swanky ha scritto:Desidererei su questo punto ricevere una spiegazione un pochino chiarificatrice, tempo e pazienza permettendo.
Quella del rispetto della fonotassi italiana, come s'evince dagli interventi precedenti, è questione ancora da alcuni dibattuta.
Per quanto riguarda le onomatopee, però (che, come ha specificato Infarinato, sono
ai margini della fonotassi) io penso sia possibile adottare criteri meno rigidi.
Proverò ora a rispondere alle sue domande:

Le onomatopee che terminano per vocale rispettano la fonotassi? Sí, ma solo se non contengono sequenze di consonanti inaccettabili. Ad esempio «etciú» e «pciú» (bacio) non la rispettano, mentre «ecciú» sí.
Le onomatopee che terminano per consonante non rispettano la fonotassi? In linea di massima è vero, se vogliamo considerarle parole italiane.
Però, se terminano in una consonante semplice che sia L, M, N o R sono piú accettabili, un po' come lo sono le parole tronche (andar, andiam...) in italiano. Quindi «drin» (sveglia) risulterà piú accettabile di «clac» o di «paff».
Negli altri casi è quasi sempre possibile "italianizzare" l'onomatopea aggiungendo il suffisso «-ete», previo eventuale raddoppiamento della coda consonantica.
Ad esempio:
Clac -> clàcchete
Paff -> pàffete
Tic-tac -> ticchete-tàcchete
Zig-zag -> zigghete-zàgghete
Si noti che l'aggiunta del suffisso non cambia la posizione dell'accento!
Tenga conto che queste non sono vere e proprie parole, ma semplici "riproduzioni" di suoni o versi, piú o meno "filtrati" attraverso i limiti fonotattici per adattarsi alle capacità fonatorie umane.
Tuttavia si possono impiegare anche come sostantivi invariabili (specie se rispettano la fonotassi), con tanto di articolo: «il pio pio dei pulcini».
Le
onomatopee danno anche luogo a parole di
origine onomatopeica, come
abbaiare, miagolare, fonotatticamente corrette.
Nella
voce della Vichipedia, che penso avrà già visto, potrà trovare altri esempi e rimandi interessanti.
