Pronuncia effettiva e sue rappresentazioni (per voci quali «dialogo», «dialetto»)
Moderatore: Cruscanti
Pronuncia effettiva e sue rappresentazioni (per voci quali «dialogo», «dialetto»)
Domando se qualcuno avesse la pazienza di fornire qualche dato in merito alla pronuncia fiorentina/toscana (in sincronia e in diacronia) di voci del tipo di "dialogo", "dialetto" ecc. e sul motivo per cui lessici e testi facciano così tanta confusione tra /dia…/ e /dja…/, cioè tra vocale e approssimante. Grazie davvero
- Infarinato
- Amministratore
- Interventi: 5621
- Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 10:40
- Info contatto:
Re: Pronuncia effettiva e sue rappresentazioni (per voci quali «dialogo», «dialetto»)
Caro Ligure, le rispondo piú che altro per dover di cortesia, non perché abbia una risposta certa da darle (purtroppo
)… Non sono infatti a conoscenza di studi specifici sull’argomento (il che non vuol dire ovviamente che non ve ne siano).
Io temo —ma, dal tono della sua domanda, credo che lo tema anche Lei— che sia uno di quegli argomenti considerati marginali in quanto ritenuti ovvi, e che siano ritenuti ovvi perché, perlomeno da decenni, si prendono per buone considerazioni (ora del tutto impressionistiche, ora basate sulla metrica e sulla grammatica tradizionali*, ma non necessariamente sulla scienza fonetica) fatte in illo tempore da qualche linguista, e come tali acriticamente tramandatesi.
Foneticamente, le fricative [ʝ, w̝/ɣʷ/ʍ̬], i legamenti [j, w] e le vocali alte [i, u] si dispongono all’interno di un continuo che va da una maggiore ostruzione fino alla totale assenza di essa. Ora, però, (lasciando perdere la prima coppia che non esiste in italiano) una lingua come la nostra, che chiaramente possiede le ultime due coppie di foni, fonematicamente opera una scelta binaria tra di esse (→ su continuo fonetico e scelte binarie si veda, e.g., l’illuminante esemplificazione del Loporcaro nell’articolo citato alle pp. 7–8 di un mio vecchio saggio).
È chiaro che, perlomeno a ritmo lento, noi avvertiamo un’opposizione tra hai odio /ai ɔ̍djo/ [ˌaˑi̯ ˈɔːdjo] e ha iodio /a jɔ̍djo/ [ˌa ˈjɔːdjo], tra spianti («che spiano») /spia̍nti/ [spiˈanːti] e spianti (pl. di spianto) /spja̍nti/ [sˈpjanːti], tra pïano («di Pio) /pia̍no/ [piˈaːno] e piano («lentamente, liscio, livello, pianoforte») /pja̍no/ [ˈpjaːno], tra pïato («pigolato) /pia̍to/ [piˈaːto] e piato («causa giudiziaria, lagnanza») /pja̍to/ [ˈpjaːto], tra lacuale /lakua̍le/ [lakuˈaːle] e la quale /lakwa̍le/ [laˈkwaːle], tra arcuata /arkua̍ta/ [arkuˈaːta] e Arquata /arkwa̍ta/ [arˈkwaːta].
Tuttavia, la sola reale differenza fonetica tra [j, w] e [i, u], oltre all’asillabicità (che, però, è un tratto piú fonematico che propriamente fonetico), è la brevità. Ha ragione di certo il Ladefoged quando afferma che, in principio di sillaba, una legamento (o «semiconsonante», meno bene «semivocale») non è nient’altro che un rapido, continuo movimento dalla vocale alta corrispondente (cioè [i, u]) alla vocale successiva (che forma, in tutto o in parte, il nucleo della sillaba). Quindi, [ja, wa] andrebbero forse meno ambiguamente scritte come [i͜a, u͜a].
Quanto a [j, w] finali di sillaba, la distinzione è ancora piú sottile, tant’è vero che, sul piano meramente fonetico, si potrebbe dire che si tratti sempre di [i̯, u̯] (queste, sí, «semivocali») e che la distinzione tra l’ultimo elemento dell’inglese fee [ˈfɪi̯] e quello del francese fille [ˈfij] sia meramente fonematica. Ma, a parte il fatto che, fonematicamente, nell’inglese britannico meridionale di oggi fee è piú opportunamente rappresentabile proprio come /fɪ̍j/(che rende inoltre automaticamente conto del passaggio, qui realmente fonetico, da [i̯] a [j] davanti a vocale, come in fee and…), c’è da dire che l’[j] di fille è probabilmente piú vicino a [ʝ], ed è sicuramente un [j] nella pronuncia enfatica con scevà (arrotondato) finale [ˈˈfiˑjɵ].
Tornando all’italiano, devo dire che, mentre, in una pronuncia lenta e accurata, le mie Tuscae aures non hanno alcuna difficoltà nel percepire una chiara differenza fra [i, u] e [j, w] negli esempi dati sopra, a ritmo allegro la differenza si fa sempre piú sfumata fino a scomparire quasi del tutto, concordemente col fatto che [j, w] non son altro che [i, u] pronunciate piú rapidamente, la differenza tra hai odio e ha iodio (che dimostra l’appartenenza [in italiano, ma non, e.g., in inglese] di [i̯] a /i/ anziché a /j/) mantenendosi piuttosto —almeno al mio orecchio— in virtú della diversa lunghezza dell’[a] iniziale…
Del resto, il Brozović parlava di «opposizione unidirezionale» per i fonemi /i, u/ ~ /j, w/: negli esempi di cui sopra /i, u/ [i, u] possono diventare [j, w] a ritmo allegro, ma /j, w/ [j, w] non possono passare a [i, u] (se non in una pronuncia enfatica, altrimenti innaturale: e.g., piaaano! [piˈˈaːːnoˑ]).
Dopo questa lunga (ma, credo, inevitabile) premessa, veniamo finalmente alla piú specifica questione in oggetto. In una pronuncia lenta e accurata, m’attengo in modo sorprendentemente naturale alla norma: /di/alogo, /di/aletto, /di/ario, ma /dj/avolo, /dj/eta (lo stabilisco attraverso la prova di unidirezionalità di cui sopra). Tuttavia, a ritmo allegro /di/aletto diventa facilmente [dj]aletto, mentre [di]alogo resiste un po’ meglio probabilmente in virtú della scansione sillabica, ma sfido chiunque a percepire una reale differenza con [dj]alogo quando l’eloquio si fa rapidissimo…
_____
* E quindi almeno in parte sull’etimologia.

Io temo —ma, dal tono della sua domanda, credo che lo tema anche Lei— che sia uno di quegli argomenti considerati marginali in quanto ritenuti ovvi, e che siano ritenuti ovvi perché, perlomeno da decenni, si prendono per buone considerazioni (ora del tutto impressionistiche, ora basate sulla metrica e sulla grammatica tradizionali*, ma non necessariamente sulla scienza fonetica) fatte in illo tempore da qualche linguista, e come tali acriticamente tramandatesi.
Foneticamente, le fricative [ʝ, w̝/ɣʷ/ʍ̬], i legamenti [j, w] e le vocali alte [i, u] si dispongono all’interno di un continuo che va da una maggiore ostruzione fino alla totale assenza di essa. Ora, però, (lasciando perdere la prima coppia che non esiste in italiano) una lingua come la nostra, che chiaramente possiede le ultime due coppie di foni, fonematicamente opera una scelta binaria tra di esse (→ su continuo fonetico e scelte binarie si veda, e.g., l’illuminante esemplificazione del Loporcaro nell’articolo citato alle pp. 7–8 di un mio vecchio saggio).
È chiaro che, perlomeno a ritmo lento, noi avvertiamo un’opposizione tra hai odio /ai ɔ̍djo/ [ˌaˑi̯ ˈɔːdjo] e ha iodio /a jɔ̍djo/ [ˌa ˈjɔːdjo], tra spianti («che spiano») /spia̍nti/ [spiˈanːti] e spianti (pl. di spianto) /spja̍nti/ [sˈpjanːti], tra pïano («di Pio) /pia̍no/ [piˈaːno] e piano («lentamente, liscio, livello, pianoforte») /pja̍no/ [ˈpjaːno], tra pïato («pigolato) /pia̍to/ [piˈaːto] e piato («causa giudiziaria, lagnanza») /pja̍to/ [ˈpjaːto], tra lacuale /lakua̍le/ [lakuˈaːle] e la quale /lakwa̍le/ [laˈkwaːle], tra arcuata /arkua̍ta/ [arkuˈaːta] e Arquata /arkwa̍ta/ [arˈkwaːta].
Tuttavia, la sola reale differenza fonetica tra [j, w] e [i, u], oltre all’asillabicità (che, però, è un tratto piú fonematico che propriamente fonetico), è la brevità. Ha ragione di certo il Ladefoged quando afferma che, in principio di sillaba, una legamento (o «semiconsonante», meno bene «semivocale») non è nient’altro che un rapido, continuo movimento dalla vocale alta corrispondente (cioè [i, u]) alla vocale successiva (che forma, in tutto o in parte, il nucleo della sillaba). Quindi, [ja, wa] andrebbero forse meno ambiguamente scritte come [i͜a, u͜a].
Quanto a [j, w] finali di sillaba, la distinzione è ancora piú sottile, tant’è vero che, sul piano meramente fonetico, si potrebbe dire che si tratti sempre di [i̯, u̯] (queste, sí, «semivocali») e che la distinzione tra l’ultimo elemento dell’inglese fee [ˈfɪi̯] e quello del francese fille [ˈfij] sia meramente fonematica. Ma, a parte il fatto che, fonematicamente, nell’inglese britannico meridionale di oggi fee è piú opportunamente rappresentabile proprio come /fɪ̍j/(che rende inoltre automaticamente conto del passaggio, qui realmente fonetico, da [i̯] a [j] davanti a vocale, come in fee and…), c’è da dire che l’[j] di fille è probabilmente piú vicino a [ʝ], ed è sicuramente un [j] nella pronuncia enfatica con scevà (arrotondato) finale [ˈˈfiˑjɵ].
Tornando all’italiano, devo dire che, mentre, in una pronuncia lenta e accurata, le mie Tuscae aures non hanno alcuna difficoltà nel percepire una chiara differenza fra [i, u] e [j, w] negli esempi dati sopra, a ritmo allegro la differenza si fa sempre piú sfumata fino a scomparire quasi del tutto, concordemente col fatto che [j, w] non son altro che [i, u] pronunciate piú rapidamente, la differenza tra hai odio e ha iodio (che dimostra l’appartenenza [in italiano, ma non, e.g., in inglese] di [i̯] a /i/ anziché a /j/) mantenendosi piuttosto —almeno al mio orecchio— in virtú della diversa lunghezza dell’[a] iniziale…
Del resto, il Brozović parlava di «opposizione unidirezionale» per i fonemi /i, u/ ~ /j, w/: negli esempi di cui sopra /i, u/ [i, u] possono diventare [j, w] a ritmo allegro, ma /j, w/ [j, w] non possono passare a [i, u] (se non in una pronuncia enfatica, altrimenti innaturale: e.g., piaaano! [piˈˈaːːnoˑ]).
Dopo questa lunga (ma, credo, inevitabile) premessa, veniamo finalmente alla piú specifica questione in oggetto. In una pronuncia lenta e accurata, m’attengo in modo sorprendentemente naturale alla norma: /di/alogo, /di/aletto, /di/ario, ma /dj/avolo, /dj/eta (lo stabilisco attraverso la prova di unidirezionalità di cui sopra). Tuttavia, a ritmo allegro /di/aletto diventa facilmente [dj]aletto, mentre [di]alogo resiste un po’ meglio probabilmente in virtú della scansione sillabica, ma sfido chiunque a percepire una reale differenza con [dj]alogo quando l’eloquio si fa rapidissimo…
_____
* E quindi almeno in parte sull’etimologia.
Re: Pronuncia effettiva e sue rappresentazioni (per voci quali «dialogo», «dialetto»)
Caro Infarinato, la ringrazio sentitamente, non solo per la cortesia della risposta, ma anche per la ricchezza dei contenuti in cui vengono affrontati - con levità di tratto - questioni linguistiche inerenti all'aspetto della "continuità" mediante la quale determinati "suoni" vengono - inevitabilmente - articolati in diverse circostanze dallo stesso locutore (non necessariamente toscano…).
Infatti, si tratta d'un'effettiva continuità, spesso nemmeno accennata in non poca lessicografia corrente, che sembra talora indicare un'inesistente "dicotomia" (quasi si trattasse di distinguere tra numeri pari e dispari) esclusivamente fondata su aspetti di tipo - più o meno - sociolinguistico in riferimento a ciascuna delle voci elencate.
Ho molto apprezzato la chiarezza e l'organizzazione dell'intervento, oltre alla citazione del suo articolo (che sono andato subito a rileggermi), e penso che queste caratteristiche risulteranno gradite e utili anche agli altri lettori che hanno seguito l'argomento.
Infatti, si tratta d'un'effettiva continuità, spesso nemmeno accennata in non poca lessicografia corrente, che sembra talora indicare un'inesistente "dicotomia" (quasi si trattasse di distinguere tra numeri pari e dispari) esclusivamente fondata su aspetti di tipo - più o meno - sociolinguistico in riferimento a ciascuna delle voci elencate.
Ho molto apprezzato la chiarezza e l'organizzazione dell'intervento, oltre alla citazione del suo articolo (che sono andato subito a rileggermi), e penso che queste caratteristiche risulteranno gradite e utili anche agli altri lettori che hanno seguito l'argomento.
Re: Pronuncia effettiva e sue rappresentazioni (per voci quali «dialogo», «dialetto»)
Anch'io ringrazio l'Infarinato.

Non ho ben capito questo passaggio. Non abbiamo detto che, al contrario, la sillabazione è un fatto fonetico e non fonematico (e per questo —almeno qui— scriviamo /CV̍/ anziché /ˈCV/)?Infarinato ha scritto: gio, 08 mag 2025 17:59 […] oltre all’asillabicità (che, però, è un tratto piú fonematico che propriamente fonetico) […]
Molto interessante. Mi chiedo, da ignorante, se un'interpretazione del genere possa aver senso anche da un punto di vista fonematico: contrastare, anziché /jV ~ iV, wV ~ uV/, /i͜V ~ iV, u͜V ~ uV/…Infarinato ha scritto: gio, 08 mag 2025 17:59 Tuttavia, la sola reale differenza fonetica tra [j, w] e [i, u] […] è la brevità. Ha ragione di certo il Ladefoged quando afferma che, in principio di sillaba, una legamento (o «semiconsonante», meno bene «semivocale») non è nient’altro che un rapido, continuo movimento dalla vocale alta corrispondente (cioè [i, u]) alla vocale successiva (che forma, in tutto o in parte, il nucleo della sillaba). Quindi, [ja, wa] andrebbero forse meno ambiguamente scritte come [i͜a, u͜a].
- Infarinato
- Amministratore
- Interventi: 5621
- Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 10:40
- Info contatto:
Re: [FT] Sillabazione fonologica
Fuori tema
Avrei forse dovuto scrivere fonologico anziché «fonematico» per evitare ogni equivoco… In ogni caso, si tratta due accezioni diverse della parola: quando dico che preferisco seguire (ammodernandone la grafia) il Muljačić scrivendo /pia̍no, pja̍no/ anziché, attenendomi all’AFI ufficiale, /piˈano, ˈpjano/, lo dico perché sia chiaro che la coppia in questione è effettivamente una coppia unidivergente (altri direbbe «minima», ma preferisco la terminologia castellaniana), in cui gli unici fonemi in opposizione reciproca (o in «contrasto», trattandosi di una vocale e di una consonante) sono appunto /i ~ j/, e la vocale accentata è la /a/ in entrambi i casi. La sillabazione è, sí, un fatto perlopiú fonologico (foneticamente arduo da definire in generale, ancorché intuitivamente abbastanza semplice per una lingua come l’italiano), ma non entra nell’analisi fonema-per-fonema di una parola.G. M. ha scritto: ven, 09 mag 2025 14:58Non ho ben capito questo passaggio. Non abbiamo detto che, al contrario, la sillabazione è un fatto fonetico e non fonematico (e per questo —almeno qui— scriviamo /CV̍/ anziché /ˈCV/)?Infarinato ha scritto: gio, 08 mag 2025 17:59 […] oltre all’asillabicità (che, però, è un tratto piú fonematico che propriamente fonetico) […]
- Millermann
- Interventi: 1750
- Iscritto in data: ven, 26 giu 2015 19:21
- Località: Riviera dei Cedri
Re: Pronuncia effettiva e sue rappresentazioni (per voci quali «dialogo», «dialetto»)
M'inserisco un momento anch'io nella discussione, perché ho apprezzato molto la spiegazione d'Infarinato e, se mi è concesso, vorrei avere un piccolo chiarimento s'un aspetto forse marginale rispetto all'argomento del filone, ma che, da quando ho finito di leggerlo, continua a girarmi nella mente.
Mi scuso se la domanda appare banale per chi padroneggia la giusta pronuncia toscana, ma io, a causa dell'influenza del mio dialetto, in cui sono presenti moltissime parole che iniziano con /j/, nella mia pronuncia spontanea applico il RF anche in questo caso; cosí, a ritmo lento:
La differenza, comunque, è sempre ben percepibile, anche nella pronuncia rapida, esattamente come lo sarebbe nel caso di una qualsiasi consonante.
È dunque, la mia, una pronuncia da correggere? Eppure mi sembra cosí naturale e facile da realizzare!
Mi chiedo, perciò: applicare un «leggero» RF davanti alle semiconsonanti [j, w] anche in italiano, se ciò risulta naturale, è un errore da correggere? O, semplicemente, sarebbe addirittura «meglio» rispetto al non applicarlo, ma si possono accettare entrambe le pronunce, a seconda dell'abilità fonatoria dei parlanti?
La ringrazio per la sua pazienza e disponibilità, caro Infarinato, e mi scuso ancora per la banalità del mio dubbio.
Devo, dunque, dedurre che nel caso di parola che inizi con una semiconsonante (come /jɔ̍djo/) il raddoppiamento fonosintattico non si verifica affatto?Infarinato ha scritto: gio, 08 mag 2025 17:59 È chiaro che, perlomeno a ritmo lento, noi avvertiamo un’opposizione tra hai odio /ai ɔ̍djo/ [ˌaˑi̯ ˈɔːdjo] e ha iodio /a jɔ̍djo/ [ˌa ˈjɔːdjo]
[…]
a ritmo allegro la differenza si fa sempre piú sfumata fino a scomparire quasi del tutto, concordemente col fatto che [j, w] non son altro che [i, u] pronunciate piú rapidamente, la differenza tra hai odio e ha iodio (…) mantenendosi piuttosto —almeno al mio orecchio— in virtú della diversa lunghezza dell’[a] iniziale…
Mi scuso se la domanda appare banale per chi padroneggia la giusta pronuncia toscana, ma io, a causa dell'influenza del mio dialetto, in cui sono presenti moltissime parole che iniziano con /j/, nella mia pronuncia spontanea applico il RF anche in questo caso; cosí, a ritmo lento:
- hai odio /ai ɔ̍djo/
- ha iodio /a ʝjɔ̍djo/
- hai odio /ajɔ̍djo/
- ha iodio /ajjɔ̍djo/
La differenza, comunque, è sempre ben percepibile, anche nella pronuncia rapida, esattamente come lo sarebbe nel caso di una qualsiasi consonante.
È dunque, la mia, una pronuncia da correggere? Eppure mi sembra cosí naturale e facile da realizzare!

Fuori tema
Preciso che l'influenza del dialetto è limitata all'applicazione del RF anche davanti alla semiconsonante /j/, ma le modalità della realizzazione sono piuttosto differenti: in dialetto il raddoppiamento risulta ben piú marcato, tanto che spesso, in un testo in vernacolo, viene scritto «ghj». Esempio:
simu juti /'simu 'juti/ (siamo andati)
sú ghjuti /'su 'gjuti/ (sono andati)
simu juti /'simu 'juti/ (siamo andati)
sú ghjuti /'su 'gjuti/ (sono andati)
La ringrazio per la sua pazienza e disponibilità, caro Infarinato, e mi scuso ancora per la banalità del mio dubbio.

In Italia, dotta, Foro fatto dai latini
- Infarinato
- Amministratore
- Interventi: 5621
- Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 10:40
- Info contatto:
Re: [FT] Durata fonologica di /j, w, z/ in italiano
Fuori tema
Proprio cosí: /j, w, z/ sono sempre (fonologicamente) scempie in italiano normale/toscano ([z] può essere foneticamente rafforzata in posizione preconsonantica: e.g., risma /rı̍zma/ [ˈrizːma]).Millermann ha scritto: ven, 09 mag 2025 16:08 Devo, dunque, dedurre che nel caso di parola che inizi con una semiconsonante (come /jɔ̍djo/) il raddoppiamento fonosintattico non si verifica affatto?
[…]
Mi chiedo, perciò: applicare un «leggero» RF davanti alle semiconsonanti [j, w] anche in italiano, se ciò risulta naturale, è un errore da correggere?
Re: [FT] Rappresentazione dei legamenti
Fuori tema
Graficamente, servirebbero anche archetti lunghi per la "resurrezione" dei «trittonghi» di quiete e aiuola…G. M. ha scritto: ven, 09 mag 2025 14:58 Molto interessante. Mi chiedo, da ignorante, se un'interpretazione del genere possa aver senso anche da un punto di vista fonematico: contrastare, anziché /jV ~ iV, wV ~ uV/, /i͜V ~ iV, u͜V ~ uV/…

Re: Pronuncia effettiva e sue rappresentazioni (per voci quali «dialogo», «dialetto»)
Dopo i chiarimenti e gli spunti contenuti nell'intervento dell'Infarinato e tutto quanto ho potuto rilevare anche negli altri contributi, ieri, casualmente, mi sono trovato davanti al testo di un ottimo autore che, per alcuni secondi, mi ha mostrato quelle che possono essere le difficoltà dei lettori di fronte agli argomenti affrontati in questo filone.
Intendo soltanto condividere - brevissimamente - l'episodio.
In una biblioteca pubblica stavo sfogliando un volume di D. Vitali, ottimo autore, intitolato “Dialetti emiliani e dialetti toscani”.
Leggo, per caso, a pag. 11 del volume: “…inoltre i toscani, a differenza di tanti altri italiani, pronunciano /vi'aʤʤo/ «viaggio» vs. /'pjaʤʤo/ «Piaggio», anche se resta vero che alla conservazione di /i/ nei casi di composizione si accompagna una diversa struttura sillabica: però, si potrebbe vedere nella diversa divisione in sillabe tra /vi'aʤʤo/ e /'pjaʤʤo/ una conseguenza anziché la causa della selezione di /i/ o di /j/).”
La mia personale difficoltà è consistita dall'intrecciarsi dei possibili raffronti.
Uno - sebbene non esplicitato nel testo in termini geografici - sembra riferito a pronunce di “italiano locale” in cui voci del tipo di “viaggio” vengono, comunque, pronunciate, anche a ritmo estremamente lento, soltanto mediante l'approssimante /j/.
Per altro, ciò che può porre in difficoltà il lettore è - nel confronto con una voce lessicale quale "viaggio" - il ricorso alla pronuncia di un cognome (o toponimo o cognome che deriva da un toponimo) in quanto, in questo caso, non è affatto detto che si possa davvero partire da /i/, del tutto indipendentemente dal “livello di lingua” parlato dall'eventuale locutore.
Mi spiego. Anche nelle voci del lessico che derivano, ad es., da (-)pl- latino (senza dover far ricorso a cognomi o a toponimi) si possono già rilevare parole in cui si può trattare esclusivamente di /j/, dal momento che questo - /pj-, -ppj-/ - è l'esito italiano del nesso etimologico sopra riferito.
Intendo dire che, come ho sempre sentito pronunciare in Liguria /'pjaʤʤo/ il cognome “Piaggio” e in modo direttamente confrontabile i toponimi locali in qualche modo collegabili, così per molti anni mi sono mosso lungo la via Pistoiese (alla periferia di Firenze, nella zona di Brozzi, di linguaggio tradizionale, comunque, fiorentino) e ho sentito pronunciare - sempre ed esclusivamente mediante /j/ - il nome del quartiere (delle) "Piagge", caratterizzato da abitazioni di recente costruzione. Come, ad es., nel caso di “spiaggia” ecc..
Indipendentemente dalla grafia dell'italiano, in questi casi, l'evoluzione diacronica della lingua è giunta, evidentemente a /j/, ma non a partire da /i/. Come, ad es., in “chiaro”, “ghianda”, “bianco” ecc…
Ho fatto una piccola prova con lettori toscani colti, chiedendo loro di uscire dalla stanza di lettura. Proponendo loro esempi caratterizzati da /i/, almeno, originario, e altri contraddistinti dalla presenza di /j/ priva di alternative (se non di tipo meramente grafico), si sono confusi…
Intendo soltanto condividere - brevissimamente - l'episodio.
In una biblioteca pubblica stavo sfogliando un volume di D. Vitali, ottimo autore, intitolato “Dialetti emiliani e dialetti toscani”.
Leggo, per caso, a pag. 11 del volume: “…inoltre i toscani, a differenza di tanti altri italiani, pronunciano /vi'aʤʤo/ «viaggio» vs. /'pjaʤʤo/ «Piaggio», anche se resta vero che alla conservazione di /i/ nei casi di composizione si accompagna una diversa struttura sillabica: però, si potrebbe vedere nella diversa divisione in sillabe tra /vi'aʤʤo/ e /'pjaʤʤo/ una conseguenza anziché la causa della selezione di /i/ o di /j/).”
La mia personale difficoltà è consistita dall'intrecciarsi dei possibili raffronti.
Uno - sebbene non esplicitato nel testo in termini geografici - sembra riferito a pronunce di “italiano locale” in cui voci del tipo di “viaggio” vengono, comunque, pronunciate, anche a ritmo estremamente lento, soltanto mediante l'approssimante /j/.
Per altro, ciò che può porre in difficoltà il lettore è - nel confronto con una voce lessicale quale "viaggio" - il ricorso alla pronuncia di un cognome (o toponimo o cognome che deriva da un toponimo) in quanto, in questo caso, non è affatto detto che si possa davvero partire da /i/, del tutto indipendentemente dal “livello di lingua” parlato dall'eventuale locutore.
Mi spiego. Anche nelle voci del lessico che derivano, ad es., da (-)pl- latino (senza dover far ricorso a cognomi o a toponimi) si possono già rilevare parole in cui si può trattare esclusivamente di /j/, dal momento che questo - /pj-, -ppj-/ - è l'esito italiano del nesso etimologico sopra riferito.
Intendo dire che, come ho sempre sentito pronunciare in Liguria /'pjaʤʤo/ il cognome “Piaggio” e in modo direttamente confrontabile i toponimi locali in qualche modo collegabili, così per molti anni mi sono mosso lungo la via Pistoiese (alla periferia di Firenze, nella zona di Brozzi, di linguaggio tradizionale, comunque, fiorentino) e ho sentito pronunciare - sempre ed esclusivamente mediante /j/ - il nome del quartiere (delle) "Piagge", caratterizzato da abitazioni di recente costruzione. Come, ad es., nel caso di “spiaggia” ecc..
Indipendentemente dalla grafia dell'italiano, in questi casi, l'evoluzione diacronica della lingua è giunta, evidentemente a /j/, ma non a partire da /i/. Come, ad es., in “chiaro”, “ghianda”, “bianco” ecc…
Ho fatto una piccola prova con lettori toscani colti, chiedendo loro di uscire dalla stanza di lettura. Proponendo loro esempi caratterizzati da /i/, almeno, originario, e altri contraddistinti dalla presenza di /j/ priva di alternative (se non di tipo meramente grafico), si sono confusi…
Re: Pronuncia effettiva e sue rappresentazioni (per voci quali «dialogo», «dialetto»)
Dopo aver espresso - nel mio precedente intervento - la perplessità personale in merito a confronti diretti tra la pronuncia di una voce italiana e un cognome (sia pure noto) in quanto, in generale, non mi sembra risulti facile ottenere dati davvero attendibili su eventuali pronunce alternative di un cognome italiano o su ipotesi in merito alla sua possibile origine.
Per altro, nel caso del cognome Piaggio, riferito nell'intervento precedente, non mi hanno affatto aiutato né i siti dedicati ai cognomi italiani - che pullulano in rete - né il ricorso, per quanto effettuato in modo banale, all'intelligenza artificiale.
Uno dei siti consultati "sentenzia":
"L'origine va ricercata nel nome medievale Piaggio (variante fonetica del più comune Biagio), che, tratto dall'antica onomastica latina, significa letteralmente "balbuziente". Il cognome Piaggio è ligure, del genovese."
Per altro, il contributo dell'intelligenza artificiale implica, sostanzialmente, quanto segue:
“Toponimo non comune:
Il nome "Piaggio" non è un toponimo particolarmente diffuso in Liguria”,
responso ottenuto dopo aver digitato su diversi "motori di ricerca" "Piaggio toponimo Liguria".
Non so nulla di un nome medievale quale “Piaggio”, ma - almeno, fino a prova contraria - “tutto può (anche) essere”. Tuttavia, l'intrinseca contraddizione d'un'informazione autorizza a essere cauti. Ammesso (e non concesso) che Piaggio sia davvero d'origine ligure (come i dati numerici relativi ai portatori del cognome reperibili in rete sembrerebbero, per altro, confermare), la probabilità che esso possa rappresentare un esito locale di “Biagio” risulta praticamente nulla. A parte il fatto (per altro, fondamentale) che - nella rappresentazione grafica di nomi e cognomi - cessato l'uso del latino in Liguria si cercò sempre di “italianizzare” eventuali forme dalla struttura linguistica di tipo dialettale, l'assordimento di /b-/ iniziale di parola in /p-/ e l'eventuale geminazione anetimologica di /-ʤ-/>/-ʤʤ-/ non hanno nulla a che fare col territorio di tradizione linguistica ligure.
Nella realtà, sembra ragionevole ammettere che il cognome Piaggio derivi da un toponimo che coincide - tranne per il genere - con la voce “piaggia” sul cui etimo lascio spazio ai lessici ospitati in rete.
Se qualcuno avesse la pazienza di consultare cartine al 25.000 del territorio ligure potrebbe riscontrare innumerevoli segnalazioni del toponimo, ma ciò che ha ingannato l'intelligenza artificiale e ha sviato gli “esperti” di cognomi è un banalissimo aspetto della fonologia tradizionale dei dialetti liguri, per altro rintracciabilissimo (anche) in rete:
/pl-/ e /bl-/ originari non si sono conservati.
Si ebbe, infatti:
/pl-/>/pʎ-/>/pj-/>/pʤ-/>/pʧ->/(p)ʧ-/>/ʧ-/ e
/bl-/>/bʎ-/>/bj-/>/bʤ-/>/(b)ʤ->/ʤ-/,
come, appunto, in Giâxu /'ʤa:ʒu/ = Biagio e Ciazzu /'ʧazzu/, toponimo dal significato di “pendio, declivio”, tuttavia sempre indicato come "Ciazzo" nella cartografia, ciò che spiega la difficoltà riscontrata da chi s'è trovato a dover negare che il cognome Piaggio fosse semplicemente un antico (micro)toponimo locale nella sua forma italianizzata (come se non fosse direttamente collegato col sost. italiano "piaggia" - o, ad es., col toponimo "Piagge" del territorio fiorentino -). Infatti, il fiorentino - se si fa riferimento alle transizioni evolutive precedenti - "s'è fermato", evidentemente, agli stadi evolutivi rappresentati da /pj-/ e /bj-/. Ciò che ha determinato, come in molti altri casi (che risparmio ai lettori), informazioni sbagliate e, in buona parte, assurde è, ormai, l'incapacità di formulare il corretto collegamento quando l'etimo implica il ricorso alla cartografia locale. Infatti, per ragioni di prestigio, i cognomi sono stati tramandati nella migliore forma italiana che si fosse capaci di formulare all'epoca della loro formazione, ma questa sorte non è stata concessa ai (micro)toponimi, se pure, in certi casi, diffusissimi sul territorio. Nel caso esaminato, ad es., l'unica informazione attendibile che si può ottenere in rete dai motori di ricerca e dall'intelligenza artificiale è che non sembra esistano più "umani" in grado di rendersi conto che un cognome quale Piaggio e un toponimo quale "Ciazzu" /'ʧazzu/ - almeno, in origine - coincidevano - localmente - anche nella pronuncia.
Per altro, come si può verificare anche in rete, a Genova, ad es., a seguito dell'ampliamento del territorio comunale, un toponimo quale "Ciazzu" /'ʧazzu/ entrò anche nella toponomastica stradale urbana. Infatti, nell'attuale zona di Sturla si può riscontrare "via del Ciazzo", in cui - come, per altro, anticipato - non è mai stato effettuato alcun tentativo d'italianizzazione del toponimo locale (a differenza di ciò che avvenne nel caso del cognome). In rete si afferma, altresì, che il toponimo deriverebbe dal lat. "plaxiu(m)". In realtà, l'informazione fornita in questa modalità, rischia di risultare confusiva. La rappresentazione grafica costituita da "plaxiu(m)" - di cui, per altro, non viene indicata la fonte - non può indicare certamente un vocabolo latino, ma può essere soltanto un tentativo di "latinizzazione" della voce locale eventualmente riscontrato in qualche documento ancora redatto in latino. Infatti, a parte il genere morfologico, l'etimo di "piaggio, Piaggio" non può che coincidere con quello della voce italiana "piaggia" per la quale si possono utilmente consultare repertori caratterizzati da migliore competenza generale.
Per chi s'accontenta di risalire non oltre il livello del latino e del greco, si riporta di seguito quanto afferma il vocabolario Treccani riscontrabile in rete:
"piàggia s. f. [lat. mediev. plagia «pendio, costa di monte» e «spiaggia» (di cui sono anche documentate le var. plaia e masch. plaiu), forse incrocio del lat. plaga (v. plaga) con il gr. πλάγια «pendenze, coste, fianchi», pl. neutro sostantivato dell’agg. πλάγιος «obliquo, trasversale» (con il quale si spiegherebbe anche la forma masch. del mediev. plaiu)] (pl. -ge)."
Vengono infatti, fornite, tutte le informazioni occorrenti per poter "giustificare" adeguatamente l'esito fiorentino (quindi, italiano) "piaggia", come pure - prescindendo dall'aspetto morfologico del genere, rilevato, per altro,come possibile alternativa antica anche nello stesso vocabolario Treccani - l'esito del toponimo e del cognome ligure.
Infatti, appare evidente come alla stabilità della forma (fiorentina e, perciò, italiana) rappresentata da "piaggia /'pjaʤʤa/ si sia storicamente contrapposto un ulteriore percorso evolutivo (assai articolato) in territorio ligure.
Innanzitutto, si ebbe - come sviluppo più antico - il passaggio da /'-ʤʤ-/>/-ʣʣ-/ - da cui s'otterrà, successivamente, /'-zz-/ -. Il fatto che si sia trattato del primo scostamento significativo rispetto alla struttura tuttora riscontrabile in italiano è dimostrato dal fatto che la forma del toponimo “Piazzu” /'pjaʣʣu/ risulta caratteristica di località di linguaggio tradizionale arcaico, mentre l'evoluzione successiva, che condurrà a un esito quale “Ciazzu” /'ʧazzu/, attesta semplicemente che - in loco “all'epoca” - il fonema /j/ non poté essere tollerato in nessuna posizione, risultando del tutto generalizzata la sua sostituzione mediante il fonema /ʤ/ che, in alcuni casi (se, ad es., preceduto da /p/), verrà pronunciato come fonema sonoro, cioè /ʧ/.
E, a questo punto, il cerchio si chiude in quanto è già stato chiarito - nella parte iniziale del messaggio - che:
/pj-/>/pʤ-/>/pʧ->/(p)ʧ-/>/ʧ-/.
P.S.: tutte le voci del lessico ligure - non soltanto i nomi e i toponimi - confermano quanto illustrato. A "bianco" corrisponde "giancu", a "piangere" "cianze" . . .
P.P.S.: in realtà, quando si tratta di fonemi consonantici in posizione immediatamente postaccentuale, anche in genovese - per lo meno, nelle voci di derivazione diretta dal latino - si può constatare la conservazione della durata consonantica e, quindi, il mantenimento della geminazione, correttamente riscontrabile in un cognome quale Piaggio (come pure nei toponimi che dettero origine al cognome), mentre si ha sillaba accentata aperta nel corrispondente locale di Biagio ecc. . . . Esistono, per altro, anche molti casi di geminazione anetimologica, ma riguardano esclusivamente voci che non provengono direttamente dal latino in quanto si tratta di cultismi o voci derivate direttamente dalla lingua italiana a motivo del suo prestigio socio-linguistico. Per completezza di esposizione cito anche questa possibilità, soprattutto nel caso in cui qualcuno potesse essersene già reso conto autonomanente. Questo, ad es., è il caso in cui si ebbero "cultismi" (per altro, molto diffusi e assai numerosi) del tipo di "vitta" /'vitta/ = vita o "regallu" /re'gallu/ = regalo. Infatti, nelle voci di derivazione diretta, i fonemi etimologici /-t-/ ed /-l-/ si sarebbero ridotti allo zero fonico. Ma non esiste evidenza che si siano mai sviluppate forme del tipo di "vîa"**/'vi:a/ per "vita" o di "regâu" **/re'ga:u/>/re'gɔu/ per "regalo".
Infatti, /'-tt-/ ed /'-ll-/ originari - come, ad es., in "battu" /'battu/ = batto o in "mollu" /'mɔllu/ = mollo (verbo e agg.) poterono conservarsi.
Certo, si tratta di territori linguistici definiti "gallo-italici" dagli studiosi e situati all'esterno del fascio d'isoglosse definito sinteticamente come "linea la Spezia - Rimini" (o con modalità simili), ma il fatto linguistico storicamente accertato è che - pur al costo di geminazioni consonantiche estranee agli sviluppi locali di formazione diretta - non si accettò - già in epoche remote - di discostarsi "troppo" (questa, almeno, era l'intenzione) dalle pronunce e dai modelli proposti dalla lingua letteraria italiana, destinata a divenire nella Penisola ("linea la Sp. - Rim." o non linea") la "lingua guida" - definizione dello studioso G.B. Pellegrini -.
Per altro, nel caso del cognome Piaggio, riferito nell'intervento precedente, non mi hanno affatto aiutato né i siti dedicati ai cognomi italiani - che pullulano in rete - né il ricorso, per quanto effettuato in modo banale, all'intelligenza artificiale.
Uno dei siti consultati "sentenzia":
"L'origine va ricercata nel nome medievale Piaggio (variante fonetica del più comune Biagio), che, tratto dall'antica onomastica latina, significa letteralmente "balbuziente". Il cognome Piaggio è ligure, del genovese."
Per altro, il contributo dell'intelligenza artificiale implica, sostanzialmente, quanto segue:
“Toponimo non comune:
Il nome "Piaggio" non è un toponimo particolarmente diffuso in Liguria”,
responso ottenuto dopo aver digitato su diversi "motori di ricerca" "Piaggio toponimo Liguria".
Non so nulla di un nome medievale quale “Piaggio”, ma - almeno, fino a prova contraria - “tutto può (anche) essere”. Tuttavia, l'intrinseca contraddizione d'un'informazione autorizza a essere cauti. Ammesso (e non concesso) che Piaggio sia davvero d'origine ligure (come i dati numerici relativi ai portatori del cognome reperibili in rete sembrerebbero, per altro, confermare), la probabilità che esso possa rappresentare un esito locale di “Biagio” risulta praticamente nulla. A parte il fatto (per altro, fondamentale) che - nella rappresentazione grafica di nomi e cognomi - cessato l'uso del latino in Liguria si cercò sempre di “italianizzare” eventuali forme dalla struttura linguistica di tipo dialettale, l'assordimento di /b-/ iniziale di parola in /p-/ e l'eventuale geminazione anetimologica di /-ʤ-/>/-ʤʤ-/ non hanno nulla a che fare col territorio di tradizione linguistica ligure.
Nella realtà, sembra ragionevole ammettere che il cognome Piaggio derivi da un toponimo che coincide - tranne per il genere - con la voce “piaggia” sul cui etimo lascio spazio ai lessici ospitati in rete.
Se qualcuno avesse la pazienza di consultare cartine al 25.000 del territorio ligure potrebbe riscontrare innumerevoli segnalazioni del toponimo, ma ciò che ha ingannato l'intelligenza artificiale e ha sviato gli “esperti” di cognomi è un banalissimo aspetto della fonologia tradizionale dei dialetti liguri, per altro rintracciabilissimo (anche) in rete:
/pl-/ e /bl-/ originari non si sono conservati.
Si ebbe, infatti:
/pl-/>/pʎ-/>/pj-/>/pʤ-/>/pʧ->/(p)ʧ-/>/ʧ-/ e
/bl-/>/bʎ-/>/bj-/>/bʤ-/>/(b)ʤ->/ʤ-/,
come, appunto, in Giâxu /'ʤa:ʒu/ = Biagio e Ciazzu /'ʧazzu/, toponimo dal significato di “pendio, declivio”, tuttavia sempre indicato come "Ciazzo" nella cartografia, ciò che spiega la difficoltà riscontrata da chi s'è trovato a dover negare che il cognome Piaggio fosse semplicemente un antico (micro)toponimo locale nella sua forma italianizzata (come se non fosse direttamente collegato col sost. italiano "piaggia" - o, ad es., col toponimo "Piagge" del territorio fiorentino -). Infatti, il fiorentino - se si fa riferimento alle transizioni evolutive precedenti - "s'è fermato", evidentemente, agli stadi evolutivi rappresentati da /pj-/ e /bj-/. Ciò che ha determinato, come in molti altri casi (che risparmio ai lettori), informazioni sbagliate e, in buona parte, assurde è, ormai, l'incapacità di formulare il corretto collegamento quando l'etimo implica il ricorso alla cartografia locale. Infatti, per ragioni di prestigio, i cognomi sono stati tramandati nella migliore forma italiana che si fosse capaci di formulare all'epoca della loro formazione, ma questa sorte non è stata concessa ai (micro)toponimi, se pure, in certi casi, diffusissimi sul territorio. Nel caso esaminato, ad es., l'unica informazione attendibile che si può ottenere in rete dai motori di ricerca e dall'intelligenza artificiale è che non sembra esistano più "umani" in grado di rendersi conto che un cognome quale Piaggio e un toponimo quale "Ciazzu" /'ʧazzu/ - almeno, in origine - coincidevano - localmente - anche nella pronuncia.
Per altro, come si può verificare anche in rete, a Genova, ad es., a seguito dell'ampliamento del territorio comunale, un toponimo quale "Ciazzu" /'ʧazzu/ entrò anche nella toponomastica stradale urbana. Infatti, nell'attuale zona di Sturla si può riscontrare "via del Ciazzo", in cui - come, per altro, anticipato - non è mai stato effettuato alcun tentativo d'italianizzazione del toponimo locale (a differenza di ciò che avvenne nel caso del cognome). In rete si afferma, altresì, che il toponimo deriverebbe dal lat. "plaxiu(m)". In realtà, l'informazione fornita in questa modalità, rischia di risultare confusiva. La rappresentazione grafica costituita da "plaxiu(m)" - di cui, per altro, non viene indicata la fonte - non può indicare certamente un vocabolo latino, ma può essere soltanto un tentativo di "latinizzazione" della voce locale eventualmente riscontrato in qualche documento ancora redatto in latino. Infatti, a parte il genere morfologico, l'etimo di "piaggio, Piaggio" non può che coincidere con quello della voce italiana "piaggia" per la quale si possono utilmente consultare repertori caratterizzati da migliore competenza generale.
Per chi s'accontenta di risalire non oltre il livello del latino e del greco, si riporta di seguito quanto afferma il vocabolario Treccani riscontrabile in rete:
"piàggia s. f. [lat. mediev. plagia «pendio, costa di monte» e «spiaggia» (di cui sono anche documentate le var. plaia e masch. plaiu), forse incrocio del lat. plaga (v. plaga) con il gr. πλάγια «pendenze, coste, fianchi», pl. neutro sostantivato dell’agg. πλάγιος «obliquo, trasversale» (con il quale si spiegherebbe anche la forma masch. del mediev. plaiu)] (pl. -ge)."
Vengono infatti, fornite, tutte le informazioni occorrenti per poter "giustificare" adeguatamente l'esito fiorentino (quindi, italiano) "piaggia", come pure - prescindendo dall'aspetto morfologico del genere, rilevato, per altro,come possibile alternativa antica anche nello stesso vocabolario Treccani - l'esito del toponimo e del cognome ligure.
Infatti, appare evidente come alla stabilità della forma (fiorentina e, perciò, italiana) rappresentata da "piaggia /'pjaʤʤa/ si sia storicamente contrapposto un ulteriore percorso evolutivo (assai articolato) in territorio ligure.
Innanzitutto, si ebbe - come sviluppo più antico - il passaggio da /'-ʤʤ-/>/-ʣʣ-/ - da cui s'otterrà, successivamente, /'-zz-/ -. Il fatto che si sia trattato del primo scostamento significativo rispetto alla struttura tuttora riscontrabile in italiano è dimostrato dal fatto che la forma del toponimo “Piazzu” /'pjaʣʣu/ risulta caratteristica di località di linguaggio tradizionale arcaico, mentre l'evoluzione successiva, che condurrà a un esito quale “Ciazzu” /'ʧazzu/, attesta semplicemente che - in loco “all'epoca” - il fonema /j/ non poté essere tollerato in nessuna posizione, risultando del tutto generalizzata la sua sostituzione mediante il fonema /ʤ/ che, in alcuni casi (se, ad es., preceduto da /p/), verrà pronunciato come fonema sonoro, cioè /ʧ/.
E, a questo punto, il cerchio si chiude in quanto è già stato chiarito - nella parte iniziale del messaggio - che:
/pj-/>/pʤ-/>/pʧ->/(p)ʧ-/>/ʧ-/.
P.S.: tutte le voci del lessico ligure - non soltanto i nomi e i toponimi - confermano quanto illustrato. A "bianco" corrisponde "giancu", a "piangere" "cianze" . . .
P.P.S.: in realtà, quando si tratta di fonemi consonantici in posizione immediatamente postaccentuale, anche in genovese - per lo meno, nelle voci di derivazione diretta dal latino - si può constatare la conservazione della durata consonantica e, quindi, il mantenimento della geminazione, correttamente riscontrabile in un cognome quale Piaggio (come pure nei toponimi che dettero origine al cognome), mentre si ha sillaba accentata aperta nel corrispondente locale di Biagio ecc. . . . Esistono, per altro, anche molti casi di geminazione anetimologica, ma riguardano esclusivamente voci che non provengono direttamente dal latino in quanto si tratta di cultismi o voci derivate direttamente dalla lingua italiana a motivo del suo prestigio socio-linguistico. Per completezza di esposizione cito anche questa possibilità, soprattutto nel caso in cui qualcuno potesse essersene già reso conto autonomanente. Questo, ad es., è il caso in cui si ebbero "cultismi" (per altro, molto diffusi e assai numerosi) del tipo di "vitta" /'vitta/ = vita o "regallu" /re'gallu/ = regalo. Infatti, nelle voci di derivazione diretta, i fonemi etimologici /-t-/ ed /-l-/ si sarebbero ridotti allo zero fonico. Ma non esiste evidenza che si siano mai sviluppate forme del tipo di "vîa"**/'vi:a/ per "vita" o di "regâu" **/re'ga:u/>/re'gɔu/ per "regalo".
Infatti, /'-tt-/ ed /'-ll-/ originari - come, ad es., in "battu" /'battu/ = batto o in "mollu" /'mɔllu/ = mollo (verbo e agg.) poterono conservarsi.
Certo, si tratta di territori linguistici definiti "gallo-italici" dagli studiosi e situati all'esterno del fascio d'isoglosse definito sinteticamente come "linea la Spezia - Rimini" (o con modalità simili), ma il fatto linguistico storicamente accertato è che - pur al costo di geminazioni consonantiche estranee agli sviluppi locali di formazione diretta - non si accettò - già in epoche remote - di discostarsi "troppo" (questa, almeno, era l'intenzione) dalle pronunce e dai modelli proposti dalla lingua letteraria italiana, destinata a divenire nella Penisola ("linea la Sp. - Rim." o non linea") la "lingua guida" - definizione dello studioso G.B. Pellegrini -.
Ultima modifica di Ligure in data ven, 27 giu 2025 12:52, modificato 1 volta in totale.
Re: Pronuncia effettiva e sue rappresentazioni (per voci quali «dialogo», «dialetto»)
Ho soltanto scorporato - dal precedente messaggio, già lungo - la citazione relativa a Michele Loporcaro e, per altro, ho anche provveduto ad aggiungere le frasi dell'autore, non ancora riportate direttamente, che giustificano i riferimenti più generali al panorama linguistico neolatino.
Infatti, la convinzione degli studiosi - anche di quelli più recenti, come, ad es., Michele Loporcaro - è sempre stata che un processo evolutivo riscontrato in un ambito specifico dell'attuale territorio neolatino non possa risultare completamente isolato, ma debba esistere almeno un altro ambito geografico in cui uno sviluppo identico si sia potuto produrre.
Nel Cap. 12, intitolato "L'Italia dialettale", del "Manuale di linguistica italiana" (a cura di S. Lubello) M. Loporcaro scrive con molta chiarezza che “non esistono tratti comuni a tutti e soli i dialetti italo-romanzi, in quanto essi tutti sono parte del continuum dialettale neolatino. Confini linguistici netti possono aversi in presenza di frontiere geografiche come nel caso ovvio dei confini marittimi, ma non necessariamente dell'arco alpino, che a nord-ovest vede in Piemonte occidentale e in Valle d'Aosta l'estrema propaggine orientale del provenzale e del franco-provenzale” (Manlinguit,12; 276), precisando che “Si definisce continuum dialettale un territorio sul quale i dialetti sviluppatisi popolarmente in loco per la differenziazione diatopica di una stessa lingua originaria sono legati tra loro da una catena di intercomprensibilità per cui la varietà di ogni singola località x risulta comprensibile ai parlanti delle località immediatamente adiacenti y e z” (ibidem, 12; 277, nota 3).
Per altro, già nell'Abstract [sic!] del Cap. 12 del testo sopra riferito vengono delineate la distribuzione territoriale e le principali caratteristiche dei dialetti italo-romanzi, le quali consentono all'autore di poter affermare - riferendosi ad essi sulla base della loro conoscenza - che: “Questi fanno parte del più ampio dominio romanzo e vanno considerati a tutti gli effetti - sul piano linguistico - come lingue sorelle delle altre varietà neolatine cui ha arriso maggiore fortuna in termini socio-politico-culturali, a cominciare dall'italiano standard su base fiorentina”, aggiungendo, di seguito, “Rispetto al resto della Romània [il territorio su cui si parlano lingue derivate dal latino], non li delimita alcun tratto caratterizzante tutti e solo i dialetti italiani”.
Quanto riferito, quindi - ad es. nel caso genovese di /ʧ-/ proveniente da pl- latino -, può indurre a confrontare un esito locale quale cegâ /ʧe'ga:/ = piegare con la voce portoghese chegar /ʃe'gar/ = arrivare, sebbene entrambi provengano dal lat. plĭcārĕ e, in portoghese, si sia prodotta deaffricazione del fonema /ʧ-/>/ʃ-/. Ancora più interessante, sotto certi aspetti, ciò che s'è verificato in francese, in cui pl- latino s'è conservato (come, ad es., in pleurer, dal lat.plōrārĕ), mentre /pjV-/</piV/ lat. risulta direttamente confrontabile con quanto rilevabile in Liguria nel linguaggio tradizionale. Infatti, ad es., a partire dal latino săpĭă(t) sappia - III pers. sing. del cong. pres. di săpĭō, săpĕrĕ, a Genova s'ottenne - nel caso di sogg. femm. - a sacce /a'saʧʧe/ = (lei) sappia e, in francese, elle sache /ɛl'saʃ/, dal verbo savoir /sa'vwar/, voce verbale che mostra deaffricazione di /ʧ-/>/ʃ-/, rimandando a uno stadio evolutivo precedente direttamente confrontabile con quello ligure riferito. Come ogni “romanista” (cioè studioso della “Romània” linguistica) può confermare.
Infatti, la convinzione degli studiosi - anche di quelli più recenti, come, ad es., Michele Loporcaro - è sempre stata che un processo evolutivo riscontrato in un ambito specifico dell'attuale territorio neolatino non possa risultare completamente isolato, ma debba esistere almeno un altro ambito geografico in cui uno sviluppo identico si sia potuto produrre.
Nel Cap. 12, intitolato "L'Italia dialettale", del "Manuale di linguistica italiana" (a cura di S. Lubello) M. Loporcaro scrive con molta chiarezza che “non esistono tratti comuni a tutti e soli i dialetti italo-romanzi, in quanto essi tutti sono parte del continuum dialettale neolatino. Confini linguistici netti possono aversi in presenza di frontiere geografiche come nel caso ovvio dei confini marittimi, ma non necessariamente dell'arco alpino, che a nord-ovest vede in Piemonte occidentale e in Valle d'Aosta l'estrema propaggine orientale del provenzale e del franco-provenzale” (Manlinguit,12; 276), precisando che “Si definisce continuum dialettale un territorio sul quale i dialetti sviluppatisi popolarmente in loco per la differenziazione diatopica di una stessa lingua originaria sono legati tra loro da una catena di intercomprensibilità per cui la varietà di ogni singola località x risulta comprensibile ai parlanti delle località immediatamente adiacenti y e z” (ibidem, 12; 277, nota 3).
Per altro, già nell'Abstract [sic!] del Cap. 12 del testo sopra riferito vengono delineate la distribuzione territoriale e le principali caratteristiche dei dialetti italo-romanzi, le quali consentono all'autore di poter affermare - riferendosi ad essi sulla base della loro conoscenza - che: “Questi fanno parte del più ampio dominio romanzo e vanno considerati a tutti gli effetti - sul piano linguistico - come lingue sorelle delle altre varietà neolatine cui ha arriso maggiore fortuna in termini socio-politico-culturali, a cominciare dall'italiano standard su base fiorentina”, aggiungendo, di seguito, “Rispetto al resto della Romània [il territorio su cui si parlano lingue derivate dal latino], non li delimita alcun tratto caratterizzante tutti e solo i dialetti italiani”.
Quanto riferito, quindi - ad es. nel caso genovese di /ʧ-/ proveniente da pl- latino -, può indurre a confrontare un esito locale quale cegâ /ʧe'ga:/ = piegare con la voce portoghese chegar /ʃe'gar/ = arrivare, sebbene entrambi provengano dal lat. plĭcārĕ e, in portoghese, si sia prodotta deaffricazione del fonema /ʧ-/>/ʃ-/. Ancora più interessante, sotto certi aspetti, ciò che s'è verificato in francese, in cui pl- latino s'è conservato (come, ad es., in pleurer, dal lat.plōrārĕ), mentre /pjV-/</piV/ lat. risulta direttamente confrontabile con quanto rilevabile in Liguria nel linguaggio tradizionale. Infatti, ad es., a partire dal latino săpĭă(t) sappia - III pers. sing. del cong. pres. di săpĭō, săpĕrĕ, a Genova s'ottenne - nel caso di sogg. femm. - a sacce /a'saʧʧe/ = (lei) sappia e, in francese, elle sache /ɛl'saʃ/, dal verbo savoir /sa'vwar/, voce verbale che mostra deaffricazione di /ʧ-/>/ʃ-/, rimandando a uno stadio evolutivo precedente direttamente confrontabile con quello ligure riferito. Come ogni “romanista” (cioè studioso della “Romània” linguistica) può confermare.
Chi c’è in linea
Utenti presenti in questa sezione: Nessuno e 1 ospite