«Io e te» o «io e tu»?
Moderatore: Cruscanti
«Io e te» o «io e tu»?
Ho sempre detto (e sentito dire) "Io e te" per fare riferimento a due soggetti, cioé la mia persona e la persona con cui sto interloquendo. Ma una mia collega usa ostinatamente la forma "Io e tu". Da un lato, mi sembrerebbe di poterle dare ragione, atteso che entrambi i pronomi svolgono la funzione logica di soggetto ("Io e tu lavoriamo..."): ma, dall'altro lato, sono così abituato a sentire e leggere l'altra forma... Qual è quella giusta?
P.S.: spero di non essere espulso dal sito per l'eventuale banalità del quesito...
P.S.: spero di non essere espulso dal sito per l'eventuale banalità del quesito...
- u merlu rucà
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- Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41
Un interessante articolo della Crusca proprio su questo argomento qui
Sarà che sono poco paziente, ma io trovo spesso questi articoli della Crusca poco efficaci: alla fine mi stanco di leggere tutta la storia di che cosa riportano le varie grammatiche, e vorrei sapere se secondo l'Accademia un certo uso si debba evitare o no. E questo mi sembra sempre troppo poco chiaro...
- Infarinato
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«Tu e io», «io e te», ??«io e tu»
Siamo d’accordo.Bue ha scritto:Sarà che sono poco paziente, ma io trovo spesso questi articoli della Crusca poco efficaci…

Comunque,
«Traducendo»: io e tu, pur essendo «teoricamente» possibile (cioè sul piano della pura norma grammaticale), è [oggigiorno] marginalissimo (addirittura agrammaticale per la [ivi citata] GGIC); tu e io è ineccepibile, ma [almeno in molte parti d’Italia] sentito come decisamente formale; io e te è ormai normale e d’uso comune in tutti i registri [anche i piú formali] dello scritto e del parlato.Matilde Paoli [url=http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=8361&ctg_id=93]qui[/url] ha scritto:Per concludere, se anche non possiamo certo ritenere scorretta la sequenza io e tu, in luogo di io e te o di tu e io, pensiamo che si tratti di una possibilità della norma ormai destinata a perdersi.
L’Accademia ha da gran tempo cessato di essere un’«accademia»: sono i pareri di singoli studiosi, non v’è unità. E potrebbe mutare il motto Il piú bel fior ne coglie in Regolatevi come vi pare.
Per dare una risposta chiara, basterebbe dire che io e te è forma cristallizzata e correttissima in italiano.
Per dare una risposta chiara, basterebbe dire che io e te è forma cristallizzata e correttissima in italiano.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- u merlu rucà
- Moderatore «Dialetti»
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- Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41
Perlomeno in questo caso il testo è stato sapientemente paragrafato, e la risposta chiara e concisa era esplicitamente introdotta da quel "Per concludere", paragrafo già riportato da Infarinato...Bue ha scritto:Sarà che sono poco paziente, ma io trovo spesso questi articoli della Crusca poco efficaci: alla fine mi stanco di leggere tutta la storia di che cosa riportano le varie grammatiche, e vorrei sapere se secondo l'Accademia un certo uso si debba evitare o no. E questo mi sembra sempre troppo poco chiaro...

- Ferdinand Bardamu
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- Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
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La formula io e te rimonta almeno all’Ottocento. Ecco tre esempi letterari.
Essa non fa nessun conto del bene che le vogliamo noi, io e te, Napo, per esempio, e parla di voler morire, così, come se non le importasse nulla di chi le vuol bene… (De Marchi, Arabella)
E va bene! vuol dire che resteremo qua in prigione, Didí, senti? io e te, sempre... ti piace, eh? (Pirandello, La ragione degli altri)
Ah, è possibile questo? Dimmi, dimmi. Io sono perduta, tu ti perdi: ma bisogna che io salvi mio figlio, che tu salvi tuo fratello. Io e te non vogliamo dar tutto per lui? (D’Annunzio, Il ferro)
Si trova persino in poesia; ricordo questi versi di Quasímodo:
…quando pensavo di leggerti, ma piano,
(io e te, mamma, in un angolo in penombra)
la parabola del prodigo… (I ritorni)
Piú frequente, in letteratura, il tipo tu e io, e naturalmente io e tu (che non esemplifico perché sono stanco).
Essa non fa nessun conto del bene che le vogliamo noi, io e te, Napo, per esempio, e parla di voler morire, così, come se non le importasse nulla di chi le vuol bene… (De Marchi, Arabella)
E va bene! vuol dire che resteremo qua in prigione, Didí, senti? io e te, sempre... ti piace, eh? (Pirandello, La ragione degli altri)
Ah, è possibile questo? Dimmi, dimmi. Io sono perduta, tu ti perdi: ma bisogna che io salvi mio figlio, che tu salvi tuo fratello. Io e te non vogliamo dar tutto per lui? (D’Annunzio, Il ferro)
Si trova persino in poesia; ricordo questi versi di Quasímodo:
…quando pensavo di leggerti, ma piano,
(io e te, mamma, in un angolo in penombra)
la parabola del prodigo… (I ritorni)
Piú frequente, in letteratura, il tipo tu e io, e naturalmente io e tu (che non esemplifico perché sono stanco).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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- Iscritto in data: lun, 11 apr 2005 4:37
Concordo con lei, Ferdinand. Come dice Giovanni Nencioni in un articolo proprio su questo argomento - La Crusca per voi n. 19, ottobre 1999 - mettere io in coda è un atto di civiltà.Ferdinand Bardamu ha scritto:Io e te è forma oramai ineccepibile, io, però, cerco di sostituirla con tu e io quando posso; e non tanto per via di quel te soggetto, ma per l'egocentrismo che sottende. Ma è una mia ubbia, lo riconosco.
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- Iscritto in data: lun, 11 apr 2005 4:37
Re: «Tu e io», «io e te», ??«io e tu»
Io non lo sento per niente formale; come si può parlare di formalità se ci si dà del tu?Infarinato ha scritto:... tu e io è ineccepibile, ma [almeno in molte parti d’Italia] sentito come decisamente formale;...
Ci possono essere diversi gradi nella formalità e informalità. Per esempio, in alcuni ambienti professionali si dà del tu anche al capo, senza tuttavia essere in confidenza come vecchi amici.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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- Iscritto in data: lun, 11 apr 2005 4:37
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