Leggo nella pagina iniziale del Corriere della Sera:
Al telefono il pianto a dirotto di Cirino Pomicino
Ora, l’uso di questa locuzione avverbiale con un sostantivo mi pare una chiara improprietà: di norma a dirotto dovrebbe accompagnare un verbo, come in piangere a dirotto e piovere a dirotto. L’espressione cristallizzata, l’unica presente nella nostra tradizione letteraria, è pianto dirotto:
Agnese, nell'abbracciar la buona donna, die’ in un pianto dirotto, che le fu d’un gran sollievo; e rispondeva con singulti alle domande che quella e il marito le facevano di Lucia. (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, redazione del 1827)
Alla dichiarazione esplicita di Alfonso, ella scoppiò in pianto dirotto, si alzò, uscì chiudendo con violenza la porta e si gettò fra le braccia della madre ch’era sola in tinello. (Italo Svevo, Una vita)
Vorrei dirti di grandi cose: mi passano per la mente; vi sto pensando! — m’ingombrano il cuore, s’affollano, si confondono: non so più da quale io mi debba incominciare; poi tutto a un tratto mi sfuggono, e prorompo in un pianto dirotto. (Ugo Foscolo, Ultime lettere di Iacopo Ortis)
La vergogna di Dante senza lacrime e sospiri giunge a poco a poco sino al pianto dirotto. (Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana)
«A dirotto»
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