Glissando sulla teterrima degenerazione di un dibattito che all'inizio sembrava potesse essere, almeno per una volta, continuato con più proficui risultati (ma a quanto pare ci eravamo sbagliati), rispondo brevemente a Bubu7, dal mio punto di vista, circa alcune parole che sono proclive a usare.
In tutta buona fede (giù batiscafi nella Fossa delle Marianne della mia ignoranza), davvero non sapevo che qualcuno avesse già avuto l'idea di coniare un
monstrum come "glottodiversità": dalle sue attestazioni, il termine sembra in effetti riferisi a campi semantici di tangenza fra linguistica e politica.
Quanto al termine "diacoria" e al derivato "diacorico", essi ovviamente non sono miei conii, come qualcuno ha già spiegato, essendo anche io incline all'inizio a servirmi di "diatopico". Nell'ambito delle discussioni su questo, sul defunto
forum della Crusca e su altri
fora linguistici, ho cominciato a servirmi di "diacorico" nell'ambito delle discussioni relative a gruppi di lingue imparentate (lingue indeuropee, neolatine etc.).
Forse sarà una mia idiosincrasia terminologica, ma in linea tendenziale io sono incline a usare nomi astratti indicanti processo o "attitudine a..." (variazione e variabilità) in
iuncturae con diatopico. il termine "variante", che indica un caso concreto di variazione, o una manifestazione della variabilità, tendo invece ad associarlo con diacorico.
Tendo cioè a parlare, in senso generico, di variazione o variabilità diatopica delle lingue (attitudine e tendenza delle lingue a variare nello spazio) in opposizione generica a variabilità e variazione diacronica (attitudine e tendenza delle lingue a variare nel tempo); mentre, in senso specifico, mi sento indotto a parlare di varianti diacoriche nel caso in cui si faccia allusione a concreti esempi di allomorfi o alloglossie regionali relativamente ad ambiti semantici, morfosintattici, fonetici comuni in parlate imparentate fra loro. Difficilmente, almeno in linea di principio, userei variazione o variabilità insieme a diacorico, o variante insieme a diatopico, questo in virtù dell'etimologia della parola (per quanto si rinvenga, non solo in italiano, l'uso di "varietà diatopica" di una lingua al posto dell'uso comune di "dialetto").
La fonte dell'uso dell'aggettivo "diacorico", per quanto mi riguarda, è rinvenibile qui:
www.achyra.org/infarinato/files/feft.pdf
In quel contesto, la parola è associata con il ben più diffuso aggettivo "diastratico", e l'uso sembra presupporre un riorientamento terminologico autoconsistente e fondato. I termini "diacorico" e "diastratico" sembrano precisare meglio la semplice e ben nota opposizione "diacronico-diatopico" (che a prima vista mi parrebbe meglio riferibile a stadi e configurazioni di variazioni sistemiche della "langue" astrattamente considerati, nel contesto di una mera analisi tecnica di variazioni e riassestamenti strutturali), mediante un chiaro riferimento alla dimensione concreta della regione come entità geograficamente definita e storicamente stratificata.
Certo, al di fuori del nostro "orticello" e delle aiole ad esso contigue la parola sembra non essere diffusa. Verosimilmente non è un conio di Canepari, ma nasce all'interno di un preciso filone di studi (dialettologici) e sembra introdurre una categoria che permette un miglior inquadramento dei problemi, facendo appunto riferimento con maggior precisione e specificità all'idea di variazione diatopica in relazione a e in funzione di identità regionali geograficamente date nel concreto.
Nella terminologia più vulgata abbiamo di fronte un sistema di opposizioni di questo tipo:
1) generica variazione nel tempo: diacronia-diacronico
2) variazione in e a partire da substrati e supestrati storicamente sovrapposti: diastraticità-diastratico (ed esiste poi "sinstraticità-sintratico" per indicare fenomeni linguistici determinati dall'azione reciproca di livelli e strati linguistici sovrapponentisi in un dato momento in una data società, regione etc.)
3) generica variazione nello spazio: diatopia-diatopico
4) variazione nell'ambito di aree geograficamente identificate: (diatopia-diatopico) -assenza di un termine proprio e specifico, dovendosi ricorrere a un'estensione di significato di 3) che mette in ombra alcuni problemi.
In effetti "diacoria-diacorico" va a precisare meglio il punto 4), relativamente a varianti di forme, lemmi e pronunce in relazione a entità geoetnolinguisticamente definite ... E si potrebbe a questo punto, in analogia con "sinstratico" coniare il termine "sincorico" per riferirsi a interazioni fra realtà linguistiche diverse in una stessa regione... Ma
cum venit in mentem quorum consederis arvis, esitiamo a farlo, visto che qualcuno potrebbe quasi gridare allo scandalo -come si permettono degli sconosciuti internettari pseudonimati di tirare fuori dal cilindro animali siffatti
?
Scherzi e neoconii a parte, come ho già detto (mi scuso della mia ripetitiva perissologia, ma è più forte di me...
), il sistema di termini "diacronico-diatopico, vs. sincronico-**sintopico vs. diacorico- diastratico vs. **sincorico-sinstratico" mi sembra versatile, autoconsistente e fondato, pertanto me ne sono appropriato senza entrare più di tanto nel merito delle precedenti autorevoli attestazioni.
Questa di non chiedere il certificato di nascita a una parola, quando funziona, può apparire (e forse per certi aspetti è) una presa di posizione. Ha i suoi pro e i suoi contro (glottodiversità
docet).
Però, una volta che si sono chiariti i termini (:lol:) del problema, e ci si è capiti, penso che non ci sia altro da puntualizzare. Ognuno poi, fatte, ove d'uopo, le dovute elucidazioni sul piano metalinguistico, si regolerà come meglio gli aggrada.