Il ministro commossa
Moderatore: Cruscanti
Il ministro commossa
È un tema discusso per decenni, su cui ognuno ha voluto dire la sua, da quando le donne hanno cominciato ad esercitare mestieri e a rivestire cariche prima riservate agli uomini; ma forse, insisto sul forse, a questo non eravamo ancora arrivati.
Un giornale radio ci racconta che «il ministro, presente al funerale, era commossa» (non è un mio errore di battuta). Qualche giorno prima avevamo appreso, a proposito di un altro esponente femminile del governo, che «il ministro è soddisfatta». Capito? Il sostantivo maschile applicato a una signora può andare, ma l’aggettivo no, è troppo — e tanto peggio per la sintassi. Possibile che non ci sia un articolo del codice penale a sanzionare simili obbrobri? Ad adottare ministra accanto a ministro non ci hanno potuto persuadere né l’analogia formale con la coppia sinistro-sinistra, né la parentela etimologica con maestro-maestra.
Quasi tutti i giorni, poi, sentiamo nominare il cancelliere Angela. (Il partito della cancelliera esiste, ma mi sembra in minoranza.) Domanda: chi si esprime cosí, si fa servire da un cameriere, assistere da un infermiere, paga al cassiere, anche se in tutti questi casi si tratta di signore e signorine? I Tedeschi non hanno esitato ad adottare una parola che finora, per cosí dire, esisteva solo virtualmente: Kanzlerin, Bundeskanzlerin, cosí come dicono regolarmente Ministerin.
Nei primi anni Ottanta circolava in Italia il film francese La banchiera, stavolta al femminile, un po’ forse per influsso del titolo originale La banquière, ma piú perché un banchiere con le sembianze di Romy Schneider sarebbe stato troppo anche per i neoitaliani.
L’unica parola di questo campo che ha avuto un successo incontrastato è senatrice, adottato in tempi ormai lontani, quando la signora senatore sembrava ancora una stonatura. L’intenzione era buona, ma la soluzione a me pare discutibile, anche se nel basso latino è attestato senātrix, nel senso di ‘moglie del senatore’.
Un giornale radio ci racconta che «il ministro, presente al funerale, era commossa» (non è un mio errore di battuta). Qualche giorno prima avevamo appreso, a proposito di un altro esponente femminile del governo, che «il ministro è soddisfatta». Capito? Il sostantivo maschile applicato a una signora può andare, ma l’aggettivo no, è troppo — e tanto peggio per la sintassi. Possibile che non ci sia un articolo del codice penale a sanzionare simili obbrobri? Ad adottare ministra accanto a ministro non ci hanno potuto persuadere né l’analogia formale con la coppia sinistro-sinistra, né la parentela etimologica con maestro-maestra.
Quasi tutti i giorni, poi, sentiamo nominare il cancelliere Angela. (Il partito della cancelliera esiste, ma mi sembra in minoranza.) Domanda: chi si esprime cosí, si fa servire da un cameriere, assistere da un infermiere, paga al cassiere, anche se in tutti questi casi si tratta di signore e signorine? I Tedeschi non hanno esitato ad adottare una parola che finora, per cosí dire, esisteva solo virtualmente: Kanzlerin, Bundeskanzlerin, cosí come dicono regolarmente Ministerin.
Nei primi anni Ottanta circolava in Italia il film francese La banchiera, stavolta al femminile, un po’ forse per influsso del titolo originale La banquière, ma piú perché un banchiere con le sembianze di Romy Schneider sarebbe stato troppo anche per i neoitaliani.
L’unica parola di questo campo che ha avuto un successo incontrastato è senatrice, adottato in tempi ormai lontani, quando la signora senatore sembrava ancora una stonatura. L’intenzione era buona, ma la soluzione a me pare discutibile, anche se nel basso latino è attestato senātrix, nel senso di ‘moglie del senatore’.
- Ferdinand Bardamu
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- Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
- Località: Legnago (Verona)
La morfologia ibrida del femminile dei nomi di carica è stata purtroppo inaugurata ormai da lunga pezza ed è un morbo difficile da curare.
Declinare tutt’i nomi di carica sarebbe piú semplice, piú logico e piú rispettoso dell’eguaglianza tra i sessi.
D’altro canto, la grammatica dovrebbe avere la priorità comunque: si dice «Il sublime soprano Maria Callas» e «l’attenta guardia», anche se, in quest’ultimo caso, ci si riferisce a un uomo. Quindi, se proprio si sceglie il maschile di un nome di carica anche per una donna, si deve coerentemente declinare al maschile anche l’aggettivo e l’articolo.
Di questo argomento abbiamo già discusso in lungo e in largo nel nostro fòro.

Declinare tutt’i nomi di carica sarebbe piú semplice, piú logico e piú rispettoso dell’eguaglianza tra i sessi.
D’altro canto, la grammatica dovrebbe avere la priorità comunque: si dice «Il sublime soprano Maria Callas» e «l’attenta guardia», anche se, in quest’ultimo caso, ci si riferisce a un uomo. Quindi, se proprio si sceglie il maschile di un nome di carica anche per una donna, si deve coerentemente declinare al maschile anche l’aggettivo e l’articolo.
Di questo argomento abbiamo già discusso in lungo e in largo nel nostro fòro.
Brrr.Manutio ha scritto:Ad adottare…

- Ferdinand Bardamu
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Ch’io sappia, comunque può essere usato anche con funzione avverbiale (vedi il Gabrielli). Però comprendo che un purista come lei possa riprovare il comunque non accompagnato da un verboManutio ha scritto:Touché. Cerco di restituire la stoccata: mi pare che comunque voglia sempre il verbo ('comunque sia').

L'uso di comunque non seguito da verbo, ripreso da alcuni puristi, rientra nella funzione di cong. testuale, identica a quella di altri connettivi (tuttavia, mentre, dunque, perciò, così ecc.) e di altre cong. che hanno assunto autonomia nella dimensione del testo (vedi benché, sebbene, casomai ecc.). Tale uso è attestato già a metà dell'Ottocento (dal Tommaseo) e abbonda nella narrativa contemporanea: “O manovale o impiegato o ingegnere, non fa differenza. Comunque, tu Corsini sei uno che ha voluto e saputo elevarsi” (Pratolini)
Comunque (;)), la ringrazio, perché non sapevo che fosse incappato nella censura puristica. Ora l’userò con consapevolezza.
- Ferdinand Bardamu
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V. regola fantasma n° 20.Manutio ha scritto:...mi pare che comunque voglia sempre il verbo ('comunque sia').
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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