«Supplet[t]ivo»
Moderatore: Cruscanti
Grazie; confesso che qui ci sarei cascato, ritenendo fino ad ora che *inflattivo e *deflattivo fossero forme corrette.
Ultima modifica di Zabob in data mer, 08 mag 2013 18:03, modificato 1 volta in totale.
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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Incremento questa lista con biric[c]hino (e in questo filone Marco cita anche intrav[v]edere), bric[c]iola (incrocio con briccica?), viep[p]iù e pressoc[c]ché; quest'ultimo si trova persino, insieme a pressoché (ci sarà una differenza?
), sul dizionario inglese-italiano Sansoni in linea.
Di altro genere mi pare l'errore di chi dice *tacchimetro, e si trova anche *stecchiometria (ragioni fonotattiche? attrazione di "tacchi" e "specchio"?).

Di altro genere mi pare l'errore di chi dice *tacchimetro, e si trova anche *stecchiometria (ragioni fonotattiche? attrazione di "tacchi" e "specchio"?).
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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Le posso dire che, in italiano regionale, anche in Veneto si usano geminazioni a casaccio (esempi, al momento, non me ne sovvengono: mi creda sulla parolaSouchou-sama ha scritto:Anche se mi pare un’ovvietà, lo scrivo esplicitamente, ché mi sembra sfuggire a molti, qui e in giro per il fòro: il raddoppiamento di /p, t, k/ «a casaccio» è fortemente tipico della pronuncia lombarda & emiliano-romagnola.

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L'uso di *accellerare in luogo di accelerare non è nuovo. Se ne trovano numerose occorrenze, specie fino al '700, anche se difficilmente in autori d'un certo peso.
Cercando sul sito bibliotecaitaliana.it ho trovato p.es. una dozzina d'occorrenze, fra le quali segnalo questi versi dal poema Ercole di Giambattista Giraldi Cinzio:
ella, che la potenza sua sapeva,
volendola mostrar in costor due,
fe' ad Alcumena il parto differire,
e accellerò d'Archippe il partorire.
e questa battuta da Lo schiavetto di Giovan Battista Andreini:
Fermatevi là, dico. Pur troppo a i danni della vita corre frettolosa la morte, senza che voi gli accelleriate il passo.
Vi sarebbero anche due esempi goldoniani, ma non trovano riscontro nelle altre edizioni disponibili su Google libri. È possibile che siano stati gli stampatori ad aver commesso un refuso (in questi e negli altri casi)?
Cercando sul sito bibliotecaitaliana.it ho trovato p.es. una dozzina d'occorrenze, fra le quali segnalo questi versi dal poema Ercole di Giambattista Giraldi Cinzio:
ella, che la potenza sua sapeva,
volendola mostrar in costor due,
fe' ad Alcumena il parto differire,
e accellerò d'Archippe il partorire.
e questa battuta da Lo schiavetto di Giovan Battista Andreini:
Fermatevi là, dico. Pur troppo a i danni della vita corre frettolosa la morte, senza che voi gli accelleriate il passo.
Vi sarebbero anche due esempi goldoniani, ma non trovano riscontro nelle altre edizioni disponibili su Google libri. È possibile che siano stati gli stampatori ad aver commesso un refuso (in questi e negli altri casi)?
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
Per le questioni ortografiche vale unicamente la vigente norma. Le oscillazioni grafiche nel corso dei secoli sono infinite. E cosí per la morfologia verbale. La tradizione letteraria si può invocare per questioni sintattiche e, eventualmente, lessicali.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Però si può supporre che le oscillazioni grafiche rispecchino un'incertezza nella pronuncia, specie in un caso come questo (non si sa come si scrive poiché non si sa come si dice). Un'oscillazione puramente ortografica potrebbe essere, invece, quella fra potenza e potenzia (due varianti "legittime" della stessa parola, anziché una corretta e una no).
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
Le raccomando la lettura (se non è già cosa fatta) della storia della lingua italiana di Bruno Migliorini (preferibilmente quella completa in due volumi, ma può andar bene anche la versione ridotta). Ci troverà molte cose illuminanti al riguardo. 

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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