Escamotage

Spazio di discussione su prestiti e forestierismi

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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto:
bartolo ha scritto:Nell'escamotage...
Siccome so che Bartolo sarà clemente, mi permetto di segnalare la forma italianizzata scamotaggio (esiste anche escamotaggio ma è forma «meno italiana») e il verbo scamottare (per cui io preferirei scamottaggio con due t), risalente al 1558. :)
Il GRADIT dà per scamottare il solo significato di 'sottrarre con l'inganno; rubacchiare' oltre alla marca d'uso BU relativa ai termini rari o di basso uso.
A mio parere è meglio attenersi ai buoni traducenti segnalati nella Lista (espediente, ripiego, scappatoia, trucc[hett]o) da usare in maniera opportuna nei vari contesti.
Invece codeste forme da lei segnalate (esclusa forse proprio escamotaggio) mi sembrano completamente inadeguate. :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Seppure di basso uso, la variante scamotaggio è data come perfetto sinonimo di escamotage. E si potrebbe benissimo «rilanciarla», fermo restando che si può ricorrere efficacemente ai traducenti della lista.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto:Seppure di basso uso, la variante scamotaggio è data come perfetto sinonimo di escamotage.
Questo lo sapevo e non l'ho messo in dubbio. La mia perplessità riguardava il proporlo come traducente moderno del forestierismo.
Se escludiamo i traducenti consigliabili (quelli della Lista) anche nel caso di un adattamento non vedo perché non seguire la strada di minor resistenza: escamotaggio è più simile al termine da sostituire; non riesco a trovare motivi per optare per uno più ostico.
Ancora più problemi vedo per il termine da lei preferito scamottaggio, visto che il verbo aveva un significato che si allontana maggiormente dall'attuale significato del forestierismo.
Intendiamoci, tutto è possibile, anche rilanciare scamottaggio in un'estensione di significato, ma non mi sembra, realisticamente, che possiamo permetterci di questi lussi. :)
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Tuttavia il verbo scamottare (che è l’adattamento del francese escamoter, dallo spagnolo escamotar ‘far sparire’) ha come primo significato «sottrarre con l’astuzia e l’inganno; far sparire con destrezza» (cito apposta dal Battaglia, che pochi possono facilmente consultare) e in questo senso non proprio estraneo a quello di escamotage è adoperato ancora da Faldella (1846-1928), che usa anche scamottato «evitato con un trucco».

È ben vero che ormai parlare italiano è un lusso riservato a pochi.

Là, tout n’est qu’ordre et beauté,
Luxe, calme et volupté.
:)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto: Tuttavia il verbo scamottare (che è l’adattamento del francese escamoter, dallo spagnolo escamotar ‘far sparire’) ha come primo significato «sottrarre con l’astuzia e l’inganno; far sparire con destrezza» (cito apposta dal Battaglia, che pochi possono facilmente consultare) e in questo senso non proprio estraneo a quello di escamotage è adoperato ancora da Faldella (1846-1928), che usa anche scamottato «evitato con un trucco».
Il Battaglia è prezioso, in questo caso, ma non dobbiamo mai dimenticare che si tratta di un vocabolario storico.
Analizziamo con attenzione le voci riportate (cito a memoria, non avendo sottomano l'opera).

Scamottare non può essere proprio estraneo a escamotage avendo la stessa origine. Si tratta però di un prestito avvenuto in tempi diversi. Non è così strano che una lingua prenda in prestito, per più volte, lo stesso termine riferendosi ad accezioni diverse oppure al significato vivo, in quel momento, nella lingua madre.
Un segnale importante di quest'ipotesi, nel nostro caso, è che scamottare e scamotaggio siano descritti in due entrate diverse. Nella prima voce non vi è cenno alle accezioni moderne del termine escamotage in italiano; nella seconda voce è data l'unica variante scammottaggio e non scamottaggio come derivato di scamottare: segno che scamottaggio e scamotaggio, anche avendo la stessa origine, hanno assunto, nell'italiano antico, significati diversi. Nel Supplemento, che aggiorna il Battaglia, è presente la voce escamotage, con i suoi significati moderni e senz'alcun cenno alla variante antica. I motivi possono essere diversi: una dimenticanza oppure un voler sottolineare ulteriormente l'indipendenza del nuovo ingresso, con accezione diversa (essenzialmente figurata), del forestierismo non adattato.

In sintesi: la relazione tra escamotage e scamottaggio sembra inesistente (se non nella comune origine) mentre è dubbia quella con scamotaggio.

Questa è anche la posizione della maggior parte dei migliori dizionari moderni quando riportano scamotaggio (mai scamottaggio!).

Il Treccani in linea conclude la voce escamotage scrivendo: "È usato talora anche l'adattamento italiano escamotaggio".

Perfino il Gabrielli in due volumi è contrario a quest'adattamento. Sotto la voce scamotaggio (non scamottaggio!) riporta la frase: "Brutto francesismo, sempre sostituibile, che si consiglia di non usare". Nessun commento invece sotto la voce escamotage: solo l'elenco dei comuni traducenti. Conoscendo il Gabrielli questo non significa certo un incoraggiamento a usare il prestito integrale ma sicuramente è una condanna dell'adattamento.
Marco1971 ha scritto:È ben vero che ormai parlare italiano è un lusso riservato a pochi.
A me sembra vero il contrario. Una volta, parlare italiano era un lusso riservato a pochi, oggi è invece una lingua viva, al pari delle altre grandi lingue europee, anche se il fatto d'uscire dalla naftalina, e il modo e i tempi in cui questo è avvenuto, hanno comportato notevoli e veloci cambiamenti; molti dei quali, però, l'hanno solo avvicinata alla famiglia delle lingue europee. :)
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Intervento di Bue »

bubu7 ha scritto:
Marco1971 ha scritto:È ben vero che ormai parlare italiano è un lusso riservato a pochi.
A me sembra vero il contrario. Una volta, parlare italiano era un lusso riservato a pochi, oggi è invece una lingua viva, al pari delle altre grandi lingue europee, anche se il fatto d'uscire dalla naftalina, e il modo e i tempi in cui questo è avvenuto, hanno comportato notevoli e veloci cambiamenti; molti dei quali, però, l'hanno solo avvicinata alla famiglia delle lingue europee.
Concordo, anzi risuono, e applaudo.
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:Una volta, parlare italiano era un lusso riservato a pochi…
No, una volta parlare italiano era di pochi, ma per quei pochi non era affatto un lusso, essendo per loro quell’italiano lingua, non viva, ma vivissima.

Scrivere in italiano era forse un «lusso», riservato ad alcuni di quei pochi e ad altri pochissimi, la cui lingua madre era semplicemente altra.

E quest’italiano scritto, laddove non opportunamente «risciacquato» nel parlato contemporaneo, era (ed è spesso tuttora), sí, un po’ artificiale e «imbalsamato».

Ma il trovarsi una lingua a lungo confinata a una ristretta comunità di parlanti e l’essere [quindi] poco soggetta a cambiamenti non è di per sé un male, come non lo è, mi pare, il voler occasionalmente ripescare suoni e strutture del suo «fondo ereditario».
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Intervento di Bue »

Infarinato ha scritto:No, una volta parlare italiano era di pochi, ma per quei pochi non era affatto un lusso, essendo per loro quell’italiano lingua, non viva, ma vivissima.
Dal poco che ricordo, mi sembra però che dal punto di vista dei parlanti in questione non si trattasse certo di italiano, ma al limite di lingua o dialetto locale. A chiamarlo "italiano" erano gli intellettuali della lingua letteraria, per molti dei quali non si trattava di lingua parlata né tantomeno di lingua madre.
Dico male?
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Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto:No, una volta parlare italiano era di pochi, ma per quei pochi non era affatto un lusso, essendo per loro quell’italiano lingua, non viva, ma vivissima.

Scrivere in italiano era forse un «lusso», riservato ad alcuni di quei pochi e ad altri pochissimi, la cui lingua madre era semplicemente altra.

E quest’italiano scritto, laddove non opportunamente «risciacquato» nel parlato contemporaneo, era (ed è spesso tuttora), sí, un po’ artificiale e «imbalsamato».
A me sembra che stiamo facendo riferimento a due cose diverse.
Cerco di spiegarmi meglio dicendo cose che lei già sa.

Io non mi riferivo alla varietà italiana parlata in passato in Toscana equiparabile, nella sua vitalità, agli altri dialetti della penisola. Mi riferivo all'italiano parlato nella maggior parte della restante penisola, imparato e parlato (spesso malamente) solo in determinate occasioni e in concorrenza coi vivissimi dialetti sottostanti.
Il mio termine di paragone (ma penso che dovrebbe essere sempre il nostro, in questi casi) è sempre l'Italia e non la Toscana. Marco si riferiva all'attuale situazione italiana e io gli contrapponevo (mi sembrava chiaro) la situazione italiana del passato.
Infarinato ha scritto:Ma il trovarsi una lingua a lungo confinata a una ristretta comunità di parlanti e l’essere [quindi] poco soggetta a cambiamenti non è di per sé un male, come non lo è, mi pare, il voler occasionalmente ripescare suoni e strutture del suo «fondo ereditario».
In tutte le storie della lingua italiana si legge il contrario. Anche qui, non ci stiamo riferendo a un confine geografico: il dialetto toscano ha continuato ad evolversi indipendentemente (fino a un certo punto) dalla lingua italiana scritta. Quando invece la ristretta comunità di cui si parla è quella dei letterati (come nel caso dell'italiano fuor di Toscana [e di Roma, se vogliamo]) è facile che questa ristrettezza diventi un male, come lo è diventato, direi indiscutibilmente, per la lingua italiana.

In quanto al ripescaggio di suoni e strutture, questo avviene normalmente nella lingua, più di quanto possiamo immaginare. Molte delle caratteristiche moderne dell'italiano contemporaneo non sono novità assolute ma emersioni di strutture già presenti nel passato anche remoto della nostra lingua e non attestate nell'italiano letterario ma di cui si rilevano tracce in altri scritti (libri di conti, ecc.). Quando però questo ripescaggio viene fatto, diciamo artificialmente o meglio coscientemente, bisogna stare molto attenti a come l'operazione viene compiuta. Bisogna tenere sempre presente la lezione del De Saussure sulla inanità degli sforzi individuali nel provocare un qualsiasi cambiamento significativo nella lingua che vada nella direzione da noi auspicata e procedere con i piedi di piombo valutando tutte le variabili che entrano in gioco.
È quello a cui mirava la mia contestazione delle proposte di Marco fatte, a mio parere, con eccessiva leggerezza.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Intervento di Federico »

bubu7 ha scritto:scamottaggio e scamotaggio, anche avendo la stessa origine, hanno assunto, nell'italiano antico, significati diversi.
Ebbene, non si può fare calchi semantici?
:)

Comunque grazie: interessante questa discussione su scamottare et similia.
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Intervento di Marco1971 »

Questo filone sta diventando molto divertente. Io intendevo tutt’altro parlando di «lusso riservato a pochi». Ma non importa, almeno non sono l’unico a commettere eccessive leggerezze.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:…il dialetto toscano ha continuato ad evolversi indipendentemente (fino a un certo punto) dalla lingua italiana scritta. Quando invece la ristretta comunità di cui si parla è quella dei letterati (come nel caso dell'italiano fuor di Toscana [e di Roma, se vogliamo]) è facile che questa ristrettezza diventi un male, come lo è diventato, direi indiscutibilmente, per la lingua italiana.
Anche qui bisognerebbe intendersi sul significato di «male»: come ben sa, il concetto esula dal dominio linguistico. :D Ma ammettiamo pure che una lingua imbalsamata sia un «male»: una lingua imbalsamata, sí; una lingua che evolve coerentemente alle sue strutture piú profonde, non necessariamente… ma non mi voglio qui (re)imbarcare in un lungo discorso piú volte affrontato.

Quello che mi premeva ricordare (e che mi preme ricordare ogni tanto a quei pochi che hanno la pazienza di leggerci) è che l’italiano non è l’esperanto: la nostra lingua [letteraria] ha sempre avuto, non solo alle sue spalle, ma anche, per cosí dire, «al suo fianco», una lingua viva, che è il fiorentino/toscano (non solo quello aureo, ma anche quello «argenteo») per i secoli scorsi e, oggigiorno, un italiano parlato multiregionale.

La lingua del Manzoni dei Promessi Sposi (non di quello del Cinque Maggio, ovviamente —discorso sulla «lingua poetica» a parte), e non solo quella dei dialoghi, è il toscano dell’uso vivo della sua epoca.

(…E ricordiamo incidentalmente che una lingua di gran lunga piú artificiale dell’italiano letterario, ma bellissima sotto molti aspetti, come la katharevousa, permea l’opera raffinatissima di Costantino Kavafis.)
bubu7 ha scritto:…Quando però questo ripescaggio viene fatto, diciamo artificialmente o meglio coscientemente, bisogna stare molto attenti a come l'operazione viene compiuta. Bisogna tenere sempre presente la lezione del De Saussure…
Qui credo che Lei e Marco stiate «facendo riferimento a due cose diverse». ;)

Mi pare che Marco abbia segnalato le voci in oggetto piú per completezza e per un gusto poetico-evocativo che come reali possibili traducenti… :roll:
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Intervento di bubu7 »

bubu7 ha scritto: In sintesi: la relazione tra escamotage e scamottaggio sembra inesistente (se non nella comune origine) mentre è dubbia quella con scamotaggio.
Per continuare a far divertire Marco, e magari a interessare gli altri, devo rettificare la seconda parte della mia dichiarazione riportata in citazione.
Purtroppo la memoria a volte gioca brutti scherzi... ma ieri ho ricontrollato le voci e le date di prima attestazione delle medesime sul DEI (del resto, ci si poteva arrivare anche dall'attenta consultazione del GRADIT).

Le prime attestazioni (ottocentesche) di scamotaggio sono contemporanee a quelle di escamotage: si tratta quindi di due varianti, la prima molto più rara della seconda.
A questo proposito mi sono ricordato che il Battaglia, nei primi anni della sua stesura (nei primi volumi), era molto restio ad accettare prestiti integrali: è possibile che abbia volutamente evitato di citare escamotage accanto a scamotaggio. Negli ultimi volumi (diciamo dalla S) l'atteggiamento è cambiato, come è cambiata la qualità delle citazioni.
Scamottare è invece attestato dal Cinquecento, con varianti in molti dialetti (come il ligure), sempre nel significato concreto di 'sottrarre con l'inganno', 'rubacchiare'. Continua quindi a valere (sempre fino a prova contraria, ovviamente) la prima parte della mia citazione.
Federico ha scritto:Ebbene, non si può fare calchi semantici? :)
Certo, caro Federico, in teoria si può fare tutto ma, in pratica, il singolo non può fare [con la speranza che il fare risulti efficace] quasi niente. A mio parere è solo in questo quasi che dobbiamo cercare d'intrufolarci ed evitare di muoverci come elefanti in un negozio di porcellane.
Federico ha scritto:Comunque grazie: interessante questa discussione su scamottare et similia.
Prego, ma dobbiamo ringraziare soprattutto Marco che ci ha fornito lo spunto per la discussione.
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Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto: Quello che mi premeva ricordare (e che mi preme ricordare ogni tanto a quei pochi che hanno la pazienza di leggerci) è che l’italiano non è l’esperanto: la nostra lingua [letteraria] ha sempre avuto, non solo alle sue spalle, ma anche, per cosí dire, «al suo fianco», una lingua viva, che è il fiorentino/toscano (non solo quello aureo, ma anche quello «argenteo») per i secoli scorsi e, oggigiorno, un italiano parlato multiregionale.

La lingua del Manzoni dei Promessi Sposi (non di quello del Cinque Maggio, ovviamente —discorso sulla «lingua poetica» a parte), e non solo quella dei dialoghi, è il toscano dell’uso vivo della sua epoca.
Non posso dissentire da quel che dice.
Solo una piccola precisazione.
Il rapporto tra l'italiano parlato attuale e quello scritto (in tutti i loro registri) è molto diverso da quello dell'italiano scritto letterario con il toscano parlato. I due casi si accostano male: nel primo si tratta dei rapporti e interferenze tra le diverse varietà di una stessa lingua; nel secondo, del rapporto di una lingua viva con una lingua anomala e in parte artificiosa (non artificiale) come l'italiano letterario. Su quest'ultima ogni tanto venivano compiute iniezioni da particolari registri toscani (vedi i Promessi sposi) o altri tipi d'operazioni, come quelle cinquecentesche (es. apertura ai latinismi), non necessariamente influenzate dai dialetti toscani. Non vi era la continua relazione tra le diverse varietà, scritte e parlate, di una stessa lingua, caratteristica fondamentale di ogni lingua viva.
Infarinato ha scritto:Mi pare che Marco abbia segnalato le voci in oggetto piú per completezza e per un gusto poetico-evocativo che come reali possibili traducenti… :roll:
Non mi sembra importantissimo appurare questo, anche se Marco, nella sua prima replica scriveva:
Marco1971 ha scritto:Seppure di basso uso, la variante scamotaggio è data come perfetto sinonimo di escamotage. E si potrebbe benissimo «rilanciarla», fermo restando che si può ricorrere efficacemente ai traducenti della lista.
L'importante è che ci abbia fornito uno spunto per approfondire la questione... :)
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bubu7 ha scritto:Il rapporto tra l'italiano parlato attuale e quello scritto (in tutti i loro registri) è molto diverso da quello dell'italiano scritto letterario con il toscano parlato. I due casi si accostano male: nel primo si tratta dei rapporti e interferenze tra le diverse varietà di una stessa lingua; nel secondo, del rapporto di una lingua viva con una lingua anomala e in parte artificiosa (non artificiale) come l'italiano letterario. Su quest'ultima ogni tanto venivano compiute iniezioni da particolari registri toscani (vedi i Promessi sposi) o altri tipi d'operazioni…
Sostanzialmente d’accordo, ma vorrei ugualmente ricordare due cose:
  1. Sono sempre esistiti scrittori/scriventi toscani, in cui la distanza tra la lingua scritta (non necessariamente «letteraria», ma sicuramente «italiana») e quella parlata («toscana») era (e, seppur marginalmente, tuttora è) molto minore, se non (a seconda del registro) addirittura inesistente.
  2. Lei parla di «vitalità» e, in questo senso, certo, uno stato di diglossia (comunque molto attenuato in Toscana) tra lingua scritta (meglio: letteraria) e lingua parlata non può essere un bene. Tuttavia, esistono anche altri criteri [quantificabili] quale la coerenza interna del sistema (la «classicità» d’una lingua, si sarebbe detto un tempo), e da sempre le lingue evolvono [anche] a séguito d’una serie di [spinte e] controspinte, che «contengono» [piú spesso naturalmente, ma talora anche (per dirla col Migliorini) «glottotecnicamente»] le deviazioni piú evidenti dalla «norma».
Ma lo ripeto: in Toscana, questa diglossia era (e ovviamente rimane) quasi inesistente, per cui il «male evitato» è per gli altri italiani, non per noi toscani. ;)

(Obietterà che, se una forma d’italiano parlato non si fosse estesa a tutte quelle aree in cui [già] si scriveva in italiano, il divario fra italiano [letterario] e toscano [parlato] si sarebbe [col tempo] ulteriormente accentuato: il che è probabilmente vero, ma… è colpa vostra, che vi siete appropriati della nostra lingua letteraria! :mrgreen:)
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