In questo caso, però, la colpa è prima di tutto della politica, che invece di usare una locuzione già presente da tempo nella nostra lingua la sostituisce con una inglese; e il giornalista - da bravo fido - segue le indicazioni dategli dal padrone.
L’informazione veicolata da questo nonsenso riguarda le turbe psichiche di chi, invece di vantarsi di conoscere bene l’italiano, si bea dell’idea che i lettori si faranno di lui: «Wow! Questo qui è un grande, sa parlare inglese!». Purtroppo è cosí. Mentre il mondo intero ammira con delizia la leggiadría senza pari della lingua italiana, gl’italiani la calpestano, la conculcano, la ripudiano, sognando d’impadronirsi della lingua inglese, nella quale lameggia* l’inafferrabile luminello dell’agognato potere.
*Esiste, esiste.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Bellissimo intervento, Marco. Faresti venir voglia di parlare italiano anche a un pubblicitario.
I giornalisti non s'accorgono della loro responsabilità nella diffusione dei forestierismi. O fanno spallucce. Nel caso di quest'articolo, spending review sarà usato altre due volte nel testo; revisione della spesa solo un'altra volta, retrocesso al rango di sinonimo.
P.S. Da una rapida sgugolata, ho notato che lameggiare è coniazione montaliana. Confermi?
Sí, e infatti nel Battaglia si trova questa sola attestazione montaliana. Bellissimo verbo che evoca i bagliori di una lama al sole.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Qui pare indichino il primo introduttore dell'ennesimo anglicismo inutile e spocchioso, a riprova del ruolo svolto dai politici nell'involuzione della lingua.
Mi domando se Schioppa non dovrebbe ribattezzarsi Skyop.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ovviamente, tecnici o no, i politici hanno tutto l'interesse ad usare terminologie incomprensibili alla grande maggioranza dei cittadini. Questa mania era già stata messa alla berlina da Ettore Petrolini nel suo "Nerone".
Il bello è che bene spesso al telegiornale si sente dire «la spending review, cioè la revisione della spesa...»; dire semplicemente revisione della spesa no eh?
Non scrivete “Il discorso era noioso, e i relatori aspettavano
l’intervallo” ma “Lo speech era low-quality e il panel s’era messo
in hold per il coffee-break”.