue, e queste correndo piú velocemente che mai, fra tanto che la nostra siede e dorme, riguadagneranno tutto lo spazio perduto per la inerzia de’ loro antichi, arriveranno ben presto la nostra e la passeranno. E la nostra non solo non sarà piú né superiore né uguale alle altre colte moderne, ma tanto inferiore, che divenuta impotente, e buona solo a parlare o scrivere ai bisavoli; o non saprà esprimer niente del bisognevole, né parlare e scrivere in nessun modo ai contemporanei; o lo farà (come già lo fa per quel poco che parla e scrive delle cose e cognizioni moderne, o per quello che ne dice non del suo, ma copiando o seguendo gli stranieri) invocando l’altrui soccorso, servendosi degl’istrumenti e mezzi altrui, e quasi trasformandosi in un’altra, o vogliamo dire, facendosi provincia e suddita di un regno straniero (come i piccoli e deboli confederati de’ grandi e potenti) essa ch’era capo di tutte le lingue viventi.
Non dico che questo corrisponda in tutto e per tutto a quello che vo dicendo da qualche anno a questa parte; dico che per molti aspetti è simile. In particolare, il fatto che la lingua si corrompe venendo meno alla sua forma essenziale, e l’insistenza, nel terzo brano, sull’infingardaggine, la pigrizia, la svogliatezza, che fanno sí che l’italiano diventa sempre meno capace di discorsi scientifici, mancandogli una terminologia propria.

Sarò lieto di leggere le reazioni e i commenti, purché non ci sia aggressività. Grazie.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bubu7
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Re: Dell’evoluzione e del progresso

Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto:Qui spesso si parla di evoluzione in senso positivo, quasi che ogni novità fosse buona a prescindere dalla sua natura...

... In particolare, il fatto che la lingua si corrompe venendo meno alla sua forma essenziale, e l’insistenza, nel terzo brano, sull’infingardaggine, la pigrizia, la svogliatezza, che fanno sí che l’italiano diventa sempre meno capace di discorsi scientifici, mancandogli una terminologia propria.
La ringraziamo per le belle citazioni leopardiane. Anche se le riflessioni di Leopardi vanno riportate nel contesto storico dal quale sono scaturite, esse possono sempre servire per utili considerazioni di attualità.

Quindi invece di seguirla nell’ermeneutica leopardiana mi sembra più utile rispondere direttamente alle sue proposizioni.

Lei parla di novità buone e cattive. Questi giudizi presuppongono una teoria linguistica di riferimento che contenga la definizione di codesti aggettivi. Discorso interessante che varrà la pena sviluppare.

Nelle sue conclusioni parla poi di forma essenziale di una lingua, forma che si può corrompere. Anche l’idea di forma di una lingua e di corruzione presuppongono un atteggiamento direi quasi idealistico, nei confronti della lingua. Aprendo una piccola parentesi storica, il concetto di forma dell’italiano in Leopardi, ripreso con altre parole e in un'altra prospettiva in un famoso dibattito suscitato da un articolo di Pasolini, il concetto di forma dell’italiano, dicevo, è una delle parti più deboli e sorpassate del pensiero linguistico leopardiano. Ma, come dicevo, non m’interessa analizzare questo aspetto storico.

Infine lei parla della sempre maggiore incapacità dell’italiano di affrontare un discorso scientifico.
Quindi si presuppone che l’italiano un tempo ne fosse più capace. Ad esempio prima dell’invasione degli anglicismi. O nell’Ottocento. Lei pensava a Galilei e agli altri scienziati di quel periodo. Certo. Ma cosa è successo tra Galilei e l’invasione degli anglicismi? L’italiano si poteva considerare una lingua capace di trattare argomenti scientifici? Si ricorda le (discutibili) considerazioni di Leopardi sulle caratteristiche della lingua italiana contrapposta al francese? E, ancora prima, l’atteggiamento degli accademici della Crusca nei confronti della terminologia scientifica?
Riflettiamo prima di stabilire un’equivalenza (non dico che la stia stabilendo lei):

(modernità, forestierismi) = (minore capacità di effettuare discorsi scientifici).

Non risponda ancora, la prego, lancio queste riflessioni parziali ma mi riprometto di ritornarci per completarle appena possibile.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
Bue
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Intervento di Bue »

Il mio commento e` questo:

Leopardi, 185 anni fa - in una situazione completamente diversa dall'attuale, come sappiamo, per quanto riguarda l'uso e la diffusione dell'italiano - lamentava la corruzione della lingua, la sua arrendevolezza di fronte ai forestierismi e ne paventava la morte a causa dell'infingardaggine, della pigrizia e dell'indolenza di parlanti e scriventi.
Ebbene, dopo 185 anni l'italiano e` ancora qui. Forse in conseguenza del fatto che Leopardi ha scritto quei brani? Pensate che, se non li avesse scritti, oggi staremmo parlando tedesco o francese?
Quello che voglio dire e` che a mio avviso le sorti di una lingua sono in larga misura indipendenti dalle lamentazioni dei Catoni di turno. Anche quando questi sono i maggiori letterati della loro epoca. Figuriamoci se sono quattro o cinque frequentatori di un forum, per quanto competenti, accorati e appassionati.
Ultima modifica di Bue in data mar, 12 dic 2006 10:42, modificato 1 volta in totale.
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Marco1971
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Re: Dell’evoluzione e del progresso

Intervento di Marco1971 »

bubu7 ha scritto:Non risponda ancora, la prego, lancio queste riflessioni parziali ma mi riprometto di ritornarci per completarle appena possibile.
Attendo le sue precisazioni. Nel frattempo vorrei formulare un’ipotesi che forse sta alla base di molti nostri dissensi: lei (mi dirà poi se sbaglio) considera la lingua un po’ come un organismo biologico la cui evoluzione va lasciata indisturbata; io, invece, la considero piuttosto come un bene culturale da preservare (non da mummificare, preciso), con eventuali piccoli interventi ad hoc quando, in base a certi valori, ritengo che si evolva male. Di queste due visioni la sua è senz’altro la piú oggettiva (quella dell’osservatore spassionato), ma non dimentichiamo che l’uomo non è solo puro raziocinio: è anche dotato di sentimenti (e quante cose sono accadute, nella storia, a causa o in grazia di sentimenti!). E se culture vicine alla nostra tentano, sicuramente mosse da ragioni simili alle mie, di tutelare le loro rispettive lingue, mi pare piú un atteggiamento da lodare che non da biasimare.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ringrazio Bue del suo contributo, anche se avrebbe forse potuto proporcelo con toni un po’ piú rispettosi.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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giulia tonelli
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Intervento di giulia tonelli »

E allora correggiamo l'intervento di Bue:
"[omissis]...figuriamoci se sono quattro o cinque frequentatori permalosi di un forum, per quanto accorati e appassionati."
Uri Burton
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LEOPARDI

Intervento di Uri Burton »

Diceva Gramsci che quando ci chiediamo chi è l’uomo non ci interrogiamo soltanto sull'aggregato statistico delle sue azioni passate: ci chiediamo anche e soprattutto che cosa l’uomo è capace di fare. Il discorso vale per il genere umano e per ogni singolo individuo, per ogni pensatore della storia e per il suo pensiero. Per questo sulla tomba di Freud c’è scritto: dopo di lui il mondo non è stato più lo stesso. Per questo Leopardi, come direbbe Jung, è entrato nell’inconscio collettivo dell’intellettuale italiano. Se è così, allora la domanda che dovremmo porci – rapportando e estendendo il pensiero di Leopardi – è se a un esteta come lui sembrerebbe bello, elegante e appropriato alle varie situazioni il linguaggio degli odierni italiani. D’una popolazione, cioè, che nel suo insieme parla semplicemente per cavarsela mischiando parole colloquiali e parole solenni in modo disarmonico; d’una popolazione il cui sessantacinque per cento non legge neanche un libro l’anno; d’una popolazione con una burocrazia e un settore produttivo che usano la penna come se fosse una zappa; d’una popolazione che, per di più, adopera espressioni inglesi a tutto spiano storpiandole nella pronuncia e quasi sempre senza conoscerne il significato originale.
Ultima modifica di Uri Burton in data lun, 11 dic 2006 21:17, modificato 2 volte in totale.
Uri Burton
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

giulia tonelli ha scritto:E allora correggiamo l'intervento di Bue:
"[omissis]...figuriamoci se sono quattro o cinque frequentatori permalosi di un forum, per quanto accorati e appassionati."
Grazie anche a lei della sua infinita saggezza.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Uri Burton
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Iscritto in data: mar, 28 dic 2004 6:54

IL GATTO E LA VOLPE

Intervento di Uri Burton »

giulia tonelli ha scritto:E allora correggiamo l'intervento di Bue:
"[omissis]...figuriamoci se sono quattro o cinque frequentatori permalosi di un forum, per quanto accorati e appassionati."
Ma voi due parlate sempre come il gatto e la volpe?
Uri Burton
Avatara utente
Marco1971
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Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Ho trovato questo bellissimo articolo, in parte connesso con questa discussione. Eccolo.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
marcri
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Iscritto in data: ven, 05 nov 2004 22:06

Intervento di marcri »

Conviene che non ci si stupisca più di nulla.
Mi domando come si possa così fortemente avversare chi, seguendo i moti del proprio animo, pensi e agisca coerentemente in favore di questa o quella causa, che gli par giusta in cuor suo. E che gli si contesti l’aver portato il Leopardi di esempio con la scusa che son passati quasi due secoli, mi sembra davvero un’esagerazione di chi non sa in quale altro modo fomentar la polemica.
Forse i pensieri hanno una scadenza? Forse i grandi pensatori hanno pensato solo per il loro presente? Cancellare, dimenticare, scordare, annullare ogni esperienza, sacrificandola alla moda del bieco qualunquismo, o della convenienza, è ciò che si sta mostrando come la necessità prima del burattinaio, perché il burattino non si ribelli, e docile si lasci tirare supinamente i fili.
Proteggere la propria lingua non è diverso da proteggere qualsiasi altra espressione concreta del proprio patrimonio culturale, delle opere d’arte, della musica e così via. È volere che cresca sana, è curarla come si curano le cose care, tenendole nel cuore. Non si tratta semplicisticamente di scegliere tra un adattamento e un calco, piuttosto di comprendere la vera necessità di salvaguardia.
O forse non si tratta neppure di comprendere, perché ciò che non viene da dentro sé stessi, difficilmente sarà adottabile se non presenta l’immediata convenienza, e addirittura implica il concetto bandito di fatica.
Del resto, oltre un secolo fa si paventava il timore della perdita del gusto estetico, dell’impoverimento dell’esperienza progressivamente annullata dallo sviluppo della modernità, fino a arrivare all’accettazione e alla predilezione per oggetti che si lasciano guardare senza restituirci la scintilla del loro sguardo, così da non doverci trovare di fronte a un’improvvisa necessità di riflessione.
Sono solo pensieri, i miei. O presuntuosi spunti di un'ancor più presuntuosa ricerca.
Bue
Interventi: 866
Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 11:20

Re: IL GATTO E LA VOLPE

Intervento di Bue »

Uri Burton ha scritto:
giulia tonelli ha scritto:E allora correggiamo l'intervento di Bue:
"[omissis]...figuriamoci se sono quattro o cinque frequentatori permalosi di un forum, per quanto accorati e appassionati."
Ma voi due parlate sempre come il gatto e la volpe?
No: comme cul et chemise.
(Ovviamente giuliatonelli è la chemise, ça va sans dire)
Ultima modifica di Bue in data mar, 12 dic 2006 10:41, modificato 1 volta in totale.
Bue
Interventi: 866
Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 11:20

Intervento di Bue »

marcri ha scritto:Conviene che non ci si stupisca più di nulla.
Mi domando come si possa così fortemente avversare chi, seguendo i moti del proprio animo, pensi e agisca coerentemente in favore di questa o quella causa, che gli par giusta in cuor suo. E che gli si contesti l’aver portato il Leopardi di esempio con la scusa che son passati quasi due secoli, mi sembra davvero un’esagerazione di chi non sa in quale altro modo fomentar la polemica.
Visto che la critica è chiaramente rivolta a me, cerco di rispondere - scusandomi in partenza per la forma, sicuramente non molto curata.
Non era mia intenzione "fortemente avversare" nessuno, tantomeno Marco, che ho conosciuto di persona e che stimo. Intendevo semplicemente esprimere le mie perplessità su alcuni aspetti della sua indomita campagna.
Certo, ognuno è libero di seguire i moti del proprio appassionato animo, ma quando chiede esplicitamente pareri e commenti, non vedo perché non li si possa dare, e per quale motivo siano considerati irrispettosi o esageratamente polemici solo perché sono critici.
(Aggiungo - sperando non mi si accusi di nuovo di mancanza di rispetto - che non mi sembra di essere certo io quello che rinfocola la polemica. La discussione sul Leopardi e sull'opportunità di riproporne il pensiero aveva già suscitato polemiche accese e provocato anche spiacevoli "abbandoni", per fortuna rientrati; altri potrebbe sostenere che riproporre per l'ennesima volta le stesse argomentazioni o è un inutile esercizio di ripetizione, o è fatto con l'intento più o meno consapevole di riaccendere la polemica.)

Il mio intervento, seppure con i toni volutamente sdrammatizzanti che - credo - mi caratterizzano, e che sono spesso mal interpretati come mancanza di rispetto, voleva essere un intervento serio. Lungi dal condannare chi ama la propria lingua e la sua storia, e soffre nel vederla cambiare o bistrattare, volevo semplicemente prendere l'atteggiamento che Marco chiama "dell'osservatore spassionato (consono alla mia formazione scientifico-sperimentale), ossia di chi con spirito distaccato semplicemente constata quali siano gli effetti di certe azioni.
Il mio scopo non era quello di dire "siete (siamo) tutti una manica di buffoni, chiudete il forum e andate a casa". Era quello di constatare - seriamente, storicamente - che le persone, anche illustri, che nel corso della storia si sono lamentate della degenerazione dei tempi ci sono sempre state, ma, a quanto mi risulta (nella mia enorme ignoranza), l'effetto reale delle loro lamentazioni e apocalittiche previsioni è
sempre stato di rilevanza alquanto scarsa, se non nulla. Questo non implica alcuni giudizio di valore o di merito sui contenuti delle loro argomentazioni.
In particolare il mio discorso sul Leopardi era serio: la corruzione che paventava non si è verificata. Questo significa che il Sommo fece male a scrivere quel che scrisse? No di certo. Marco fa male a riproporne il pensiero adattandolo ai tempora e ai mores attuali? No di certo.
La storia umana (anche mitologica) ha sempre avuto, in ogni epoca, i suoi Catoni e le sue Cassandre, ma il loro influsso sullo sviluppo degli eventi è sempre stato pressoché nullo - anche quando, come Cassandra, avevano tutte le ragioni del mondo.
Ultima modifica di Bue in data mar, 12 dic 2006 11:21, modificato 1 volta in totale.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Il fatto che Leopardi potrebbe aver detto cose simili è insignificante in questa sede, in un verso o nell’altro.

Focalizziamo la nostra attenzione sulle importanti questioni sollevate da Marco.

È vero che ogni evoluzione linguistica sia sempre positiva? E in che senso?

La lingua ha una sua forma essenziale? Qual è questa forma? Questa forma deve rimanere invariata? Se no, quando si può parlare di cambiamento positivo e quando di corruzione?

Esiste un problema di basso livello culturale degl’italiani? È un problema di oggi o che oggi si è aggravato? A questo problema è legato quello della dipendenza della nostra terminologia scientifica dall’estero?
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
Bue
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Intervento di Bue »

Aderisco alla chemise di bubu e faccio ammenda per essere caduto nella trappola della polemica.
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