brg ha scritto: mer, 23 nov 2022 23:25
Se un anonimo toscano del '200 scriveva Belleèm e Gersalèm è anche perché tali nomi racchiudevano un sentore di esoticità, perfettamente in accordo con l'immaginario su quei luoghi. Se Salgari avesse impiegato per i suoi eroi e le loro imprese un'onomastica che ricorda le stazioni del treno pendolari, avrebbe certamente avuto la metà del suo successo.
Può darsi, ma mi permetta un piccolo fuori tema, che però mi pare importante, non tanto per lei ma per chiunque capiti a leggere questa discussione.
Fin da bambino ho avuto tra le mie passioni principali la narrativa, e nel complesso il genere che preferisco è quello amplissimo del «fantastico». Come lei saprà, una delle forme di maggior successo del fantastico nell'ultimo mezzo secolo è stata ed è quella di grandi storie dal sapore epico ambientate in mondi immaginari che ricordano un'Europa medievaleggiante; e nel fantastico in generale, e in particolare in quello di questa forma specifica, il predominio —nei paesi anglosassoni e in Italia— è tutto di autori di madrelingua inglese, con eccezioni solo rare.
Da quando ho preso coscienza del fenomeno dell'itanglese, ho notato anche qui un certo fatto: che non è nulla di diverso da ciò che osserviamo nel resto della lingua.
Gli autori di lingua inglese usano perlopiù, dove si tratti di ambientazioni europeeggianti, per personaggi, luoghi, casate nobili, ecc., nomi inglesi (= nomi europei, in forma inglese), magari con lievi alterazioni per renderli più strani o anticheggianti ma senza allontanarsi troppo; dove si tratti di ambientazioni più esotiche, scrivono i nomi inventati solitamente secondo l'ortografia inglese, o comunque secondo un'ortografia basata sull'inglese. Un ottimo esempio è la serie di maggior successo (tra le massime, se non la massima) nell'ultimo decennio, quella di G. R. R. Martin oggi nota perlopiù in italiano come
Il Trono di spade. Nella parte europeeggiante, che costituisce il centro dell'ambientazione e dove si svolge la maggior parte delle vicende, tra i cognomi molti sono trasparenti, come
Snow,
Strong,
Hightower,
Waters,
Tallhart,
Greyjoy;
idem i toponimi; fra i personaggi principali abbiamo
Jon (=
John),
Jaime,
Robert,
Joffrey (=
Geoffrey),
Eddard (=
Edward,
Edgar),
Samwell (=
Samuel),
Brandon,
Catelyn (=
Catherine),
Margaery (=
Margery), e molti altri simili. Altri nomi e cognomi non ricordano precisamente parole inglesi esistenti ma ne hanno tutta l'aria, come suono e grafia. E nessuno ci vede nulla di strano, né fa commenti su quanto sia inglese l'onomastica in Martin.
Qui da noi, gli scrittori di lingua italiana (che talvolta firmano i propri libri con pseudonimi inglesi) per i propri personaggi usano soprattutto nomi di forma ingleseggiante, o, dove inventati totalmente, comunque scritti secondo un'ortografia di base inglese. A volte usano nomi all'italiana se vogliono che siano trasparenti; altrimenti, questi sono una rarità. Non troverete personaggi che si chiamino
Giovanni (né
Ioanni,
Vanni o simili),
Giaime,
Roberto,
Goffredo,
Edgardo,
Samuello, né che usino altri nomi italiani di sapore antico, o nomi italiani con qualche variazione arbitraria (*
Gioffredo, *
Eddardo, *
Margerita...).
I nomi non esplicitamente anglicizzanti —non parliamo di un'italianizzazione fonotattica, non pretendo "tanto", ma solo grafica— se in qualche caso seguono l'ortografia italiana è più che altro per caso, perché coincide con quella di base inglese (mentre altrove usano normalmente
sh per /ʃ(ʃ)/,
y per /j/,
k per /k/,
w per /w/, ecc.).
I titoli, anche, a volte li scrivono direttamente in inglese.
I traduttori italiani (...a volte per imposizione degli editori, che sanno che l'inglese «tira» più di qualunque cosa, e vogliono vendere*), similmente, nel tradurre trovano normale che in italiano i nomi siano però tutti di forma inglese, anche se le storie sono ambientate in mondi immaginari
dove esplicitamente non si parla inglese. E così il pubblico: quando lessi la serie di Martin da ragazzo, non trovavo nulla di strano né rilevante nel fatto che l'onomastica fosse così inglese: per forza, essendo cresciuto —come tutti gl'italiani— in una "bolla" in cui quella era (e tuttora è) la piena normalità.
Insomma: gli anglofoni possono fare e fanno del fantastico fantasticissimo e adorato dal pubblico usando però normalmente nomi della propria lingua o adattati alla propria lingua, mentre sembra assurdo e meritevole di risate (agl'italiani) che la stessa cosa la facciano gl'italofoni. Il suo tono lascia capire bene come consideriamo la nostra lingua: un nome scritto in forma straniera è evocativo e fa vendere, un nome italianizzato «ricorda le stazioni del treno pendolari».

Non c'è da stupirsi che la nostra lingua sembri avviata alla sterilizzazione, apparendo adatta solo per denominare realtà "terra terra" e banali della vita quotidiana nel nostro paese. Gli anglofoni invece vedono la propria lingua come universale, e ottima quindi per qualunque cosa.
[*Si veda la storia delle traduzioni dell'opera massima del genere, Il Signore degli Anelli, dove questa smania anglicizzante italiana è stata messa in atto contravvenendo recidivamente alle indicazioni esplicite su come tradurre i nomi date dall'autore stesso (!).]