Minuzie fonetiche del fiorentino al tempo di Dante
Inviato: sab, 11 ott 2025 4:03
Essendo un amante della poesia antica, cerco sempre di avvicinarmi il più possibile alla pronuncia effettiva che avrebbe usato un dato autore. Ciò è ormai abbastanza facile e alquanto diffuso almeno tra i cultori per il latino e per il greco (chi non ne ha mai sentito parlare, vada cercando il nome di Luke Ranieri in interrete), delle cui pronunzie antiche siamo certi con un grado di sicurezza molto buono. Anche sull'accento di Shakespeare si sono fatte ipotesi abbastanza solide. Dunque mi è venuto il ghiribizzo di saperne quanto più possibile sulla pronuncia al tempo delle tre Corone.
Dalle mie ricerche "pro virili parte" ho ricavato fatti riportati da vari studiosi e relativamente pacifici a quanto pare, principalmente:
a) riguardo le alveolari, la probabile pronuncia già al tempo di /'prEZo, reli'Zoso/ e riguardo le sorde il contrasto poi annullato tra /'baSo/ e /'patSe/, che è fatto noto a chiunque s'interessi di linguistica italiana.
b) il contrasto fino al Rinascimento tra /ts/ singolo e geminato in grazia contro azzione, indotto principalmente dai latinismi (sarei in dubbio su "strazio" che non è proprio un termine classico, ma rima con parole dotte ed ha comunque una natura opaca, dunque mi accontenterò in assenza d'altre prove di ['stratsio]). Tra l'altro Claudio Tolomei nel Polito discopre anche che "Quel Z ch'è in orzo, et oleza, è doppiamente posto; e 'l suo puro e semplice si palesa in zephiro, zoroastro, zizania"; anche da frasi del Salviati deduco quindi l'affermazione più generale che /ts/ e /dz/ non erano ancora autogeminanti, e quindi il sonetto del Petrarca principiava: ['dzEfiro 'torna], certo più leggiadro di come oggi direbbe chi usa la dizione (o quasi chiunque venga dall'Italia centrale) ['dz:Efiro 'torna].
c) fino al XIX secolo e con tutta probabilità già al tempo di Dante era in vigore la distinzione riportata dal Salviati con somma chiarezza tra /'veggi/ "ch'io veda" e /'veggji/ (o /'veɟɟi/ come lo si voglia analizzare) "tu vegli", e tra /'sekki/ "senz'acqua" e /'sekkji/ (/'secci/) "recipienti", a cui comunque son ben uso perché nel mio stesso dialetto ternano è vitale un contrasto tra sicchi e sicchji.
d) fino al XVIII secolo le congiunzioni e, o, né ebbero pronuncia di semiaperte, non di semichiuse, insomma /E O nE/, e ciò con assoluta sicurezza in base alle attestazioni dei grammatici e concordante l'etimologia.
e) il dittongo /jE/ dopo alveolari, arrivato graficamente fino a noi, era usato davvero fino al XVIII secolo (e dunque cielo e gielo saran pronunciati /'tSjElo, 'dZjElo/.
f) che sulla gorgia mancano dati in tempi medievali, e che se qualche aspirazione fosse stata presente in tempi danteschi probabilmente avrebbe riguardato solo le velari o addirittura solo /k/.
Se qualcosa fin qui l'ho compreso male chi mi risponda ed abbia le conoscenze sarebbe davvero gentile a farmelo notare. Ma passiamo al motivo per cui scrivo qui; chiedo scusa in anticipo se d'ora in poi opererò di fatto uno spreco di caratteri stringendo quelli che per la filologia e la linguistica sono nodi gordiani, per giunta di importanza minima, ma tanto valeva tentare. I miei dubbi riguardan principalmente fatti minori relative ai punti b, c, ed e, ovvero:
1) Se /ts dz/ non erano autogeminanti, e /ts/ dunque poteva avere una variante singola intervocalica nei latinismi ben distinta dalla pronuncia /tsts/ nelle parole volgari, parole come Nazaret, Lazaro o amazone potevano avere una pronuncia con [dz] singolo, almeno nella lingua dei colti? Che comunque sarebbero stati i soli ad avere molta opportunità di usarle, data la loro natura greca o ebraica, presumo. Io a questo punto sarei per un sì, se diamo per buona l'idea che la pronuncia ['gratsia] del volgare - che a quanto pare era ben formata anche nella lingua del volgo se mancano confusioni con /tsts/ nelle carte private del tempo di Dante - è fondamentalmente lo specchio della pronuncia ecclesiastica del tempo. Di fatto, la pronuncia ecclesiastica è essa stessa basata sulle costrizioni fonologiche del toscano al tempo, ed erano le stesse per /dz/ che per /ts/. Solo la maggior rarità e la "foresticità" in latino di quel fono varrebbero come differenze concrete. Tuttavia il fatto che il Tolomei non faccia esempi espliciti di questo tipo e porti solo l'esempio di un /dz/ iniziale mi mette parecchio in dubbio visto che di certo non era un ignorante. Inoltre, chiedo perdono se Nazaret, Lazaro e amazone sono tutte parole sdrucciole e in cui quindi /dz/ è suscettibile di raddoppiamento spontaneo in ogni caso, ma non me ne vengono altre ora, spero che chi risponde mi possa venire in aiuto.
2) Se e, né, o erano detti /E nE O/, c'è qualche suggerimento da qualche parte di una possibile pronuncia /pEr/ in tempi danteschi? E' noto che nel rinascimento la pronuncia chiusa si fosse già affermata, così mi risulta dalla lettera del Trissino, ed anzi la Chiave della Toscana Pronunzia di Bernardino Ambrogi https://www.google.it/books/edition/Chi ... frontcover, che conferma esplicitamente il valore aperto per e, né ed implicitamente per o, la riporta come prima tra le eccezioni alla "regola" dell'apertura della E prima di R: "Per, Pero, solamente quando non è Verbo, dicendosi allora Pèro, che è l'istesso, che Perisco, Cera, Vero, sia nome, od avverbio...". Però l'etimologia concorderebbe con una possibile pronuncia aperta, che di sicuro è quella volgare che ha portato alle forme tipo par in varie lingue galloromanze. Notabilmente (?) nella Toscana medievale, nonostante molti oscillamenti nelle pretoniche e nel nesso -er-, forme del tipo in -a- non si ritrovino. Che possa essere accettabile come prova di una chiusura antica? C'è, in assoluto, un qualunque indizio?
3) In ultimo: parole come "scienza, sciente, nesciente" prima dell'eliminazione di /j/ in cielo, gielo sarebbero state pronunciate con un dittongo anch'esse? Spesso la -i- fa sillaba in poesia, e quindi uno si aspetterebbe una pronuncia effettiva, ma lo stesso si può dire per "religione" o "ufficiale" (di certo in poeti successivi sì. Era lo stesso al tempo di Dante per questi due suoni o sto prendendo una cantonata colossale? c'è il "Flegïàs, Flegïàs", ma non mi vengono in mente parole più ordinarie... probabilmente sì, ad ogni modo). Si può tirar dentro la pronuncia napoletana, ma quella potrebbe forse essere definita più una lettura in base all'ortografia come in "cielo", che di certo alcuni dicono così in italiano solo per com'è scritto.
In ogni caso, qualsiasi forma di aiuto, pure fosse un'indicazione su dove continuare le mie ricerche, sarebbe di valore inestimabile.
Dalle mie ricerche "pro virili parte" ho ricavato fatti riportati da vari studiosi e relativamente pacifici a quanto pare, principalmente:
a) riguardo le alveolari, la probabile pronuncia già al tempo di /'prEZo, reli'Zoso/ e riguardo le sorde il contrasto poi annullato tra /'baSo/ e /'patSe/, che è fatto noto a chiunque s'interessi di linguistica italiana.
b) il contrasto fino al Rinascimento tra /ts/ singolo e geminato in grazia contro azzione, indotto principalmente dai latinismi (sarei in dubbio su "strazio" che non è proprio un termine classico, ma rima con parole dotte ed ha comunque una natura opaca, dunque mi accontenterò in assenza d'altre prove di ['stratsio]). Tra l'altro Claudio Tolomei nel Polito discopre anche che "Quel Z ch'è in orzo, et oleza, è doppiamente posto; e 'l suo puro e semplice si palesa in zephiro, zoroastro, zizania"; anche da frasi del Salviati deduco quindi l'affermazione più generale che /ts/ e /dz/ non erano ancora autogeminanti, e quindi il sonetto del Petrarca principiava: ['dzEfiro 'torna], certo più leggiadro di come oggi direbbe chi usa la dizione (o quasi chiunque venga dall'Italia centrale) ['dz:Efiro 'torna].
c) fino al XIX secolo e con tutta probabilità già al tempo di Dante era in vigore la distinzione riportata dal Salviati con somma chiarezza tra /'veggi/ "ch'io veda" e /'veggji/ (o /'veɟɟi/ come lo si voglia analizzare) "tu vegli", e tra /'sekki/ "senz'acqua" e /'sekkji/ (/'secci/) "recipienti", a cui comunque son ben uso perché nel mio stesso dialetto ternano è vitale un contrasto tra sicchi e sicchji.
d) fino al XVIII secolo le congiunzioni e, o, né ebbero pronuncia di semiaperte, non di semichiuse, insomma /E O nE/, e ciò con assoluta sicurezza in base alle attestazioni dei grammatici e concordante l'etimologia.
e) il dittongo /jE/ dopo alveolari, arrivato graficamente fino a noi, era usato davvero fino al XVIII secolo (e dunque cielo e gielo saran pronunciati /'tSjElo, 'dZjElo/.
f) che sulla gorgia mancano dati in tempi medievali, e che se qualche aspirazione fosse stata presente in tempi danteschi probabilmente avrebbe riguardato solo le velari o addirittura solo /k/.
Se qualcosa fin qui l'ho compreso male chi mi risponda ed abbia le conoscenze sarebbe davvero gentile a farmelo notare. Ma passiamo al motivo per cui scrivo qui; chiedo scusa in anticipo se d'ora in poi opererò di fatto uno spreco di caratteri stringendo quelli che per la filologia e la linguistica sono nodi gordiani, per giunta di importanza minima, ma tanto valeva tentare. I miei dubbi riguardan principalmente fatti minori relative ai punti b, c, ed e, ovvero:
1) Se /ts dz/ non erano autogeminanti, e /ts/ dunque poteva avere una variante singola intervocalica nei latinismi ben distinta dalla pronuncia /tsts/ nelle parole volgari, parole come Nazaret, Lazaro o amazone potevano avere una pronuncia con [dz] singolo, almeno nella lingua dei colti? Che comunque sarebbero stati i soli ad avere molta opportunità di usarle, data la loro natura greca o ebraica, presumo. Io a questo punto sarei per un sì, se diamo per buona l'idea che la pronuncia ['gratsia] del volgare - che a quanto pare era ben formata anche nella lingua del volgo se mancano confusioni con /tsts/ nelle carte private del tempo di Dante - è fondamentalmente lo specchio della pronuncia ecclesiastica del tempo. Di fatto, la pronuncia ecclesiastica è essa stessa basata sulle costrizioni fonologiche del toscano al tempo, ed erano le stesse per /dz/ che per /ts/. Solo la maggior rarità e la "foresticità" in latino di quel fono varrebbero come differenze concrete. Tuttavia il fatto che il Tolomei non faccia esempi espliciti di questo tipo e porti solo l'esempio di un /dz/ iniziale mi mette parecchio in dubbio visto che di certo non era un ignorante. Inoltre, chiedo perdono se Nazaret, Lazaro e amazone sono tutte parole sdrucciole e in cui quindi /dz/ è suscettibile di raddoppiamento spontaneo in ogni caso, ma non me ne vengono altre ora, spero che chi risponde mi possa venire in aiuto.
2) Se e, né, o erano detti /E nE O/, c'è qualche suggerimento da qualche parte di una possibile pronuncia /pEr/ in tempi danteschi? E' noto che nel rinascimento la pronuncia chiusa si fosse già affermata, così mi risulta dalla lettera del Trissino, ed anzi la Chiave della Toscana Pronunzia di Bernardino Ambrogi https://www.google.it/books/edition/Chi ... frontcover, che conferma esplicitamente il valore aperto per e, né ed implicitamente per o, la riporta come prima tra le eccezioni alla "regola" dell'apertura della E prima di R: "Per, Pero, solamente quando non è Verbo, dicendosi allora Pèro, che è l'istesso, che Perisco, Cera, Vero, sia nome, od avverbio...". Però l'etimologia concorderebbe con una possibile pronuncia aperta, che di sicuro è quella volgare che ha portato alle forme tipo par in varie lingue galloromanze. Notabilmente (?) nella Toscana medievale, nonostante molti oscillamenti nelle pretoniche e nel nesso -er-, forme del tipo in -a- non si ritrovino. Che possa essere accettabile come prova di una chiusura antica? C'è, in assoluto, un qualunque indizio?
3) In ultimo: parole come "scienza, sciente, nesciente" prima dell'eliminazione di /j/ in cielo, gielo sarebbero state pronunciate con un dittongo anch'esse? Spesso la -i- fa sillaba in poesia, e quindi uno si aspetterebbe una pronuncia effettiva, ma lo stesso si può dire per "religione" o "ufficiale" (di certo in poeti successivi sì. Era lo stesso al tempo di Dante per questi due suoni o sto prendendo una cantonata colossale? c'è il "Flegïàs, Flegïàs", ma non mi vengono in mente parole più ordinarie... probabilmente sì, ad ogni modo). Si può tirar dentro la pronuncia napoletana, ma quella potrebbe forse essere definita più una lettura in base all'ortografia come in "cielo", che di certo alcuni dicono così in italiano solo per com'è scritto.
In ogni caso, qualsiasi forma di aiuto, pure fosse un'indicazione su dove continuare le mie ricerche, sarebbe di valore inestimabile.