Genere di «[e-]mail»
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Genere di «[e-]mail»
Inf.V.73.142.DA [qui] ha detto di essere all'estero (senza però specificare se vive all'estero). Mi chiedo se vedere usato un e-mail permetta di identificare subito qualcuno come persona residente all'estero. Sebbene come sappiamo esista una notevole controversia sul genere di e-mail, in base a messaggi inviatimi da persone che vivono stabilmente in Italia mi sono fatto l'idea che il termine più comune sia una mail. Qual è la vostra impressione in merito?
L’ho sempre sentita al femminile, e credo che, nonostante sia ambigenere, siano davvero in pochi a usarla al maschile. (Naturalmente questa parola fa parte solo del mio vocabolario passivo: dalle mie labbra non l’udirete mai pronunziata.
)

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Re: Genere di «[e-]mail»
Come ho già detto in piú d’un’occasione, credo che si tratti essenzialmente d’una questione d’età, o meglio d’«anzianità informatica».Freelancer ha scritto:Sebbene come sappiamo esista una notevole controversia sul genere di e-mail, in base a messaggi inviatimi da persone che vivono stabilmente in Italia mi sono fatto l'idea che il termine più comune sia una mail. Qual è la vostra impressione in merito?

Chi, come il sottoscritto, è venuto a conoscenza del termine inglese agli albori della posta elettronica [su terminali monocromatici], quando scrivere due righe di corrispondenza era un’impresa e quei messaggini striminziti inviati a professori o liste di distribuzione certo non assomigliavano punto a lettere, non potrà che fare e[-]mail (mai mail) maschile, sottintendendo messaggio.
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Re: Genere di «[e-]mail»
Grazie per la riscossa!Infarinato ha scritto:Come ho già detto in piú d’un’occasione, credo che si tratti essenzialmente d’una questione d’età, o meglio d’«anzianità informatica».
Certamente, come indicano i dizionari meno recenti, e-mail era in origine maschile (DISC 1997). Si vede ancora nel Devoto-Oli 2004-2005 una traccia del maschile (s.f. o m.), ma il GRADIT ha solo s.f. (e anche nel Devoto-Oli compatto, Dizionario fondamentale della lingua italiana, 2001, solo s.f.). Si può dire che l’uso preponderante è oggi (l’orribile) una mail (mentre in francese abbiamo, nonostante alcuni, tra cui io, diciamo courriel, l’altrettanto orribile un mail, al maschile). Nel cambiamento di genere saranno intervenuti due fattori: da una parte il traducente ‘posta’ e dall’altra, forse, la maggior facilità di pronuncia di una mail rispetto a un mail, o, se di facilità articolatoria non si può parlare, il mantenimento della vocale ‘e-’ sostituita dalla ‘-a’. Ma sono solo ipotesi.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Vedrei piú probabile un accostamento a lettera (impensabile —ripeto— ai primordi del servizio), come in «ti mando una [e-]mail». Per il servizio in sé, posta elettronica mi sembra resista abbastanza bene, perlomeno in contesti ufficiali.Marco1971 ha scritto:Nel cambiamento di genere saranno intervenuti due fattori: da una parte il traducente ‘posta’…
Sono d'accordo sia sull'accostamento a lettera per il genere, sia sulla resistenza di posta elettronica per il servizio. Il problema è il messaggio di posta elettronica per cui prevale decisamente e-mail; talvolta (tra il serio e lo scherzoso) uso e-pistola, ma ammetto che non lo scriverei mai in un contesto "ufficiale". Un tempo avevo proposto di chiamarlo semplicemente messaggio, riservando messaggino agli SMS/MMS, ma riconosco che è comunque troppo generico.Infarinato ha scritto:Vedrei piú probabile un accostamento a lettera (impensabile —ripeto— ai primordi del servizio), come in «ti mando una [e-]mail». Per il servizio in sé, posta elettronica mi sembra resista abbastanza bene, perlomeno in contesti ufficiali.
Ho l'impressione che molte persone che ormai usano gli sms per lavoro riluttino dal chiamarli messaggini, considerati tipici degli adolescenti, e preferiscano parlare senz'altro di messaggi.
A questo punto chiamare messaggio la mail creerebbe confusione. «Ti ho mandato un messaggio». Sì, ma un sms o una mail?
Mail, pronunciata meil, è diventata corrente ovunque si usi un pc. Temo che ci si dovrà rassegnare.
A questo punto chiamare messaggio la mail creerebbe confusione. «Ti ho mandato un messaggio». Sì, ma un sms o una mail?
Mail, pronunciata meil, è diventata corrente ovunque si usi un pc. Temo che ci si dovrà rassegnare.
Io non mi rassegnerò, perché neanche la forza dell’abitudine riesce a farmi sonare accettabile quest’aberrazione. Ho proposto un’elle, per il linguaggio veloce, tempo fa.CarloB ha scritto:Mail, pronunciata meil, è diventata corrente ovunque si usi un pc. Temo che ci si dovrà rassegnare.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Lei mi è proprio venuto in mente quando, questa mattina, ho letto questo articolo sul New York Times a proposito dell'origine di Ms., nato per colmare una lacuna, ossia come rivolgersi a una donna di cui non si conosca lo stato coniugale (quindi è da evitare sia Mrs. sia Miss). A quanto pare fu modestamente proposto da un autore anonimo nella quarta pagina di un giornale a diffusione locale, ma languì per decenni prima di diffondersi ed entrare nell'uso attuale. Quindi non disperi: faccia modestamente le sue proposte, forse nel 2100 tutti diranno elle.

En passant, e solo perché penso interessi altri (lungi da me il voler correggere chi scrive in questa sede) il Devoto-Oli specifica che riluttare vuole la preposizione a.

En passant, e solo perché penso interessi altri (lungi da me il voler correggere chi scrive in questa sede) il Devoto-Oli specifica che riluttare vuole la preposizione a.
Forse.Freelancer ha scritto:Quindi non disperi: faccia modestamente le sue proposte, forse nel 2100 tutti diranno elle.

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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