Vorrei qui fare alcune considerazioni di natura squisitamente fonomorfologica (i.e. «strutturale») per vedere se e fino a che punto si possa effettivamente parlare di «[terzo] sistema fonologico». Ringrazio Bubu7, Roberto Crivello e Marco1971 per aver citato in piú luoghi molti dei brani utili alla discussione, risparmiandomi cosí indirettamente la fatica di ricopiarli.
Ecco i passi essenziali, tutti tratti dal Linguaggio d’Italia (Devoto 1974: cfr. anche Devoto 1953):
Devoto (1974) ha scritto:150. IL PRIMO SISTEMA FONOLOGICO ITALIANO
Parlare di un equilibrio assestato e perciò stesso di un sistema valido per tutto il territorio italiano, è impossibile. Ma, alla vigilia di constatare che lo scettro del comando, la validità del simbolo di italianità generale sta per essere assunto dal fiorentino, ecco che pare opportuno fissare i tratti fondamentali del sistema consolidato in questo tempo, intendendo con questo di fissare il «primo sistema fonologico italiano», di base fiorentina, quale si era venuto configurando a partire dal IX secolo. I suoi tratti consistono in svolgimenti che sono stati illustrati in paragrafi precedenti: A) si eliminano le parole sdrucciole in tutti quei casi, in cui il risultato degli scontri fonetici non era controproducente: SOLIDU diventa soldo, NITIDU diventa netto, di fronte a NUMERU che diventa novero, non NOMBRO. B) Le vocali E e O aperte in sillaba libera dittongano, almeno negli strati superiori: METIT diventa miete, NOVU diventa nuovo. C) Le consonanti finali vengono eliminate, METIT diventa miete, CAPUT capo. D) I gruppi di consonanti si assimilano in senso regressivo: CT diventa TT, cosí PT: FACTU diventa fatto, RUPTU rotto. E) I gruppi di consonante + L vengono palatalizzati in forma blanda secondo gli esempi di CLAVE che diventa chiave, PLENU che diventa pieno, FLAMMA che diventa fiamma, GLAREA che diventa ghiaia, BLANCU che diventa bianco. Altre palatalizzazioni hanno sviluppo unitario solo in parte: PLATJA diventa piazza, come MEDJU diventa mezzo. Ma HODJE si ferma al livello di it. oggi, secondo un rapporto che non ha paralleli nel sistema e non è suscettibile di una interpretazione chiara neanche sul piano geografico (cfr. MODIU che diventa “moggio”).
Devoto (1974) ha scritto:174. 2º SISTEMA FONOLOGICO ITALIANO
Le conseguenze di queste immissioni massicce [di latinismi (NdI)] si ripercuotono sul sistema fonematico italiano di base fiorentina: le strutture consolidate nei secoli IX–XII (v. §150) non bastano piú. Di questo rimangono ben fermi solo due caratteri entrambi negativi: la esclusione delle consonanti in posizione finale; la esclusione della ‑U non accentata in posizione finale. In contrasto invece col sistema precedente si impongono cinque importanti novità: la accettazione indiscriminata di parole sdrucciole e cioè dei tipi solido in confronto dei tipi soldo, i soli atti messi nel precedente sistema; la accettazione dei gruppi di “consonante + L”, che prima venivano invece inesorabilmente palatalizzati in “consonante + J” p. es. il tipo plebe che si affianca al tipo pieve, il solo ammesso nel sistema precedente; la fusione della pronuncia toscana della affricata di aceto, dieci, da originario latino K, con la spirante di bacio brucia, da un antecedente SJ; la persistenza della B intervocalica, che, nelle parole di tradizione ininterrotta, era soggetta invece alla lenizione in V, come nel caso appena citato di pleBe di fronte a pieVe; infine la arbitrarietà della apertura delle vocali E e O nelle parole, introdotte dal latino o da altre lingue. La pronuncia aperta di bello, collo è dovuta a ragioni storiche, radicate nel latino, integrate nel primo sistema fonologico italiano, e come tali o accettate nel secondo. Ma la pronuncia aperta di problèma è una scelta casuale, introdotta insieme con la parola, priva di giustificazioni storiche (cfr. §239). Essa vale come modello di pronuncia normale italiana non per ragioni storiche, ma come atto di forza del modello fiorentino, non contestato dagli italiani delle altre regioni. Allo stesso modo le parole latine iustitia vitium sono state accolte come “giustizia” “vizio”, perché nessuno poteva piú ricordare che nel latino volgare quelle I erano I aperte, e quindi destinate a sfociare nel suffisso italiano ‑ezza, o nella parola italiana vezzo.
La indipendenza del secondo sistema fonologico italiano rispetto al primo è stata determinata dalla fiumana di parole latine di tradizione interrotta che, per essere accolta, HA IMPOSTO ritocchi vistosi il le strutture italiane, quali si erano assestate fra i secoli IX e XII.
[…]
Seguono alcune osservazioni. (Nel prosieguo per «terzo sistema fonologico» intendo i tratti specifici che lo differenziano dal secondo, ovvero l’insieme dei vocaboli appartenenti al terzo, ma non al secondo. Si tratterebbe quindi piú precisamente di un «terzo sistema fonotattico» [l’inventario dei fonemi non cambia].)Devoto (1974) ha scritto:240. [3º SISTEMA FONOLOGICO:] I GRUPPI DI CONSONANTI
[Le caratteristiche generali del terzo sistema fonologico possono essere reperite in un qualsiasi manuale di (fonetica) e fonologia (italiana). Il riferimento classico è Muljačić (1972): cfr. anche Mioni (1993) e Canepàri (1999) (NdI).]
XI) Tuttavia la caratteristica principale del 3º sistema fonologico italiano sta nella regolamentazione delle finali consonantiche di parole straniere che si vedono accettate quando si tratti di consonanti isolate come in baR, gaS, gaP; oppure in gruppi di consonanti, di cui la prima sia continua e la seconda momentanea; oppure «piú» continua della precedente. sport film sono perfettamente inseriti, mentre sarebbero impensabili gli adattamenti dei francesi act(e) o t(h)eatr(e).
XII) Per quanto riguarda i gruppi di consonanti, l’assetto è lungi dall’esser raggiunto. Non si può parlare solo di gruppi ammessi e di gruppi esclusi, ma bisogna riconoscerne anche di parziali, intermedi, facoltativi: ammessi in determinati settori tecnici, ma non dappertutto, e non in modo definitivo.
Incompatibilità persistenti sono i gruppi di nasale piú liquida (aNLa), i gruppi VL, DL (aVLa, aDLa), i gruppi di sorda piú sonora (aPBa) o di sonora piú sorda (aBPa). Ma nel lessico tecnico si trovano serie non assimilate di sorda piú sorda come PTerodattilo o CTonio; di sonora piú sonora come BDellio. Non ha possibilità di espansione un gruppo come pn eppure compare in una parola fondamentale come PNeumatico. Casi estremi, sempre tecnici sono suBSTRato, feLDSPato, tuNGSTeno, ma sarebbe grottesco affermare che il sistema italiano tollera i gruppi BSTR, LDSP, NGST.
Certo, una maggiore elasticità si diffonde, e l’abbandono della vocale protetica facoltativa nei tipi in (I)spagna, in (i)scuola ne è una prova. Ma soprattutto si deve vedere qui un altro aspetto del processo (che si vedrà di nuovo a proposito dei procedimenti di derivazione) per il quale si tende a passare da un sistema linguistico «chiuso» a uno «aperto», cosí nel campo fonetico, come in quello morfologico della derivazione delle parole (§242 [le considerazioni ivi contenute sono senz’altro interessanti e, secondo l’opinione di chi scrive, piú condivisibili di quelle fonologiche, ma ininfluenti ai fini della presente discussione (NdI).]).
- Devoto, fine glottologo, non era però un fonetista nel senso proprio del termine, per cui non possiamo pretendere da lui l’accuratezza terminologica o classificatoria d’un Canepàri: in particolare, nei saggi in esame, si trovano spesso considerazioni grafematiche miste ad altre piú propriamente fonematiche, e ora considera l’«italiano normale» (o «standard»), ora l’insieme dei vari italiani regionali (il «linguaggio d’Italia», appunto)… Nulla di grave in tutto ciò, ma il lettore meno esperto di fatti fonetici farà bene a tenerne conto.
- Riguardo al «primo sistema fonologico» e al passaggio da questo al «secondo», stupisce la mancanza di qualsiasi riferimento alla tendenza dell’italiano antico a evitare, oltre alle sdrucciole, anche le parole tronche (relativamente poche, specialmente in mancanza di quelle [poi sistematicamente] prodottesi per apocope aplologica) mediante epitesi di -e o -ne (che arriva fino a Dante): e.g., síe (= sí), nòe (= no), cosíe (= cosí), piúe (= piú), virtúe (= virtú, accanto all’allora piú usuale virtute/-de), trovòe (= trovò), salíne (= salí), vane (= va), fane (= fa: cfr., e.g., Patota 2002).
- L’affermazione evidenziata qui sotto merita un breve commento.
Devoto (1974) ha scritto:Le conseguenze di queste immissioni massicce [di latinismi (NdI)] si ripercuotono sul sistema fonematico italiano di base fiorentina: le strutture consolidate nei secoli IX–XII (v. §150) non bastano piú. Di questo rimangono ben fermi solo due caratteri entrambi negativi: la esclusione delle consonanti in posizione finale; la esclusione della ‑U non accentata in posizione finale.
- Innanzitutto, essa costituisce un indiretto riconoscimento (né potrebbe essere altrimenti) del profondo radicamento del «vincolo» in questione nella fonotassi italiana;
- secondariamente, va precisato che la «negatività» dei sopraccitati caratteri è da ricollegarsi al precedente paragrafo sull’«arricchimento lessicale». E, tuttavia, anche questo è un giudizio soggettivo: è senz’altro vero che è piú facile (immediato) assorbire nel proprio lessico vocaboli senza dover operare trasformazione alcuna, ma (i) lingue come lo spagnolo o i nostri dialetti centromeridionali hanno sempre adattato e continuano a adattare i forestierismi naturalmente e (ii) si pone il non facile problema (q.v. infra) di stabilire se e quando un particolare esotismo possa considerarsi —sul piano fonomorfologico— parte integrante del sistema.
- Aspettiamo di leggere il capitolo di Larson dedicato all’argomento, ma mi pare di poter dire che il «secondo sistema fonologico» del Devoto è in realtà il secondo (e ultimo) sistema fonologico dell’italiano antico, ma il «primo» dell’italiano. E questo se non altro perché tale sistema fa probabilmente la sua prima comparsa nel corso del XIII secolo e le Tre Corone scrivono nel XIII–XIV secolo (le Prose della volgar lingua del Bembo sono del 1525). Per inciso, si noti che rientrerebbero a pieno titolo in questo sistema anche gorgia e (in virtú di 5b) attenuazione [toscane], ché sono fenomeni fonetici, non fonologici.
- Parlerei invece di «secondo» sistema fonologico dell’italiano per quello che si sviluppa a partire dal Cinquecento quando si fissa la «grafia fonetica» dell’italiano (cfr. Camilli & Fiorelli 1965, p. 109) e conseguentemente si sviluppa una «lettura pedissequa» di quei nessi consonantici [perlopiú greci, a inizio o in corpo di parola] che non rientra[va]no nella fonotassi genuina della lingua(*)… tanto piú che:
- all’inizio del XVI secolo si verifica la neutralizzazione /VtsV~VtstsV > VtstsV/ (nazione [< natione(m)], voce dotta da base latina con -ti-, ~ azione [< actione(m)], concezione [< conceptione(m)], voci dotte da basi latine con -cti-, -pti- [sempre /VtstsV/ nelle parole di tradizione ininterrotta: e.g., pezza < *pettia(m): cfr. Serianni 1989, p. 19), e questo è senz’altro un chiaro mutamento fonologico, non puramente fonotattico;
- la citata [dal Devoto] «confluenza» in [S Z] (anche per le parole, cioè, in cui la presenza di [S Z] non è giustificata da ragioni di fonetica storica) è, appunto, toscana, non propriamente «italiana».
- Non è chiaro (da un punto di vista prettamente fonologico, non ovviamente della frequenza d’uso/disponibilità) come mai parole quali abstract, compact [disc], maître non rientrerebbero nel sistema, mentre sport e film sí. Si tratta, nel caso di ct, rt e lm, di nessi [generalmente considerati] eterosillabici, che [rimanendo all’interno del «secondo» sistema] compaiono solo in corpo di parola (ct anche all’inizio), mentre tr è tautosillabico e compare a inizio e in corpo di parola; ct ricorre solo in parole dotte, mentre rt, lm e tr in parole sia dotte sia popolari. Rimane il fatto che l’introduzione di rt e lm in un «[terzo] sistema fonologico» dev’essere giustificata né piú né meno di quella di ct e tr (…e infatti D’Achille 2003 non distingue piú fra le varie code ramificate).
- Ma soprattutto il «terzo» del Devoto non «fa sistema» perché non è [fonomorfologicamente] «produttivo», ché tutti i suffissi produttivi oggi in italiano (segnatamente, le desinenze verbali) rientrano nel secondo, a parte, se proprio si vuole, l’s del plurale degli anglismi non adattati, ma quest’uso è [ancora] minoritario e sconsigliato dai grammatici (cfr., e.g., Serianni 1989, §III.131: tra i dizionari moderni solo il DISC lo ammette esplicitamente, ma sempre come seconda variante [Sabatini & Coletti 2002]), e soprattutto, «perché si possa parlare di effettivo p[restito <fono>morfologico] occorrerebbe che la s si affiggesse anche a parole indigene: eventualità del tutto inverosimile» (Serianni 1989, pp. 747–8, s.v. prestito). È sostanzialmente un sistema [fonomorfologicamente, non lessicalmente] «chiuso» (altro che «aperto»!): ad esso appartengono solo alcune parole «portate di peso» nella nostra lingua e nessun’altra, nemmeno quelle da esse derivate.
Concludendo, il «terzo sistema fonologico» del Devoto si può considerare tale solo nel senso [minimalistico] d’«insieme necessario per classificare un buon numero di forestierismi non adattati correntemente in uso in italiano, nonché l’attuale tendenza dei parlanti al mancato adattamento» (delle cui motivazioni s’è discusso ampiamente su queste pagine). Esso è la formalizzazione di quest’innegabile tendenza, ma, s’un piano squisitamente strutturale, è molto piú semplicemente analizzabile come «serie di eccezioni al [secondo] sistema fonologico italiano».
Ecco perché parlare di «mutamento strutturale» è a mio avviso fuori luogo. Anche il termine «ampliamento» (che comunque è, stricto sensu, una forma di «mutamento»), sebbene tecnicamente accettabile, appare esagerato, trattandosi di un ampliamento «fonomorfologicamente sterile»(**).
E per spiegare la posizione dei «puristi strutturali» ci potremmo anche fermare qui: per le ragioni anzidette, i vocaboli appartenenti al «terzo sistema fonologico» non possono dirsi «strutturalmente italiani», neanche per l’italiano di oggi.
Tuttavia, «struttura» è anche il lessico, sicché, se i vocaboli appartenenti al «terzo sistema», ancorché rappresentanti una «classe chiusa» nel senso di cui sopra, costituissero davvero una parte cospicua del nostro vocabolario, dovremmo prendere atto che siamo effettivamente in presenza d’una qualche forma di «mutamento strutturale».
Alle statistiche gentilmente riportate da Bubu, che testimoniano la relativa scarsità [attuale] dei forestierismi in italiano, voglio aggiungere alcuni dati piú specifici, da me ottenuti tramite una serie di [elementari] ricerche nell’ultima edizione elettronica del GRADIT (o GDU, i.e. De Mauro 2003: rimando a questa pagina per la definizione delle varie «marche d’uso» e quella di «vocabolario di base»).
I vocaboli con uscita consonantica [effettiva, cioè non meramente grafica] appartenenti al vocabolario di base sono 36 (20, se si escludono quelli uscenti in nasale semplice)(***), cioè lo 0,54% (risp. 0,30%) del totale (6696 vocaboli). Di questi, i fondamentali sono 5 (risp. 4), che rappresentano lo 0,07% (risp. 0,06%) di tutto il vocabolario di base e lo 0,24% (risp. 0,19%) di tutt’i fondamentali (2075 vocaboli).
Ma allora —ci si chiederà— perché i puristi strutturali sono tanto preoccupati?
Perché la tendenza in atto è —com’è del resto sotto gli occhi di tutti— quella di una crescita lenta, ma costante, che produce il «paradosso» cui accennavo in altra occasione: l’attuale afflusso di forestierismi [non adattati] ingrossa sempre di piú una classe [chiusa] di vocaboli destinata a rimanere —magari non lessicalmente(****), ma, salvo [francamente inverosimili] sconvolgimenti, fonomorfologicamente— «marginale», e quindi sempre, in qualche modo, «estranea».
Bibliografia
Camilli, A. & Fiorelli, P. (1965): A. Camilli, Pronuncia e grafia dell’italiano. Firenze: «Sansoni», terza edizione a cura di P. Fiorelli.
Canepàri, L. (1999). Il MaPI. Manuale di Pronuncia Italiana. Bologna: «Zanichelli», seconda edizione.
D’Achille, P. (2003). L’italiano contemporaneo. Bologna: «Il Mulino».
De Mauro, T. (2003). Grande Dizionario Italiano dell’Uso, CD-ROM per pc e mac. Torino: «UTET».
Devoto, G. (1953). Profilo di storia linguistica italiana. Firenze: «La Nuova Italia».
Devoto, G. (1974). Il linguaggio d'Italia. Storia e strutture linguistiche italiane dalla preistoria ai nostri giorni. Milano: «Rizzoli».
Mioni, A.M. (1993), «Fonetica e fonologia» in: Introduzione all’italiano contemporaneo. Le strutture, a cura di A.A. Sobrero. Bari: «Laterza», pp. 101–39.
Muljačić, Ž. (1972). Fonologia dell’Italiano. Bologna: «Il Mulino».
Patota, G. (2002). Lineamenti di grammatica storica dell'italiano. Bologna: «Il Mulino».
Sabatini, F. & Coletti, V. (2002). Dizionario Italiano Sabatini-Coletti. Firenze: «Giunti».
Serianni, L. (1989). Grammatica Italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Torino: «UTET».
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(*) Proprio per la mancanza d’un simile vincolo, l’inglese [moderno] si può permettere di adattare tutto al proprio sistema fonologico «senza farsene accorgere» [sul piano grafico].
(**) A rigore, sul piano prettamente morfologico, i vocaboli appartenenti al terzo sistema fonologico del Devoto appartengono alla classe degl’invarianti, i quali ovviamente possiedono una loro morfologia [banale].
(***) Questi i lemmi: chic (AU); nord (AU), plaid (AD), record (AD), sud (FO); alcol (AU), festival (AD), goal (AU), motel (AD), tunnel (AD); film (FO), referendum (AU), telefilm (AU), tram (AU); amen (AU), camion (AU), cincin (AU), clan (AU), collant (AD), ipsilon (AD), pullman (AD); autostop (AD), stop (AD); bar (FO), pullover (AD); ananas (AD), autobus (AD), caos (AU), gas (FO); tennis (AU), thermos (AD); alt (AU), est (AU), ovest (AU), sport (FO), vermouth (AD).
(****) Tuttavia si noti che —salvo sconvolgimenti, appunto— rimangono precluse a questa classe di vocaboli tutte le categorie grammaticali a eccezione di quella dei sostantivi [non alterati] e di quella degli aggettivi [non alterati].