«La determina»
Moderatore: Cruscanti
«La determina»
Sulla bocca di una funzionaria comunale della mia città: ho appena preso visione di una determina della mia direzione.....
Una volta lessi che il maresciallo Badoglio aveva accennato a una dichiara, che stava ovviamente per dichiarazione; e veniva citato ad esempio di obbobrio lessicale. Ma il burocratese è tenace e, per l'appunto, determinato: una determinazione dirigenziale diventa una determina. Bisogna subire?
Una volta lessi che il maresciallo Badoglio aveva accennato a una dichiara, che stava ovviamente per dichiarazione; e veniva citato ad esempio di obbobrio lessicale. Ma il burocratese è tenace e, per l'appunto, determinato: una determinazione dirigenziale diventa una determina. Bisogna subire?
Che sia davvero [solo] burocratese? Se interessa, io ricordo che nel gergo giovanile di qualche anno fa (ignoro se tutt'ora se ne faccia uso), soprattutto interno ai gruppi manifestanti, avveniva un passaggio simile: da manifestazione (studentesca) a manifesta.
Ultima modifica di pocoyo in data mar, 12 ago 2008 0:14, modificato 1 volta in totale.
Propongo la lettura di questo passo di Bruno Migliorini («La norma linguistica e il gusto» in La lingua italiana nel Novecento, Firenze, Le Lettere, 1990, p. 288), che c’invita a riflettere.
A me non garba affatto la determina, registrato nell’ottavo volume del GRADIT con la marca «TS burocr.» e la data 2003 (“La Repubblica”), ma, dovendo scegliere il maggiore di due mali da combattere, tra l’impiego di determina o di determination, opterei per il secondo come sfregio piú grave e dannoso alla nostra lingua.Per la lingua letteraria eletta è chiaro che burocrazia e giornalismo sono due nemici alleati ai suoi danni (non parliamo qui della terza pagina, che si potrebbe chiamare un’isola conquistata dalla letteratura in territorio nemico, né degli articoli di fondo e delle corrispondenze speciali di alcuni grandi quotidiani). E si tratta di due nemici piú pericolosi di qualsiasi altro, perché raggiungono, si può dire senza sforzo, quell’universalità a cui la letteratura aspira con tanta fatica.
Che può fare la lingua letteraria, in presenza di tutto codesto*, volendo resistere e difendere le proprie tradizioni? Chiudersi piú rigorosamente nella sua torre d’avorio? oppure insistere nel tentativo d’imporre all’avversario le proprie regole?
E innanzi tutto, anche questa volta, dove sono i limiti? chi è in grado d’indicarli con esattezza? Forse è ancora piú difficile fissare con precisione i caratteri di questi vocaboli che nei casi precedenti. In un atto solenne come il conferimento d’una medaglia d’oro non hanno forse altrettanti diritti la lingua letteraria e la lingua amministrativa? O, dopo la redenzione dell’Agro pontino dalla malaria, può la lingua letteraria rifiutarsi di chiamar bonifica quell’opera, e pretendere di continuare a dire bonificamento o bonificazione?
Il presenziare che ora si adopera a tutto spiano, urta molto i miei orecchi, cioè il mio gusto (ché in questi casi, benché il parlar figurato induca a far confusione, la fonetica non c’entra per nulla). Ma devo dire che mi urta altrettanto potenziare; eppure già Dante e il Boccaccio usavano potenziato. Invece constatare mi sembra necessario e non mi offende punto: chiedo scusa agli amici che lo combattono, ma proprio non arrivo a vedere perché se ne debba fare a meno.
Non è detto poi che qualche parola che a priori tutti sarebbero d’accordo nel condannare non possa essere usata, e usata felicemente. Che ne dite di spiega? Anche senza bisogno di leggere Fanfani-Arlia, Barucchi, Manfroni, Addeo, possiamo essere d’accordo senz’altro, non è vero, nel pollice verso? Ma sentite Baldini che ci presenta i suoi Amici al Caffè («La lettura», agosto 1941): ne passa in rassegna alcuni, e dopo una parentesi su Bartoli, passa a Ruggeri: «Riprendo la spiega. Il cranio lucido e potente di Quirino Ruggeri ecc.». Non so se quello spiega a qualcuno possa piacere, per me è delizioso: ci sento non «i signori avvocati e procuratori», di cui parla Pietro Fanfani, ma il cantastorie che passa a segnare con il bastone un nuovo quadro di «Paolo e Virginia amanti infelici» prima di strimpellare un’altra strofa...
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*Migliorini qui sta parlando di parole di questo tipo (citate alla pagina precedente): bonifica, qualifica, rettifica; dilazionare, occasionare, sovvenzionare; apprendistato, bracciantato, quintalato; smistare, maggiorare.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
D'accordo per preferire determina, che dopotutto è della nostra lingua, ancorché bruttino, a determination. Ma, insomma, se si mantenesse determinazione....
A pocoyo: bello, manifesta; ai miei tempi non si usava: ci si allungava a chiamarla manifestazione. Però i cugini francesi dicevano manif e ci sembrava ganzo o fico, direbbero i giovani d'oggi
(Non sono più giovane e non so come direbbero: si vede molto?)
A pocoyo: bello, manifesta; ai miei tempi non si usava: ci si allungava a chiamarla manifestazione. Però i cugini francesi dicevano manif e ci sembrava ganzo o fico, direbbero i giovani d'oggi

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«Giustifica»
Aggiungo all’elenco giustifica [per giustificazione] (registrato, ad es., dal solito GRADIT).
Oltre a bonifica, giustifica e rettifica, abbiamo anche certifica, codifica, decodifica, gratifica, modifica, notifica, parifica, qualifica, ratifica, riqualifica, sclassifica, specifica, squalifica, tra[n]scodifica, verifica.
Non possiamo certo condannare tutte queste parole senza una valutazione precisa della frequenza e degli àmbiti d’uso. Ma si smetta di ignorare che si tende oggi a preferire la brevità, per motivi sia di praticità sia di pigrizia (e talvolta per amendue
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Non possiamo certo condannare tutte queste parole senza una valutazione precisa della frequenza e degli àmbiti d’uso. Ma si smetta di ignorare che si tende oggi a preferire la brevità, per motivi sia di praticità sia di pigrizia (e talvolta per amendue

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
La caduta del suffisso -zione va in direzione opposta a quella che porta a ipertrofismi come scontistica, problematica, tipologia, ecc. Ma entrambe le tendenze mi sembra convergano (almeno nell'intenzione) verso un registro avvertito come più elevato o più tecnico.
Sul retro di uno scontrino ho trovato il sost. omologa. Mentre, contrattando il premio con una compagnia d'assicurazioni, la signorina al telefono mi ha detto «rimanga in attesa, sento un responsabile se possiamo farle uno sconto applicarle una scontistica».
Sul retro di uno scontrino ho trovato il sost. omologa. Mentre, contrattando il premio con una compagnia d'assicurazioni, la signorina al telefono mi ha detto «rimanga in attesa, sento un responsabile se possiamo farle uno sconto applicarle una scontistica».
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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