«Mi sa che» + indicativo o congiuntivo?

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Moderatore: Cruscanti

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Scilens
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Intervento di Scilens »

Luca86 ha scritto:
Scilens ha scritto:[...] per carità correggetemi.
Proprio perché lo chiede, mi permetto d'indicarle questo filone: «Daccordo». ;)
La ringrazio, ne avevamo parlato qui
viewtopic.php?p=34267#p34267
Comunque mi segnali i miei errori, per piacere, -soprattutto quelli ripetuti, che evidenziano un'inconsapevolezza- anche se alcuni li vedo da solo, magari il giorno dopo. Certe volte succede che corregga una parte di una frase dimenticandomi di accordare quel che avevo scritto prima. Molti di voi hanno una bella scrittura, scorrevole, liquida. Non pretendo di arrivare a tanto, mi contento d'esser comprensibile e corretto, ma le annuncio che non metterò l'accento su si (affermazione) a meno che non intenda sì per così.

A Marco
Quella frase sa ancora di vino e d'osteria, e anche i grandi sbagliano, figuriamoci gli altri, specie nel parlare. Perdipiù io tengo la capa tosta e se Dante avesse usato un “mi sa che è” (ma [ì]mi sa che[/i] sarebbe stato impossibile) avrei detto che quella volta s'era sbagliato anche lui. Il 'mi sa', quando possibile, è bene che sia evitato. Non potendo, è bene che se ne stia a casa, con il suo congiuntivo.
Ma chi ci volesse mettere l'indicativo ha dalla sua nientemenoché la Crusca, che lo consiglia, giacché è diffuso.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Scilens ha scritto:...e anche i grandi sbagliano, figuriamoci gli altri, specie nel parlare. Perdipiù io tengo la capa tosta e se Dante avesse usato un “mi sa che è” (ma [ì]mi sa che[/i] sarebbe stato impossibile) avrei detto che quella volta s'era sbagliato anche lui.
Non intendo insistere sulla correttezza di mi sa che + indicativo; s’è già detto che è una forma corretta, checché ne pensi lei. Piuttosto, vorrei finalmente capire che cos’è per lei la correttezza in una lingua e secondo quali criteri si stabilisce. Glielo chiedo anche perché lei sembra andare per conto suo con l’ortografia, rifiutandosi di accentare il affermativo, e questo appare in contrasto con la vigente norma scrittoria.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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